di Enrico e Maria Gabriella Giacinto
(I dati nella Documentazione)
Nella conferenza stampa del 10 gennaio il presidente della Confindustria, Antonio D’ Amato, ha sottolineato la perdita di rappresentanza e rappresentatività che, a differenza della sua associazione, avrebbe coinvolto altri protagonisti, dai partiti politici ai sindacati.
Quasi a dar man forte a D’ Amato, l’ ultimo numero del mensile di economia e finanza Gente Money afferma che il sindacato di oggi pesa meno, anche se il numero complessivo degli iscritti tiene. In questi ultimi anni – si legge nel mensile – il numero dei tesserati attivi è sceso; il tasso di sindacalizzazione si è ridotto dal 39,7% del 1986 al 35,83 del 1997; i lavoratori dipendenti iscritti a Cgil, Cisl e Uil sono calati, nello stesso periodo, da 5,8 milioni a 5,1 milioni, mentre i pensionati sono passati da 2,7 a 5,2 milioni.
I dati presi in considerazione dalla rivista si fermano al (lontano) 1997. Cosa è successo da allora?
Solo nelle prossime settimane Cgil, Cisl e Uil renderanno noti i dati relativi ai loro iscritti nel 2001. In quella occasione sapremo, ad esempio, se i pensionati hanno superato la soglia del 50% rispetto al totale degli associati.
Per avere un quadro aggiornato al 2000 è invece sufficiente visitare i siti Internet delle tre confederazioni o leggere i loro periodici. Si tratta, come si sa, di dati autocerficati. Tuttavia la loro attendibilità, come ebbe a sostenere una studiosa del calibro di Marina Schenkel, non sembra seriamente attaccabile. Tanto più se si considera che ormai da molti anni il dipartimento della Funzione pubblica prima e l’ Aran poi, rilevano i dati relativi alle deleghe sottoscritte nel pubblico impiego. Questo ha contribuito a razionalizzare e a rendere più trasparente il tesseramento da parte di tutte le organizzazioni sindacali.
I dati relativi agli associati del 2000 sono importanti proprio nel settore del pubblico impiego. Infatti, in relazione al primo biennio economico del periodo contrattuale 2002-2005, le deleghe rilasciate dai lavoratori alla data del 31 dicembre 2000 costituiscono, assieme ai voti riportati nelle elezioni delle Rsu che si sono svolte nel novembre scorso, la base per l’accertamento della rappresentatività delle organizzazioni sindacali. I risultati definitivi delle elezioni, così come il numero di deleghe rilasciate dai lavoratori, non sono ancora stati resi noti. Ciò nonostante le informazioni diffuse dai sindacati confederali offrono un quadro dei significativi spostamenti che si sono registrati negli ultimi anni.
Considerando l’ insieme degli iscritti, relativi cioè a tutti i settori, compresi i pensionati, risulta evidente come nel 2000 Cgil, Cisl e Uil abbiano ottenuto il miglior risultato della loro storia. Si tratta di una performance che si ripete ormai per il terzo anno consecutivo. Il totale degli associati supera, per la prima volta, la soglia degli 11 milioni (per la precisione 11.067.111). Come pure un record è rappresentato dal numero dei pensionati aderenti alle tre organizzazioni: 5.474.901 unità, pari al 49,5% del totale degli iscritti. Se si considerassero anche gli iscritti Uil di seconda affiliazione (158.236), il totale dei tesserati ammonterebbe a 11.225.347 unità e il peso dei pensionati scenderebbe sotto il 49%.
Sull’interpretazione dei dati si sono ormai formate diverse scuole di pensiero. Il Cesos, ad esempio, per ragioni di omogeneità nella serie storica, non conteggia gli iscritti di seconda affiliazione. Altri autori, quando per tali iscritti viene offerta anche la distribuzione geografica e non solo il dato complessivo, li considerano invece a pieno titolo. Il Censis li calcola comunque.
