E’ sicuramente un bene per la neonata formazione di Articolo 1 democratici e progressisti che il triunvirato Rossi, Emiliano e Speranza sia sciolto prima di nascere. L’amalgama non era ben fatta e la evidente disomogeneità dei componenti facile bersaglio per la satira politica che già aveva ribattezzato il terzetto, in punto di fuoriuscire dal PD e rifondare la sinistra, con il soprannome dei “tre tenori” in analogia al trio del bel canto Pavarotti, Carreras e Domingo. Era del tutto evidente che la storia non avrebbe potuto avere seguito.
Michele Emiliano, idealtipo del politico post moderno, è un esplosivo mix tra populismo, inteso in senso buono, e protagonismo esasperato. Non era assolutamente concepibile che potesse spartire con altri il ruolo di primo attore. E da qui la sapiente regia con cui ha cavalcato la scena per guadagnare visibilità prima di decidere di restare. La minaccia di fuoriuscire ha reso una novità il restare fermo al punto di partenza. Una abile strategia con una vena di spregiudicatezza. E’ questa del resto una peculiarità di tutti gli ex vostro onore a cui nella loro prima vita da giudici è concessa una libertà di giudizio e di azione di fatto insindacabile (se non ricorrendo ad altri gradi di giudizio). E fin qui nulla da eccepire: il problema invece si pone quando tali fortunate prerogative continuano ad essere esercitate anche in una loro eventuale seconda vita da politici, dove invece i codici di comportamento dovrebbero essere differenti.
Egualmente poco assortito il duetto restante. Speranza il giovane è in fondo il più lineare nella sua scelta, essendo stato il capo della minoranza che si opponeva al segretario Renzi. Altrettanto non si può dire di Enrico Rossi, che con il tanto detestato Renzi aveva condiviso più di una scelta. E non solo per quanto riguarda il suo appoggio al referendum costituzionale del fatidico 4 dicembre, per il quale aveva addirittura sostenuto che nel fronte del no c’era una mentalità distruttiva ma soprattutto perché Rossi, rompendo con una antica tradizione, aveva introdotto nella sua regione una riforma della sanità totalmente targata Renzi.
Due le scelte adottate dal Governatore Rossi in una plateale assenza di confronto con le parti sociali: la centralizzazione della sanità, con riduzione delle ASL da dodici a tre, e la creazione di un territorio smisurato in cui la partecipazione alle scelte pubbliche, da sempre vanto della regione, diventa un ricordo del passato e apertura e valorizzazione del privato. Un mix neo liberista che ha sollevato le proteste delle menti più lucide della regione totalmente rimaste purtroppo inascoltate a cui si aggiunge, in cauda venenum, la polemica sul referendum indetto per abrogare la legge regionale ma non ammesso per vizi di forma che i proponenti hanno duramente contestato.
Che credibilità assume, allora, l’operazione messa in atto dal Presidente Rossi di riscostruire una alternativa di sinistra nel paese se con la sinistra della sua stessa regione ha creato una frattura allo stato attuale insanabile? La scarsa credibilità della operazione dei transfughi del PD riguarda tuttavia anche altri personaggi. In primis Guglielmo Epifani a cui è stato delegato di rappresentare in Direzione PD la posizione di quanti stavano per rompere con il segretario
Anche Epifani del renzismo ha condiviso più di una scelta. Ricordo ancora quando intervistato sul perché la direzione PD avesse votato alla unanimità la defenestrazione di Letta, l’ex segretario della CGIL affermo’ che la vicenda “era nell’ordine delle cose”, intendendo così che la responsabilità di quell’atto non aveva paternità alcuna. E però è solo attraverso qual colpo di mano che Renzi ha potuto gestire il partito con la stessa spregiudicatezza che ora gli si contesta
Pallida anche l’ opposizione di Epifani ai tanti provvedimenti assunti da presidente Renzi: provvedimenti , in primis quello sulla buona scuola, che avrebbe potuto contrastare con più vigore denunciando anche senza se e senza ma la visione disintemediante del segretario. E ancora: come è stato possibile che Renzi potesse dire che aveva creato più posti di lavoro Marchionne dei sindacati senza che tutti i deputati e senatori provenienti dalle file della CGIL insorgessero?
I dirigenti della nuova sinistra nascente, dunque, scontano più di un peccato originale. A mancare però è soprattutto il core della proposta politica, a partire dai due principali problemi sul tappeto: come contrastare le diseguaglianze esistenti, contro le quali tuonano ormai anche le destre, e come creare il lavoro che manca. E in assenza di un programma chiaro e credibile il fallimento evidente del Movimento 5 stelle, il cui dominus incontrastato è Beppe Grillo mentre tutti gli altri contano niente (come ha ampiamente dimostrato il sindaco Raggi nella scelta sullo stadio della Roma), rimane coperto dalla insussistenza degli altri. I problemi sono ovviamente enormi e non possono essere affrontati in un colpo solo, ma da questi bisogna partire per rappresentare una alternativa credibile.
Il sociologo Domenico De Masi ha detto che la sola formazione politica che gli abbia commissionato uno studio sul come evolverà il lavoro nei prossimi anni è stato il Movimento 5 stelle, mentre a nessuno altro è venuto il dubbio che forse bisognerebbe ricominciare a pensare in modo scientifico ai problemi sul tappeto. Anche questo è uno dei segni del tempo: manca la discussione e l’approfondimento mentre le “quistioni” su cui si attardano i politici sono solo il piccolo cabotaggio e le strategie di sopravvivenza. Il tempo è galantuomo e staremo a vedere se la nuova formazione avrà le gambe per camminare
Roberto Polillo