Sulla torre dei Venti garriva un imponente vessillo con l’immagine del Biscione. Più alto del Tricolore e della bandiera europea. Nel grande piazzale, un maxischermo trasmetteva vecchie partite del Milan pluricampione. Gullit, Van Basten, Rijkaard, Baresi sorridevano sotto lo sguardo accigliato dei Dioscuri. Grosse casse diffondevano in maniera ossessiva ma allegra il nuovo inno nazionale: “Forza Italia mia, che siamo in tanti a crederci”. Nel vicino palazzo della Consulta, i giudici costituzionali, infastiditi e increduli, tutti in toga e con vecchie parrucche, a rivendicare ed esaltare la propria autorevolezza, stavano preparando gli scatoloni per un frettoloso trasloco.
Nel Salone delle Virtù, le Olgettine, pardon le Quirinaline, danzavano leggiadre, in succinti abiti da corazziere. Nicole Minetti sovraintendeva all’igiene orale.
Un rumoroso trenino umano saliva e scendeva gli scaloni. Renato Brunetta fungeva da locomotiva piccola ma inarrestabile. La nipotina di Mubarak era l’ultimo vagone, il lato B del lungo convoglio. Ciuf, ciuf. Sorridenti ed eleganti, le mani una sulle spalle dell’altra, Mara Carfagna, Stefania Prestigiacomo, Maria Stella Gelmini, Anna Maria Bernini. Antonio Tajani non riusciva a capacitarsi di essere arrivato fino a lì.
Arrancava con il fiatone Giuliano Ferrara. Adriano Galliani si divertiva un mondo e più sorrideva più appariva brutto. Cesare Previti, sempre torvo, e Denis Verdini, la solita aria strafottente, partecipavano al gioco un po’ controvoglia ma felici per essere stati mondati da ogni condanna con grazia presidenziale. Presente, però con la testa altrove, Giulio Tremonti. Imperscrutabile Niccolò Ghedini. All’ondeggiante corteo partecipava anche Matteo Renzi. Non per nulla, da giovane, era stato un concorrente alla ruota della fortuna. Tutto fa brodo. Ciuf ciuf.
Marcello Dell’Utri, estasiato, accarezzava con amorevole sguardo i preziosi volumi e gli intarsi lignei che rendono unica la Biblioteca del Piffetti. Aveva raggiunto l’obiettivo della sua vita. Il fine giustifica i mezzi. Fedele Confalonieri suonava il piano nella Cappella Paolina, accompagnato dalla chitarra di Mariano Apicella. Chansonnier francesi, stornelli napoletani, brani composti dal Nostro.
Gli appartamenti imperiali, che nel 1888 e nel 1893 avevano ospitato Guglielmo II di Germania, erano stati arricchiti con il mitico lettone regalato da Vladimir Putin.
Alle scuderie del Quirinale, per logica competenza equina, sovraintendeva uno stalliere di nome Mangano. In mostra, storia e leggende della mafia. Grande successo di pubblico.
I componenti del Csm dovevano salire sul Colle a piedi e venivano ricevuti, capo chino, nella Sala della Vittoria. Erano obbligati a seguire, senza mai potersi sedere, lezioni su garantismo e impunità. I reprobi, dietro la lavagna.
Alle riunioni del Consiglio supremo di difesa era imposta a tutti la tuta mimetica. il Presidente, in alta uniforme, raccontava barzellette sulle guerre pacioccone. Obbligo di risata. Al temine, si giocava a Risiko o a ruba bandiera. Per la squadra vincitrice, visita guidata ai Giardini, tra i latrati dell’intera stirpe di Dudù. Francesca Pascale, riammessa a corte, incarnava la ninfa del luogo. Gianfranco Fini, Pier Ferdinando Casini e Angelino Alfano, anche loro perdonati, facevano i valletti.
Pronto l’elenco dei possibili senatori a vita. In cima alla lista, Gianni Letta e Giuliano Urbani. Poi Arrigo Sacchi, Sophia Loren, Lino Banfi. E Flavio Briatore, campione del divertimento e del menefreghismo. Nell’elenco, perché no, pure Tinto Brass e Jerry Calà. Il volto pecoreccio del bel Paese ha ben diritto a essere nobilitato.
Lui vagava compiaciuto sulle orme dei papi, dei re e dei predecessori. Tutte le sere, ballo in maschera nel Salone delle Feste. Ispirato dall’arredamento del Salottino Napoleonico, preparava i discorsi e scriveva lettere agli altri grandi della Terra. Firma sicura solo per le leggi ad personam. I messaggi di fine anno erano diventati mensili. Tutti all’insegna dell’ottimismo.
Sì, ho sognato Berlusconi al Quirinale.
Mi consenta.
Marco Cianca