A pagare, alla fine, è sempre e solo il solo il mondo del lavoro. È questa l’amara costatazione di Giulia Guida, segretaria nazionale della Slc-Cgil, che commenta la situazione della filiera della carta, schiacciata dai folli costi dell’energia. Una situazione, osserva la sindacalista, aggravata dallo stallo causato dalla campagna elettorale, che pone il nostro sistema produttivo in zona pericolo: lo scenario concreto è che molte aziende potrebbero decidere in autunno di interrompere la produzione.
Guida, l’industria della carta ha lanciato l’allarme per il caro energia. Qual è al momento la situazione?
Quello della carta è un settore ad alta intensità occupazionale, ma anche particolarmente energivoro, con molte aziende che non interrompono mai la produzione: basti pensare agli imballaggi o alle stampe grafiche. Ma e’ un comparto sano, che investe molto nell’innovazione tecnologica e dove si cerca, attraverso processi di riciclo virtuosi, di produrre autonomamente energia. Si tratta di un’eccellenza del nostro sistema produttivo, capace di primeggiare anche all’estero. Un esempio tra i tanti è il polo di Lucca, che esporta carta per usi sanitari. L’impennata dei prezzi dei beni energetici di questa settimana sta mettendo a dura prova la tenuta del settore, come stiamo vedendo per altri comparti.
In questa fase come sono i rapporti con le rappresentanze datoriali?
Il settore vanta relazioni industriali storicamente ottime. Il contratto nazionale è un contratto di assoluta qualità, e nelle realtà più grandi c’è una robusta contrattazione aziendale. Anche in questo momento delicato stiamo costruendo un lavoro congiunto con la controparte datoriale per dar vita a un documento da presentare al governo, dove illustreremo le necessità del settore, anche in vista dell’appuntamento europeo del 9 settembre nel quale si affronterà il tema del caro energia.
Quali rischi corre il settore?
Al momento è difficile quantificare i rischi per la tenuta occupazionale, sostanzialmente per due motivi. Il primo è che non c’è omogeneità occupazionale sul territorio. Alcune regioni, come il Veneto, presentano una concentrazione altissima di industrie cartiere. Il secondo è che stiamo assistendo all’acquisizione, da parte di multinazionali, di molte nostre cartiere. Un processo che sta ridisegnando l’assetto delle singole imprese e in prospettiva anche la geografia industriale, nel caso ci dovessero essere delle delocalizzazioni. Uno scenario che deve essere scongiurato con ogni mezzo, perché si andrebbe a perdere un ulteriore pezzo del made in Italy. Quel che è certo è che gli addetti della filiera fortunatamente non hanno mai conosciuto lunghi momenti di crisi e quindi di cassa integrazione, ma proprio per questo il possibile stop alla produzione che molte aziende paventano sarebbe un salto nel vuoto. Bisognerebbe capire se ci sono le causali per l’attivazione degli ammortizzatori sociali, che coprono situazioni di questo tipo. Inoltre, uno stop potrebbe avere serie ripercussioni su altri settori produttivi, come quello alimentare, che stanno abbandonando la plastica e si stanno riversando sugli imballaggi in carta e cartone.
Venendo all’attualità politica, quello del caro energia è un tema che tutti i partiti tirano in ballo in questa campagna elettorale. Qual è la sua opinione?
In questo momento il paese sta vivendo uno stallo pericoloso, una zona grigia che rischia di far molto male a lavoratori e imprese. Infatti proprio quando c’è una forte bisogno di programmare le scelte energetiche, di delineare in modo pratico e senza proclami le tappe che l’Italia dovrà fare per affrontare la transizione energetica e rispettare tutti gli obiettivi per il 2030 fissati da Bruxelles, siamo nel bel mezzo di una campagna politica che rischia di paralizzare anche il mondo del lavoro.
Le convincono le ricette dei vari schieramenti politici in tema di energia?
L’emergenza energetica non cesserà di certo dopo il voto del 25 settembre, ma ce la porteremo, purtroppo, avanti per molto tempo. Già negli scorsi mesi i segnali che l’autunno non sarebbe stato facile erano inequivocabili, e sfortunatamente solo ora si decide di discutere seriamente di porre un prezzo al tetto del gas al livello europeo. La diversificazione delle fonti di approvvigionamento avviata dal governo è una buona cosa, ma al momento non è sufficiente per soddisfare i bisogni delle imprese. Guardando al futuro, i programmi degli schieramenti politici principali, in materia di politica energetica e transizione, appaiono fumosi, incentrati più sugli slogan che sulla concretezza. Un’incertezza che anche le imprese respirano, e che sta spingendo molte a bloccare la produzione per non dover subire gli effetti del caro energia.
Che misure bisognerebbe mettere in campo?
Nel decreto aiuti sono già presenti degli strumenti molto utili, come la cessione del credito di imposta per il pagamento dell’energia a favore delle imprese, o la creazione di uno spazio di acquisto nel quale le aziende energivore e quelle che producono energia possono arrivare alla stipulazione di un prezzo calmierato. Ma sono strumenti che poi devono essere attuati e soprattutto, come detto, nella attuale situazione, con un governo che può svolgere solo gli affari correnti e in piena campagna elettorale, il nostro sistema produttivo sta vivendo una situazione di stallo che non può permettersi, quando invece si dovrebbe agire e pianificare.
Tommaso Nutarelli