In questi giorni è stata annunciata la vendita di Foodora a Glovo. Questo ha messo in stato di allerta i sindacati, poiché c’è la presunta volontà da parte di Glovo di non dare continuità ai rapporti di lavoro che Foodora ha con circa 2mila lavoratori. Ma, al momento, non è stata comunicata nessuna procedura da parte della piattaforma di food delivery. Intanto i tavoli di questi mesi al ministero del Lavoro tra le organizzazioni di rappresentanza, le piattaforme e i rider, non sembrano aver portato ai risultati sperati. Il ministro Di Maio, che all’inizio del suo mandato aveva dato ampio spazio alla questione, non sembra più trovare il bandolo della matassa, e il sindacato fatica non poco a entrare nelle maglie dei nuovi lavori della gig economy. Ne abbiamo parlato con Giulia Guida, segretaria nazionale della Filt-Cgil.
Guida, Foodora ha deciso di cedere la propria attività a Glovo. Ad oggi qual è lo stato della trattativa?
È una situazione che è emersa, non in forma ufficiale, negli ultimi tavoli che le tre confederazioni hanno tenuto con il ministro del Lavoro Di Maio, le piattaforme e i rider. Sappiamo che pezzi di Foodora stanno per essere venduti a Glovo, ma è un’operazione in via di composizione, non ancora definita nei dettagli, sulla quale c’è poca chiarezza. Infatti non è stata ancora avviata nessuna procedura formale, e si ha la sensazione di trovarsi davanti a un gioco di scatole cinesi. Noi come Filcams abbiamo chiesto a Foodora di fornirci dei chiarimenti in merito. Ad oggi, l’unica cosa certa è che l’azienda ha avviato tutta una serie di colloqui individuali con i lavoratori.
Si parla di un rischio per 2mila posti di lavoro. Mi conferma queste cifre?
All’incirca i numeri dovrebbero essere questi. Allo stato attuale delle cose non ci è giunta ancora nessuna comunicazione per quanto riguarda l’avvio di possibili procedure nei confronti del personale. Resta tuttavia da capire se e come questi lavoratori saranno riassorbiti nella nuova compagine aziendale.
Insomma il sindacato sta incontrando non poco difficoltà nel farsi strada all’interno delle piatteforme del food delivery?
Assolutamente sì.
Quali sono i motivi?
Stiamo parlando di realtà aziendali ciascuna con un proprio modello organizzativo e di business, benché operino tutte nello stesso terreno. Inoltre si muovono all’interno di un sistema di relazioni industriali e di rappresentanza del tutto diverso da quello tradizionale.
Eppure in questi mesi si sono svolti diversi tavoli di confronto. Hanno prodotto qualche risultato?
All’inizio il ministro Di Maio aveva proposto l’istituzione di un coordinamento nazionale, cosa che poi non si è concretizzata, visto che è venuta meno anche l’unità all’interno degli stessi rider.
Voi avevate proposto di far rientrare i lavoratori all’interno del contratto della logistica. C’è stato qualche passo in avanti in questo senso?
No, perché le aziende continuano a preferire il mantenimento dello status quo. Le uniche aperture verso maggiori tutele e diritti sono state il riconoscimento e il versamento dei contribuiti Inail, e la possibilità di fare assemblee sindacali.
Il ministro Di Maio aveva dato grande spazio alla questione dei rider all’inizio del suo mandato. Ora come si sta muovendo, anche in relazione alla vendita di Foodora?
Sostanzialmente non si sta muovendo, perché credo che neanche lui abbia ben chiara la situazione. Le aspettative iniziali erano tante, ma ha dovuto fare marcia indietro su tutta la linea, scontrandosi con l’assoluta mancanza di volontà di trovare un punto di mediazione da parte delle piattaforme.
Allo stato delle cose a quale obiettivo puntate?
Il minimo che ora possiamo raggiungere è la stesura di un protocollo, partendo dal contratto della logistica, con il quale evitare che il Governo intervenga attraverso un dispositivo di legge per regolamentare il settore del food delivery, un aspetto sul quale non siamo mai stati favorevoli. E poi l’apertura di un tavolo specifico per affrontare la questione di Foodora.
Quali sono le vostre perplessità in merito alla via normativa?
I nostri timori stanno nel fatto che se per ogni nuova tipologia di lavoro che nasce si adotta la via normativa per regolamentarlo, il contratto nazionale e ogni possibile forma di contrattazione vengono annullati.
Ci sono stati dei cambiamenti nel rapporto tra il sindacato e i rider?
Sì c’è stata una progressiva apertura, e l’interesse anche alla possibilità di poter rientrare all’interno del contratto della logistica. Il problema è che nel corso del tempo è venuta meno la compattezza all’interno della loro compagine, e questo è il rischio che si corre attraverso l’autorappresentanza.
Tutto questo costituisce uno sfida anche per voi del sindacato.
Certamente. Dobbiamo confrontarci con delle dinamiche lavorative del tutto nuove. Con i rider non possiamo pensare di fare le assemblee sindacali vecchio stile, perché molto spesso manca un luogo fisico di ritrovo. Dobbiamo ripensare l’intero sistema di rappresentanza.
@tomnutarelli