“Ogni giorno, quello che scegli, quello che pensi e quello che fai è ciò che diventi” sosteneva Eraclito. Anche per le Istituzioni è la stessa sorte: si deve guardare avanti sapendo scegliere, ragionare sul da farsi, agire. Una prospettiva nella quale si può collocare anche il Cnel che ancora una volta sarà chiamato a ridisegnare il suo percorso, dopo che la consiliatura attuale ha saputo collocarlo con giusto spirito e con un patrimonio culturale di spessore nel procedere di un mondo del lavoro in continua e tumultuosa evoluzione.
Quando il Cnel fu varato, ed è bene ribadirlo anche oggi, si chiarì una volta per tutte che non si trattava di una riedizione mascherata del corporativismo di matrice fascista. Lo sostenne con lucidità uno dei relatori della legge istitutiva: “il corporativismo nessuno può farlo risorgere. Quel corporativismo che pretese di rappresentare degli interessi, ma che inserito in quel regime, fu detto giustamente che più che corporazione fu una incorporazione di tutta l’economia nel totalitarismo dello stato mussoliniano…”.
Oggi, semmai, il Cnel può svolgere un utile ruolo per evitare derive che, non solo subiscano suggestioni nella direzione di nuovi e diversi corporativismi, ma anche verso liberismi funzionali ad acuire diseguaglianze e ridurre gli spazi per una necessaria dialettica sociale e per relazioni industriali necessarie per garantire la crescita nella equità.
A suo tempo si è dibattuto molto sul fatto che un ruolo del Cnel potesse in qualche modo condizionare con pareri “obbligatori” i lavori del Parlamento. Oggi invece appare evidente che non solo tale pericolo è inesistente ma che semmai Governo e Parlamento potranno trarre beneficio dal lavoro compiuto nel Cnel verso obiettivi che non dovrebbero essere mancati.
Si discute molto a esempio della sorte incerta del Pnrr e di ingenti risorse europee che rischierebbero di rimanere nei cassetti di Bruxelles. La congiuntura economica europea indubbiamente non induce a ottimismi. Basti pensare all’azione della Bce sui tassi, alle incertezze presenti su scelte fondamentali sul piano industriale come su quello energetico. Eppure, c’è la fondata speranza che buona parte dei fondi europei possano produrre effetti positivi nel nostro Paese a patto che non solo si formuli un’adeguata programmazione ma al tempo stesso si riesca a far convergere le volontà essenziali versi gli esiti voluti. E non si tratta solo di creare una cabina di regia, oppure di semplificare, ma anche di riconoscere alle parti sociali un protagonismo che da troppi anni viene negato nei fatti. Ed il Cnel potrebbe essere una sede ideale per la sua composizione per favorire tale protagonismo, sempre che governo e Parlamento siano aperti a un impegno verso una concreta programmazione dei progetti che a un dialogo reale con le realtà più rappresentative del mondo del lavoro.
Ma la realtà di questi tempi ripropone problemi e temi sui quali il Cnel ancora una volta potrebbe offrire un contributo di merito assai prezioso: sull’inflazione in primo luogo con una strategia che un tempo avremmo definito di politica dei redditi in grado di avanzare proposte sia sulla tenuta delle retribuzioni e degli andamenti di tutte quelle voci che gravano sulle condizioni delle famiglie, che su questioni come il salario minimo e la contrattazione. Ma più ancora sarebbe proficuo il riconoscimento del valore del confronto fra le parti sociali per realizzare quella legislazione di sostegno che non mortifichi la contrattazione.
E di questo passo si potrebbe riconoscere al Cnel un ruolo attivo e propositivo nella ricerca del modo migliore per definire una volta per tutte i criteri della rappresentanza nella negoziazione che potrebbero a loro volta eliminare le zone grigie presenti nella contrattazione.
Sono solo suggestioni che però segnalano le potenzialità di una rinnovata esperienza del Cnel che naturalmente non può che restare aperta anche ai grandi temi della dignità del lavoro e delle opportunità di fare impresa nella società digitale.
In questo senso il Cnel è certamente attrezzato per compiere un’azione importante nel delineare quei percorsi della conoscenza che saranno decisivi per garantire in futuro, ma già adesso, lavoro stabile e qualificato, formazione permanente, individuazione delle politiche necessarie per sostenere uno dei profili irrinunciabili per la sviluppo: vale a dire una solida struttura industriale. Inutile girarci attorno: non possiamo permetterci un Paese nel quale il populismo strisciante e mai domato permetta scelte liberiste in cambio di assistenzialismo. Una opzione del genere ci porterebbe ancor più nelle retrovie dei percorsi economici presenti sulla scena mondiale. Anzi continueremo a esportare intelligenze giovani all’estero.
Nei periodi più significativi del nostro sviluppo economico e sociale, nella breve stagione delle riforme, ci si avvalse a pieno titolo del concorso di una produzione culturale di livello. Fu il tempo di un grande giuslavorismo, ma anche di una creatività imprenditoriale assai importante.
Ecco, il Cnel potrebbe avere anche questa funzione: far emergere queste capacità culturali quanto mai funzionali ad un progetto complessivo di nuova società sempre che, ovviamente, esse non rimangano confinate nel perimetro di una Accademia verso la quale la politica e le Istituzioni non nutrano alcun interesse.
C’è molto da fare, soprattutto in questo 2023 nel quale crescono i timori per una pericolosa inconcludenza. Ogni sforzo dovrebbe convergere sul terreno di una progettualità che avrebbe anche il senso di ricreare una atmosfera capace di rilanciare la fiducia. In questo contesto anche il Cnel potrebbe essere uno degli attori più positivi.
Paolo Pirani – Consigliere Cnel