Le agenzie stampa, com’era inevitabile, si sono concentrate su due o tre quesiti di immediata attualità politico-sindacale. Del tipo: la Cgil raccoglierà le firme per indire un referendum abrogativo del Jobs Act? Oppure: se la Cgil intende raccogliere le firme per una proposta di legge di iniziativa popolare sui diritti dei lavoratori, su quali sponde politiche potrà contare nel Parlamento attualmente esistente? O ancora: se quella che oggi la Cgil lancia è una proposta di legge da essa sola elaborata, quali ripercussioni potrà avere tale iniziativa nei rapporti con Cisl e Uil?
Tutti quesiti certamente validi e perfino necessari, se posti nel corso di una conferenza stampa come quella che si è svolta oggi a Roma, a fine mattinata, in piazza dei Cinquecento, lo slargo antistante la stazione Termini. Conferenza stampa nel corso della quale la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, ha illustrato scopo e contenuti della Carta dei diritti universali del lavoro, una corposa proposta di legge di iniziativa popolare su cui la stessa Cgil intende aprire una “consultazione straordinaria” dei propri iscritti. Ciò quale atto iniziale di un percorso che porterà, in un secondo momento, alla raccolta delle firme in calce alla proposta stessa e, infine, all’approdo di quest’ultima in Parlamento.
Tuttavia, come talora accade in simili circostanze, l’urgenza di cogliere le implicazioni politiche più ravvicinate di un determinato atto, o addirittura quella di trovare il titolo per i servizi da pubblicare all’istante sui siti internet di quotidiani grandi e piccoli, ha finito per mettere un po’ in ombra la notizia vera. E cioè che la Cgil, la maggiore e la più antica confederazione sindacale italiana, si è auto assegnata un obiettivo molto ambizioso: riscrivere il diritto del lavoro oggi esistente nel nostro paese. E riscriverlo non guardando al passato, ma guardando al presente, ovvero a un’epoca complessa in cui non ci sono più le certezze dell’età fordista e in cui i cicli produttivi sono stati disarticolati e poi riarticolati con la creazione di vaste fasce di lavoro non privato, non pubblico e neanche autonomo in senso stretto, ma collocabili in un’area che comprende il lavoro professionale più qualificato e poi tutta una serie di gradazioni di attività lavorative a vario titolo precarie.
Questa fenomenologia del lavoro e dei suoi mutamenti, sociologicamente rilevabili, va poi inserita, in senso lato, nello scenario della globalizzazione e dei suoi effetti nel nostro paese. E tutto ciò senza dimenticare le molteplici e successive iniziative politiche e legislative che, a partire dal primo governo Berlusconi, sono ripetutamente intervenute a modificare i precedenti assetti in materia di diritti dei lavoratori attivi, occupati e disoccupati, o pensionati.
Ebbene, seguendo un filo rosso che parte almeno dalle conclusioni tenute al XVII Congresso Cgil, nel maggio del 2014, Susanna Camusso è giunta oggi a presentare il punto di arrivo di mesi e mesi di lavoro interno alla Confederazione: ovvero, come si è detto, il testo di una proposta di legge di iniziativa popolare che oltre a essere insolitamente robusto, 64 pagine, ha l’ambizione di poter costituire il “nuovo Statuto di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori”.
La proposta si articola in tre parti. Titolo primo: “Diritti fondamentali, tutele e garanzie di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori”. Titolo secondo: “Disciplina attuativa degli articoli 39 e 46 della Costituzione”. Titolo terzo: “Riforma dei contratti e dei rapporti di lavoro e disposizioni per l’effettività della tutela dei diritti”.
L’idea forza attorno a cui è stata costruita la Carta è evidentemente quella di affermare l’esistenza di diritti universali che sono in capo a ogni essere umano in quanto sia, o intenda essere, un lavoratore. Nel Titolo primo si va dunque dal “diritto al lavoro” (art. 2) al “diritto ad un lavoro decente e dignitoso” (art. 3), dal “diritto ad un compenso equo e proporzionato” (art. 5) al “diritto al riposo” (art. 8), e così via fino al “diritto alla tutela delle invenzioni e delle opere dell’ingegno” (art. 18) e al “diritto ad una adeguata tutela pensionistica” (art. 21).
Ma i diritti individuali non vivono senza un contorno di diritti collettivi. Il Titolo secondo della Carta si propone quindi di stendere le norme attuative di due articoli della nostra Costituzione rimasti sulla carta: quello relativo al rapporto fra costituzione dei sindacati e contrattazione collettiva e quello relativo alla cosiddetta partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese.
Infine c’è il Titolo terzo che, da solo, costituisce più della metà della Carta oggi lanciata. Una trentina di pagine che costituiscono una sorta di Jobs Act della Cgil. Nel senso che si tratta di una complessa opera di riscrittura di norme generali e particolari inerenti ai rapporti di lavoro la cui logica di fondo è quella di rafforzare, invece che di indebolire, i diritti dei lavoratori dipendenti, attivi sia nel settore privato che in quello pubblico. Ed è proprio in queste pagine che si trova uno dei tratti di maggiore novità della Carta: quel Capo II in cui viene affrontata la tematica della “estensione delle tutele dei lavoratori subordinati ai lavoratori autonomi e ai collaboratori coordinati e continuativi”.
Come ha spiegato Susanna Camusso, incalzata dalle domande dei cronisti presenti, la Cgil si è proposta uno scopo diverso e più ampio dell’abolizione dell’intero Jobs Act o di alcune delle norme più eclatanti degli otto decreti legislativi in cui si è inverato. La finalità della battaglia oggi ufficialmente avviata è infatti, come si è detto, di ridisegnare la normativa relativa ai rapporti di lavoro, partendo dall’idea che un lavoro ricco di diritti costituisca una stimolo e una ricchezza anche per il sistema delle imprese.
A breve partirà dunque la consultazione degli iscritti alla Cgil. Parallelamente, par di capire, la Cgil porterà la proposta della Carta anche nel dibattito che intende aprire nel paese con gli altri sindacati, le controparti imprenditoriali e i partiti politici.
@Fernando_Liuzzi