Otello Gregorini, il segretario generale della Cna, grande associazione di imprese artigiane, guarda al prossimo futuro con una punta di ottimismo. Il peggio è alle spalle, afferma, se si riesce a imbrigliare il prezzo dei carburanti tanti problemi perdono di vigore, l’inflazione, il costo del denaro. Lo preoccupa di più il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, perché trovare dipendenti è sempre più difficile, tanto più per alcune competenze che non si trovano e sono invece indispensabili, specie in un momento di grande transizione come quello che stiamo attraversando. Il punto, confessa, è che abbiamo sbagliato un po’ tutti, noi, le famiglie, la scuola, ci siamo fatti sopraffare dai problemi e il lavoro ha perso di attrattiva, specie quello manuale. Si è perso, dice, il gusto del lavorare bene, che era ed è la caratteristica del lavoro artigiano.
Delle proteste di Confindustria che si lamenta perché le associazioni artigiane, ma anche quelle del terziario, associano imprese industriali, che sarebbero fuori dalla loro competenza, non se ne cura. La verità, afferma Gregorini, è che quegli steccati non esistono più. Le imprese sono sul mercato, dice, e si rivolgono alle associazioni più intraprendenti, più capaci di attirare consenso. Nessun ripensamento, quindi, semmai rimpianto per l’uscita di scena di Rete Imprese Italia, che raggruppava tutte le associazioni artigiane e del terziario. Se vogliamo contare di più, afferma il segretario generale di Cna, dobbiamo rimetterci assieme.
Gregorini, che previsioni economiche fanno gli artigiani per questo anno appena iniziato?
Il 2022 è stato un anno positivo, per quest’anno abbiamo preoccupazioni forti. Legate soprattutto al tema dell’energia, e giustamente il governo ha dedicato la gran parte della manovra a questo capitolo. Il price cap è stato importante, ha portato una forte riduzione del prezzo del gas e non ha nemmeno scaricato tutti gli effetti positivi possibili. Adesso dobbiamo pensare ai carburanti, perché se si riesce a imbrigliarne il costo perdono di forza anche gli altri temi difficili, l’inflazione e il costo del denaro. È tutto legato.
Gli economisti dicono che forse è già stato raggiunto il picco dell’inflazione.
Me lo auguro, perché il paese fa fatica con un’inflazione a due cifre. E perché se cala il potere di acquisto calano i consumi. Ma le imprese devono poter vendere i loro prodotti, altrimenti crescono i problemi.
Possiamo dire che tra gli artigiani prevale l’ottimismo?
Chi ha intenzione di fare investimenti forse ci va un po’ più cauto, ma le nostre aziende sono flessibili, si adattano facilmente. E comunque anche crescendo trovano altri problemi, primo tra gli altri quello della forza lavoro. Tante imprese artigiane non riescono a reperire certe competenze, certe specializzazioni. Credo che debba essere meglio allineata la relazione tra scuola e lavoro.
Problema complesso, tanto più in un momento come questo dove le transizioni si moltiplicano e chiedono competenze anche molto diverse.
Si, soprattutto per noi artigiani, perché nelle nostre imprese il lavoro è fondamentale, non ci sono le macchine che fanno tutto. Il rapporto con i dipendenti è sempre molto stretto, non a caso se una persona lavora bene l’artigiano non se la fa scappare, se la tiene e gli dà prospettive.
Avete difficoltà per alcune competenze o in generale mancano lavoratori?
Diciamo che per certe competenze c’è un problema, ma in generale non si trova manodopera, specie per certi lavori. Pensi a cosa è accaduto per l’edilizia, che sta vivendo un picco per il superbonus. I lavoratori non ci sono e tutti quelli impegnati adesso sono per l’80% stranieri, nella mia regione, le Marche, tutti dell’Est Europa. Gli italiani vogliono fare altro.
Perché rifiutano il lavoro artigiano, in generale il lavoro manuale?
Rimanendo nell’esempio dell’edilizia, è un dato di fatto che per tanto tempo si è pensato e si è detto che non era bene fare il muratore. Per questo penso che dobbiamo tornare indietro, correggerci, come famiglia e come scuola. Dobbiamo far capire che fare imprenditoria è un valore positivo, che fare il muratore o un altro lavoro manuale è una cosa buona, che dà reddito e gratificazioni sociali. Abbiamo mandato messaggi sbagliati, dobbiamo recuperare.
Un problema di formazione o di istruzione?
Di istruzione, tanto che dobbiamo partire dalla scuola. Fare l’artigiano è una cosa positiva, ma non è sentito e vissuto così.
Per responsabilità di chi?
