In un articolo sul giornale La Stampa di oggi il costituzionalista Vladimiro Zagrebelsky, tanto caro al Movimento 5 stelle e al suo giornale di riferimento “Il fatto quotidiano”, ha sollevato più di una perplessità sulla pletora di DPCM emanati a raffica del presidente del consiglio Giuseppe Conte
Per Zagrebelsky infatti è difficile riconoscere l’assetto della nostra Costituzione “nell’accavallarsi di decreti del Presidente del Consiglio di ministri, decreti di ministri, provvedimenti regionali, circolari e comunicati stampa, cui abbiamo assistito talora con sorpresa, talaltro con preoccupazione e sconcerto per la difficoltà di comprendere il senso, infine con una divertita ilarità, che la gravità della materie non dovrebbe consentire”
Un affondo che non resterà senza conseguenze e che viene immediatamente dopo la presa di posizione di Matteo Renzi e di Domenico Del Rio dai contenuti sostanzialmente sovrapponibili
L’atteggiamento del presidente Conte, motivato a suo dire dalla necessità di assumere tempestive decisioni per il bene del paese, poteva trovare di sicuro una giustificazione nella fase di insorgenza dell’epidemia, trattandosi infatti di un fenomeno comparso inaspettatamente e causato da un virus nuovo di cui nulla sapevamo per quanto riguarda potenzialità diffusive e patogenetiche.
Un tale atteggiamento, tuttavia, non trova più giustificazione oggi in cui la fase della pandemia è, e sempre di più sarà, quella della coesistenza con la vita “normale” di tutti i giorni
E’ del tutto evidente, infatti, che occorreranno mesi e forse anni per liberarsi del virus e che noi dovremo invece abituarci a convivere con uno sciame epidemico che non cesserà di colpirci. E nei confronti del quale dovremo necessariamente avere un atteggiamento improntato alla duttilità della risposta, una razionalità di tipo incrementale, con momenti di alleggerimento delle misure di distanziamento e altri di un loro rafforzamento.
E’ propria questa visione di una gestione diventata purtroppo “ordinaria” e “locale” perché oltretutto interessante in maniera difforme vaste aree del paese, a mancare nell’agenda del governo come anche in quella dell’opposizione; e tale mancanza si riflette anche negli atti di legge del governo che non riesce ad uscire da una visione emergenziale dell’epidemia.
I decreti del presidente Conte rispecchiano questa visione accentrata ed autosufficiente della gestione del fenomeno che oltre a sollevare dubbi e perplessità in termini di rispetto del dettato costituzionale, altrettanti ne solleva in termini di reale efficacia delle decisioni in elaborazione
Da un lato dunque non si capisce come, in un momento così delicato, il presidente del consiglio, sulla cui fedeltà alla repubblica nessuno può di certo sollevare dubbi, possa assumere decisioni su temi sensibili, come la limitazione delle libertà individuali o l’esercizio dell’espressione di culto, senza sentire la necessità di un confronto nelle legittime sedi del dibattito parlamentare.
Dall’altro non si capisce come sia possibile non differenziare aree del paese in cui l’epidemia è ancora in fase di espansione (le regioni del PIL) da altre in cui il fenomeno appare più limitato e per certi versi sotto controllo (quelle centro meridionali)
Si tratterebbe allora di uscire dalla logica binaria dell’aprire e del chiudere senza gradi intermedi e senza differenze regionali. Forse bisognerebbe differenziare più che omologare, dare respiro alle intelligenze locali per valutare cosa aprire senza affrontare un livello di rischio inaccettabile.
Creare, come abbiamo già avuto modo di dire, una struttura decisionale a livello decentrato, distrettuale dove medici del lavoro, igienisti, sindacati possano vedere nel concreto le condizioni di reale operatività dei diversi comparti come di singole attività commerciali e dare un via libera ragionato e condiviso tra i diversi attori sociali
E poi servirebbero stock di tamponi, test sierologici, mezzi di protezione e luoghi di quarantena idonei se il contagio ripartisse. Insomma occorrerebbe un reale decentramento dei livelli di responsabilità e disponibilità concreta e immediata di quanto necessario per spegnere nuovi focolai sempre possibili. Tutto il contrario, dunque del ” libera tutti” oggi urlato a perdifiato dall’opposizione che specula sui drammi del paese per motivi di facile consenso. Altrettanto lontano però da quel modello ingessato che sembra perseguire il governo
Serve dunque un cambio di passo nell’elaborazione delle strategie di gestione di un’epidemia ormai strisciante, a minore intensità, ma da non prendere sotto gamba per l’intrinseco rischio di una sua ripresa in grande stile.
Ancora più necessario però è ripristinare quegli strumenti della vita democratica che sono stati messi da parte nel periodo più duro dell’emergenza. Un tale atteggiamento, giustificato allora non lo è più adesso e deve essere immediatamente rimosso per non ingenerare precedenti di cui potremmo in futuro pentirci.
Roberto Polillo