Parlare di fascismo nel pieno della paralizzante confusione scatenata da Omicron, può sembrare tedioso e provocatorio. Ma dai, ancora con questa storia!? Basta cianciare su Mussolini come un disco rotto, occupiamoci del presente. Voi di sinistra, patetici e in malafede, quando siete in difficoltà, ritirate fuori tutto l’armamentario della Costituzione nata dalla Resistenza. E così la ferita della guerra civile non si rimargina mai.
Ecco, pare di sentirle queste raffiche di reazioni. Eppure, nel corso dei prossimi mesi sarà necessario proprio affrontare la questione del fascismo. Il 2022 segna il centenario della marcia su Roma e la ricorrenza non può essere né abbandonata ai deliri dei nostalgici né rinchiusa nel confronto tra gli storici, anche perché c’è poco da aggiungere.
Ezio Mauro ha cominciato su Repubblica una serie di corposi articoli che ricostruiscono con perizia il clima di quel periodo. Ma ci sarebbe bisogno di ben altro. Un’offensiva culturale. Fatta di dibattiti, iniziative, convegni, mostre, coinvolgendo scuole e università. Non bastano l’Anpi e l’Anppia a tenere alta la bandiera della memoria. I documentari, prezioso materiale d’archivio, finiscono per lo più in trasmissioni di nicchia, a orari improbabili.
Non è sufficiente indignarsi vedendo l’assalto alla Cgil o menare scandalo per il funerale con la svastica sulla bara e i saluti romani. Camerata, presente! E, a proposito, che fine ha fatto la proposta di sciogliere Forza Nuova? Sono sempre loro, in galera o no, a soffiare sul fuoco della protesta no vax. E non ci sarebbe da meravigliarsi se l’imbecille che ha esultato per la morte di David Sassoli, in quanto dimostrerebbe la letalità dei vaccini, fosse uscito dalla discarica di questo ciarpame culturale e politico.
Serve una mobilitazione di massa, una propaganda capillare, verrebbe da dire casa per casa, per scardinare finalmente tutti gli equivoci, le omertà, le bugie, le false credenze su quel che fu il Ventennio. No, il duce non ha fatto niente di buono. Prendiamo le scope per spazzare, come le chiama l’arguto Francesco Filippi in un godibilissimo libricino, tutte “le idiozie che continuano a circolare sul fascismo”.
Il mito dell’Iri, ad esempio: non era certo quel volano pubblico per lo sviluppo che divenne dopo la Liberazione, ma, come affermò lo stesso Mussolini “un convalescenziario” a favore degli industriali. Tutta la politica economica in orbace, secondo la felice definizione di Vittoria Foa, era volta a privatizzare i profitti e nazionalizzare le perdite. Non è vero nemmeno che i treni arrivassero in orario.
La coscienza del Paese non ha interiorizzato fino in fondo la consapevolezza del male subito. Il giornalista Fidia Gambetti, che aveva indossato la camicia nera ed era partito volontario, nel gennaio del 1953, concludendo una lunga inchiesta, lamentava come gli italiani non si rendessero conto di quanto fossero creditori nei confronti del Regime. “Creditori per vent’anni di vita sbagliata e perduta”.
Creditori non solo gli oppositori “che ingaggiarono una lotta dura e lunga, ad armi impari, affrontando sacrifici di ogni sorta, rappresaglie, la morte” ma anche quelli che ci credevano, “i fascisti di pura fede e tutti i giovani andati a combattere e a morire per una causa che ritenevano degna e nobile, sulle ambe dell’Etiopia, per le strade di Spagna, sulle montagne di Grecia, nel deserto cirenaico e nelle steppe ucraine”.
“E non furono vittime del fascismo le popolazioni italiane mandate in Africa orientale e settentrionale e abbandonate nell’ora del pericolo; e le donne, i bimbi e i vecchi esposti, dalla Sicilia al Piemonte, alla quotidiana offensiva aerea di due contendenti, massacrati dalle granate fra le linee di due eserciti stranieri? E i deportati in Germania, e i morti di inedia, di fatica, di freddo, nei lager, le migliaia di ebrei che non hanno più fatto ritorno, finiti nelle camere a gas? E non sono vittime del fascismo gli istriani profughi per l’Italia?”.
Altro che guerra civile! Creditori allora. Creditori oggi. Sì, parliamo di che cosa fu il fascismo.
Marco Cianca