Guerrini, come siete riusciti a convincere Giorgio Squinzi ad accettare la contrattazione territoriale?
La Confindustria si era sempre opposta perché temeva che il territoriale diventasse, di fatto, un terzo livello di contrattazione. Ma noi siamo riusciti a far capire a Squinzi che si trattava di timori del tutto infondati. E’ scritto molto chiaramente, nell’accordo, che le imprese potranno scegliere se applicare il secondo livello in azienda o sul territorio, a seconda delle proprie esigenze, della propria struttura, e soprattutto delle dimensioni: in una azienda piccola, è chiaro che non si sarebbe potuto fare la contrattazione aziendale, e anche in Confindustria, com’è noto, le piccole aziende sono la stragrande maggioranza. Inoltre, con l’introduzione della contrattazione territoriale sarà necessario ripensare e rafforzare la rappresentanza sul territorio sia dei sindacati che delle imprese. Io credo quindi che questa novità sarà una nuova frontiera molto interessante anche per Viale dell’Astronomia.
Non siete invece riusciti a convincere la Cgil, che infatti non ha aderito.
Abbiamo prolungato di molto la trattativa proprio perché la Confindustria, fino all’ultimo, sperava di riuscire ad ottenere la firma della confederazione. Lo speravamo anche noi, ovviamente. L’accordo era pronto da due settimane, abbiamo dato tutto il tempo possibile. Poi, la lettera della Camusso è stata la certificazione che non c’erano più margini. E lo ha capito anche la Confindustria.
Quali sono stati i punti di maggiore attrito con la confederazione di Corso Italia, quelli che hanno realmente reso impossibile l’intesa unitaria?
Purtroppo si sono sovrapposte varie cose. Innanzi tutto, l’intento di far rientrare la Fiom nella trattativa sul contratto dei metalmeccanici: ci è sembrato fuori luogo e fuori contesto, rispetto alla materia su cui stavamo negoziando. Poi c’è una considerazione politica: credo che la Camusso abbia cercato di rimandare ogni decisione al prossimo esecutivo, contando su un governo amico nella prossima primavera. Nel merito dell’accordo, infine, la Cgil avrebbe voluto cancellare l’intera pagina 7 del testo, quella dove si precisa che una parte importante di salario dovrà passare dal contratto nazionale a quello aziendale o territoriale. Secondo Susanna Camusso, questo scardinerebbe il contratto nazionale.
E non è così?
Al contrario: secondo noi è proprio il meccanismo che consente, attraverso la defiscalizzazione, di mettere più soldi in tasca ai dipendenti, tassandolo al 10% invece che al 30%. Inoltre, l’accordo è un quadro di riferimento, ma saranno le parti a decidere quanto salario si sposta dal contratto nazionale al secondo livello. Non è che la Cgil sia la sola ad avere la verità in tasca, e gli altri, invece, tutti stupidi, sa?
Ma funzionerà questa intesa senza la Cgil? Non è proprio l’ultima ruota del carro, diciamo.
La Cgil è un grande sindacato, certo non residuale. Ma io credo che accadrà quello che è già accaduto in passato: non si firma un accordo nazionale, ma poi si lavora insieme ad altri livelli. Per esempio, la Cgil non ha firmato il contratto dell’artigianato, ma poi firma quelli settoriali. Andrà così anche questa volta, vedrà.
Lei davvero pensa che in periodi di crisi questa intesa porterà soldi in tasca ai lavoratori? Cosa accadrà a quelle aziende, o a quei territori, che non avranno ricchezza da distribuire?
Intanto, risolve il problema della produttività: la nostra è la più bassa d’Europa, com’è noto.
Ma anche i nostri salari sono i più bassi d’Europa.
Si, ma occorre tenere presente che se un’azienda non ci sta con i costi, non ha altra alternativa che mandare i lavoratori in cassa integrazione, e in quel caso il salario cala del 40%. Non crede sia peggio? Occorre prendere atto della situazione: o aumentiamo la produttività, o le aziende dovranno mettere molti lavoratori in cassa, e poi fuori. Oggi le aziende pagano troppo, e le buste paga sono troppo leggere. Un dipendente mi costa 2000 euro, ma lui ne riceve solo 1000. Il solo modo per spezzare questo meccanismo infernale è recuperare produttività, defiscalizzare il lavoro in più che viene prodotto. E poi, certo, sperare che l’economia riparta.
Nunzia Penelope