Le nuove Camere si riuniranno per la prima volta giovedì 13 ottobre. Senatori e deputati, se la coalizione di centrodestra, ampiamente maggioritaria, non mostrerà le prime crepe, dovrebbero procedere rapidamente alla designazione dei due presidenti. Poi toccherà ai responsabili dei singoli gruppi parlamentari. Verosimilmente, Sergio Mattarella dovrebbe dare il via alle consultazioni nella settimana successiva, lunedì 17 o martedì 18. Non saranno lunghe e di lì a poco Giorgia Meloni salirà al Quirinale per ricevere l’incarico di formare il governo. Quindi la lista dei ministri, il giuramento, la fiducia. Venerdì 28 la prima donna presidente del consiglio potrebbe essere già insediata a Palazzo Chigi. Sono i giorni della Marcia su Roma.
Un centenario beffardo. All’inizio del 2022 gli studiosi si domandavano come sarebbe stato analizzato, ricordato, raccontato il 1922. Eccoci qui a sovrapporre gli avvenimenti, a cercare le analogie e a rimarcare le differenze. La storia, con buona pace di Giambattista Vico e di Carlo Marx, non si ripete mai, nemmeno come farsa. La passionaria della Garbatella non è Benito Mussolini e non ci sono squadracce in giro a manganellare gli oppositori. Il potere non viene preso con la violenza ma nel pieno rispetto del gioco democratico.
La stessa leader di Fratelli d’Italia assicura di non avere mai avuto “un afflato fascista”. Lo scrive nella prefazione del libro “I ragazzi del ciclostile. La Giovane Italia, un movimento studentesco contro il sistema”, scritto da Adalberto Baldoni e Alessandro Amorese. Lei, considerata l’età, aderì invero al successivo Fronte della Gioventù. Magari, non ha davvero mai fatto il saluto romano (?) ma il lievito ideologico è quello di una destra che si considerava erede della Repubblica Sociale. Un immaginario collettivo fosco, macabro e vendicativo. Altro che generazione Tolkien!
Giano Accame, che proprio nella Rsi andò volontario a 16 anni e che fu uno dei primi iscritti al Msi, in un’intervista del 1999 sosteneva: “Ciò che è ancora valido del fascismo è la sintesi tra patria, fede e valori sociali”. Dio, Patria e Famiglia. Ci siamo. Lo stesso Accame, in un volume del 2000 che raccontava con la sua visuale gli eventi dalla fine della monarchia ai trionfi berlusconiani, citava un brano di Curzio Malaparte (La pelle): “Il giorno che entrammo a Milano, urtammo in una folla urlante che tumultuava in una piazza. Mi alzai sulla jeep, e vidi Mussolini appeso per i piedi a un uncino. Era gonfio, bianco, enorme. Mi misi a vomitare sul sedile della jeep; la guerra era ormai finita, e io non potevo far più nulla per gli altri, più nulla per il mio paese, null’altro che vomitare”. E più avanti: “Il nome Italia mi puzzava in bocca come un pezzo di carne marcia”.
Sono queste le parole che alimentavano il rancore e la voglia di rivalsa dei missini. Gianfranco Fini ha provato a fare i conti con tutto ciò ma è finito male. La compravendita di una casa a Montecarlo ha infranto quel processo di revisione. La fiamma tricolore ha ripreso ad ardere. E ora miete consensi che Giorgio Almirante non sarebbe nemmeno stato in grado di sognare.
Certo, se si sommano i voti di tutta la Non Destra, chiamiamola così, emerge che in valori assoluti la Vera Destra non è la maggioranza del Paese (resta poi incognito il grande partito dell’astensione). Eppure, la sciagurata legge elettorale voluta da Matteo Renzi e abborracciata da Ettore Rosato, al quale deve il patronimico, premia scelte e alleanze che dall’altra parte non hanno voluto o saputo fare. Ma, tralasciando errori ed orrori del campo democratico e progressista, resta la preoccupazione per il substrato culturale che ispirerà il nuovo esecutivo.
Poi, forse, le cose non andranno così male come si teme. Obblighi internazionali, necessità economiche, faide interne freneranno i più bollenti e neri spiriti. La verità è che in questo centenario della Marcia più che con il passato dobbiamo fare i conti con il presente.
La sinistra sarà in grado di ricominciare da zero? La traversata del deserto è lunga ma non impossibile. “Non basta fare un maquillage ma bisogna mettere in discussione il modello di sviluppo”, dice Papa Francesco. Un’esortazione da prendere alla lettera.
Marco Cianca