C’è una legge, anzi la sua applicazione, che scoraggia le donne dal denunciare le violenze in famiglia, una legge che le espone al ricatto attraverso le sofferenze che vengono inflitte ai figli. È la 54 del 2006 – Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento – con cui si equiparano la figura materna e paterna, cancellando la differenza e l’importanza della relazione affettiva primaria con la madre, specie nei primi anni di vita del figlio e lasciando spazi per una suddivisione del figlio tra i genitori separati, noncurante dell’esigenza di stanzialità del figlio, del suo habitat, del suo equilibrio. Da quel momento inizia il calvario per molte donne e i loro figli perché la legge diventa uno strumento di controllo e di addomesticamento delle vittime di violenza in famiglia; è sufficiente accusare la madre di PAS, una sindrome inesistente, ma che ha trovato cittadinanza nei Tribunali italiani, per vedere i figli strappati, letteralmente, alle madri dalle forze dell’ordine, neanche fossero dei criminali, per essere depositati in casa famiglia o ancora peggio collocati con i padri e affidati al servizio sociale. Più precisamente, e per chi non ne ha mai sentito parlare, la PAS è un acronimo che sta per “sindrome di alienazione parentale”, una teoria nata in America che individua nella madre la principale responsabile del pessimo rapporto tra padre e figli. Non si valutano le responsabilità paterne, si puniscono le madri per l’agito sbagliato paterno!
Quindi se la donna denuncia o sottolinea la violenza subita nel corso di una causa civile per l’affido dei figli, passa dalla parte del torto. Le contestano di essere responsabile di creare un conflitto, di essere una madre malevola. Teoria sconfessata dalla sentenza 13274 del 2019 con cui la Cassazione stabiliva che l’affido esclusivo di un minore a un genitore non si può fondare solo sulla diagnosi di sindrome dell’alienazione parentale (PAS) o sindrome della ‘madre malevola’. Dalla Suprema Corte arriva un altro verdetto destinato a fare giurisprudenza nella sconfessione di un istituto, di cui viene spesso messa in dubbio la scientificità, ma che continua a essere utilizzato, talvolta sotto altri nomi o evocato con altri giri di parole, nei Tribunali, con l’esito di allontanare i bimbi dalle loro madri.
Grazie alla invocazione della PAS sono diverse e ormai note le storie delle donne punite per aver denunciato abusi, infatti, oltre al danno la beffa di essere considerate madri malevole se, com’è ovvio, un figlio rifiuta di vedere il padre che ha visto picchiare la madre. Madri accusate di influire sul comportamento del figlio che viene collocato in casa famiglia dove sarà addomesticato a sua volta per ‘accettare’ il genitore che rifiuta e di cui ha paura. Madri che, nel frattempo, vengono travolte da un giro infernale di carte bollate, di consulenze tecniche, di colloqui con gli assistenti sociali… L’esperienza di chi ha subito questo trattamento scoraggia tante donne dal denunciare il compagno o marito violento per paura di perdere i figli o di farli soffrire. Le leggi che dovrebbero tutelare soggetti a rischio come donne e bambini, si sono rivelate inefficaci ( o male applicate) e sono diventate strumenti micidiali nelle mani di chi ha più potere e più denaro, e non si tratta quasi mai di donne, ma di uomini che, in nome della bigenitorialità, si vendicano.
In questi anni, però, abbiamo imparato a conoscere le donne che si sono sottratte allo statuto di vittime e hanno risposto con determinazione e coraggio agli atti di guerra maschili. Donne e cittadine che sostengono il conflitto con azioni politiche mirate, che organizzano presìdi e sit-in, nelle piazze e davanti ai Tribunali. Donne che parlano alle donne e alla società civile, a quanti hanno occhi per vedere e orecchie per sentire, come noi che firmiamo questo documento. Mentre gran parte della politica e delle istituzioni sono, ancora una volta, cieche e sorde, ma sempre molto sensibili alle varie lobby che spingono per avere il controllo sul corpo generativo e sessuato delle donne. E il potere di decidere dei figli come moderni pater familias. L’unica e lodevole eccezione la “Commissione Parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere” che sta conducendo un’indagine sulla vittimizzazione secondaria. Noi siamo con le mamme che hanno coraggio perché donne. E vogliamo contrastare la progressiva scomparsa delle donne e delle madri, del valore sociale della maternità e della relazione di attaccamento madre figlio: questi sono i presupposti per negare l’importanza del collocamento prevalente dei figli con la madre, dell’esigenza di stanzialità dei minori contro un collocamento paritario o a terzi. Dobbiamo fare – vogliamo fare – quanto è possibile per individuare strumenti e azioni politiche per agire di conseguenza. Le responsabilità sono tante e diverse, a cominciare dallo Stato per la falsa applicazione dell’art.31 della convenzione di Istanbul che prevede in merito alla custodia dei figli in casi di violenza che di ciò si tenga conto nelle decisioni relative all’affidamento. Attualmente i tribunali applicano invece il diritto alla bigenitorialità (etico, ovvero non codificato) come prevalente rispetto al benessere del minore e della relazione con la madre genitore accudente e tutelante, giungendo ad allontanarlo dalla stessa.
Alessandra Servidori