L’ elemento forse più significativo, anche se più controverso, dell’ andamento della sindacalizzazione è rappresentato dal fatto che i lavoratori dipendenti iscritti ai sindacati confederali siano aumentati per il secondo anno consecutivo, sfiorando 5.200.000 unità (5.194.502). Tutto questo dopo un calo ininterrotto di sette anni (dal 1992 al 1998) che aveva portato i dipendenti dalle 5.913.269 unità del 1991 alle 5.122.996 del 1998. Per la Cgil si tratta di un incremento che si ripete da tre anni. Per la Cisl da due. A questa crescita corrisponde tuttavia un calo della densità sindacale che passa dal 34,93% del 1999, al 34,33% del 2000 (nel 1998 era del 35,21 e nel 1997 del 35,77). Per mantenere inalterato il proprio tasso di sindacalizzazione, Cgil, Cisl e Uil avrebbero dovuto incrementare gli iscritti lavoratori dipendenti di almeno altre 90.000 unità.
In ogni caso l’ aumento di tesserati tra i lavoratori dipendenti rappresenta un risultato, se non atteso, certamente non sorprendente. Soprattutto se si considerano la mutata composizione del mercato del lavoro e il consistente aumento delle forze di lavoro occupate alle dipendenze registrato dal 1997 al 2000. Hanno probabilmente contribuito al raggiungimento di questo traguardo gli sforzi profusi, negli ultimi anni, anche sul piano delle risorse, nelle attività di sviluppo del proselitismo.
Se si tiene conto anche dei lavoratori dipendenti aderenti a sindacati diversi da Cgil, Cisl e Uil, la densità sindacale, nel nostro Paese, supera abbondantemente la soglia del 40%. Un livello che colloca l’ Italia a metà strada tra i Paesi nordici e quelli dell’ Europa mediterranea.
In molti Paesi europei le organizzazioni sindacali sono in grado di offrire un quadro, più o meno articolato, delle caratteristiche dei propri aderenti: sesso, età, titolo di studio e così via. In Italia le anagrafi degli iscritti sono ancora alle prime armi. In un recente rapporto dell’Eiro è contenuta una tabella che fotografa i tassi di sindacalizzazione totali e per sesso relativi al 2000. A differenza del passato lo scarto tra uomini e donne tende a ridursi. In tutti i Paesi nordici il tasso di sindacalizzazione femminile supera quello maschile. Per l’Italia, al pari di Belgio, Francia, Grecia, Irlanda, Lussemburgo e Portogallo, non esistono dati articolati per sesso.
Nella conferenza stampa di presentazione del tesseramento 2000, il segretario generale della Cgil ha detto che le donne rappresentano (in valore assoluto) il 49% degli iscritti alla sua confederazione. Questa percentuale sale al 54% tra i pensionati. Nei primi anni Ottanta, rispondendo ad un questionario sul ruolo delle donne nelle strutture sindacali, la Cgil dichiarava di avere, tra i suoi aderenti, 1.500.000 donne, corrispondenti al 32% del totale degli iscritti. Il progresso appare evidente.
L’ 8 gennaio di quest’ anno, in un incontro con i giornalisti dedicato al prossimo congresso confederale, la Cgil ha affermato che il 30% dei propri iscritti attivi ha meno di 30 anni. Ed è sul problema dei giovani che si gioca il futuro del sindacato, così come di qualsiasi altra associazione di rappresentanza.
Le prospettive, se si guarda ad una serie di indagini condotte negli ultimi mesi sia a livello italiano che europeo, non sono tragiche, ma neppure troppo rosee. In un recente seminario dei giovani della Confederazione europea dei sindacati si è parlato addirittura di “assicurare la sopravvivenza del sindacato”.
Ha allora ragione D’ Amato quando parla di perdita di rappresentanza e di rappresentatività del sindacato? No. Soprattutto se si guarda all’ esperienza comparata. E sempre che le organizzazioni sindacali italiane continuino ad ampliare la propria rappresentanza tra le nuove leve del lavoro, per evitare il lento declino che ha investito, con la sola eccezione dei Paesi scandinavi, i sindacati di tutta Europa.