Anche nostra, abbiamo sentito troppo lo stress, il lavoro, le tasse, tanti impegni diversi. Troppi elementi negativi, che alla fine hanno prevalso. Fino al 2000 fare l’artigiano dava tante soddisfazioni, la cosa principale era fare bene il proprio mestiere, era la garanzia di successo e di reddito. Poi questo è stato dato per scontato, sono cresciute le difficoltà, hanno pesato altri aspetti, finanziari, giuridici, soprattutto la capacità di comunicare bene quello che facevi. Tanti artigiani si sono trovati in difficoltà. C’è stato un riposizionamento generale, qualcuno è riuscito ad andare avanti bene, molti si sono trovati a mal partito.
È sempre viva la polemica sulle dimensioni aziendali? Il piccolo è sempre bello?
Questa è una polemica eterna. Io so che nel nostro paese ci sono troppo poche grandi aziende, che sono indispensabili perché ci aiutano a competere e noi possiamo seguirle nelle filiere. Detto ciò, è altrettanto vero che l’Italia è fatta di piccole imprese. La quasi totalità sono imprese con pochi, pochissimi dipendenti. E del resto, con la tecnologia di cui disponiamo anche un’impresa di 10 dipendenti può agire come fosse una grande azienda. Ma il problema principale è che i decisori politici dovrebbero smetterla di tarare i provvedimenti sulle grandi imprese. Il percorso dovrebbe essere rovesciato. Si dovrebbero fare i provvedimenti per le piccole imprese e questi dovrebbero essere poi aggiustati per le imprese di grandi dimensioni. Non dimentichiamo che noi facciamo coesione sociale, partecipiamo attivamente al contesto in cui siamo inseriti. In momenti di difficoltà siamo stati in grado di attenuare le tensioni sociali.
Quante sono le imprese artigiane?
In tutto oltre un milione, 350mila aderiscono alla Cna.
Le associazioni artigiane, tutte, tendono da qualche tempo ad associare non più solo artigiani, ma in generale piccole imprese, tanto è vero che Confindustria protesta per questo. Dove è la ragione?
Non è un problema di chi ha ragione e chi torto. Tutte le associazioni artigiane hanno una percentuale di iscritti, attorno al 20%, che non sono artigiani. Lo stesso accade nel mondo del commercio e in quello dell’agricoltura. Le tarature precise di una volta non ci sono più. Le piccole imprese sono sul loro territorio, dove le associazioni più capaci, meglio organizzate raccolgono il consenso. È la capacità delle diverse associazioni a fare la differenza.
Sono tante le associazioni di imprese e pescano tutte nello stesso mare.
Sì, sono tante, ma io non credo che potremo durare tanto con tutte queste sigle. Fino a poco tempo fa esisteva Rete Imprese Italia, che raggruppava tutte le associazioni artigiane e del commercio. Però è stata sciolta. Ma se vogliamo contare di più, avere maggiori risultati, dovremo quanto prima ritrovare una convergenza.
In Rete Imprese Italia c’era sufficiente collaborazione?
Quella era la modalità per stare assieme. Oggi le diverse associazioni collaborano, ma rimanendo ciascuna nel suo campo. Ma non funziona così, se devi andare da un decisore politico ottiene molto di più se ci vai con le altre associazioni che se ci vai da solo. È un dato di fatto. Del resto, se chiedi a dieci artigiani cosa pensano di questa divisione loro non distinguono, a loro interessa solo se difendi i loro interessi, ma lo puoi fare meglio se si sta tutti assieme. Ripeto, dobbiamo ritrovare le modalità per tornare assieme.
Ci sono già spinte in tal senso?
Noi siamo convinti della necessità di un passo del genere. Ma è come nei matrimoni, bisogna essere in due. Dobbiamo trovare altre associazioni convinte della opportunità di stare assieme. Ma una cosa deve essere chiara. Rete Imprese Italia avrebbe funzionato, avrebbe avuto un ruolo più importante se le singole associazioni avessero ceduto proprio potere. O le singole associazioni si sgonfiano o la cosa non funziona.
Avete problemi con il sindacato?
No, proprio no. Se dobbiamo rimproverare qualcosa al sindacato è che troppo spesso tende a riproporre con le piccole imprese l’approccio che hanno con le grandi imprese. Ma non funziona, noi siamo diversi.
Quindi è giusto mantenere distinti i modelli contrattuali?
Certo, sono stati distinti proprio per questa diversità. Ma con il sindacato non abbiamo problemi o conflitti. C’è grande rispetto delle regole che ci siamo dati e che proprio nel pieno della pandemia abbiamo cambiato per adeguarci a quello che si prevedeva sarebbe accaduto nel mercato del lavoro. Un ottimo lavoro che ci ha portato a rafforzare gli istituti della bilateralità, che hanno aiutato ad alleviare le difficoltà dei lavoratori.
Massimo Mascini