Tra le svariate questioni implicate dall’introduzione dell’obbligo del Green Pass nell’impiego privato, assume particolare rilevanza, per la sua delicatezza, quella relativa alle potenziali conseguenze disciplinari.
Gli aspetti da esaminare sono svariati, e su tutti pervade la regola di fondo che vieta il licenziamento (e deve ritenersi anche una sanzione disciplinare conservativa) per la circostanza del mancato possesso del certificato ovvero, in ultima analisi, per l’assenza di vaccinazione.
Ma i dubbi applicativi riguardano, innanzitutto, la stessa possibilità di inserire tra le condotte disciplinarmente rilevanti quella relativa alla mera assenza di certificazione, nei riguardi di un soggetto che, sorpreso al lavoro durante un controllo, venga immediatamente allontanato e assoggettato alle sanzioni economiche (amministrative) previste dalla legge, che sono stabilite in un importo che è ricompreso tra 600 e 1500 euro.
In base alle disposizioni vigenti il lavoratore deve innanzitutto essere considerato quale assente ingiustificato, senza il diritto alla retribuzione, e i periodi di assenza, per la carenza di retribuzione, possono sicuramente ricadere a cascata, partendo dalla ordinaria retribuzione giornaliera/mensile, nei riguardi delle retribuzioni indirette e differite, quali gli scatti di anzianità, le ferie, le mensilità supplementari, l’accantonamento della quota TFR, l’anzianità di servizio per ogni effetto implicato in ordine ad istituti normativi ed economici che ne debbano tenere conto (ad esempio preavviso). Il tutto, sia chiaro, non in un contesto disciplinare, ma in un contesto meramente e strettamente contabile, normativo ed economico.
Non si comprende il motivo per cui la legge considera “ingiustificata” l’assenza, in un contesto che dovrebbe essere non punitivo ma esclusivamente accertativo della carenza di vaccinazione. Sarebbe stato più opportuno considerare il periodo – da qui fino al 31 dicembre, in un caso estremo di permanenza della indisponibilità del certificato verde – come una semplice aspettativa non retribuita, posto che la qualificazione di ingiustificatezza, laddove non accompagnata da alcun effetto sul rapporto di lavoro, è solamente fine a sé stessa.
Il profilo disciplinare subentra proprio in ragione del comportamento, contrario a correttezza e buona fede, quando non addirittura gravemente colposo o, peggio ancora, doloso, dell’accesso nel luogo di lavoro in assenza di certificazione, in quanto non posseduta. In questo caso sarebbe opportuno chiarire se il mancato possesso del certificato verde sia dovuto alla dimenticanza del relativo supporto documentale e/o informatico o alla assenza delle condizioni di legge, ovvero mancanza di vaccinazione, di un tampone negativo nelle 48 ore precedenti o di guarigione entro i sei mesi.
In caso di dimenticanza del certificato, a rigore, come nel caso in cui un cittadino sia trovato alla guida senza la patente, dimenticata a casa, il lavoratore sarà comunque assoggettato alla sanzione, posto che la legge sembra proprio imporre il possesso materiale della certificazione (come della patente), in funzione di una certezza da acquisire nel momento della presenza in sede del lavoratore interessato.
L’irrogazione della ipotizzata sanzione disciplinare, peraltro, deve ritenersi comunque assoggettata al rispetto ed alla preventiva attuazione della prescritta procedura e, d’altro canto, il datore di lavoro dovrà integrare, nel regolamento aziendale (nonché nel codice etico, all’occorrenza) che elenca le infrazioni disciplinari e le relative sanzioni – conservative o espulsive – il quale dovrà essere affisso nella bacheca aziendale o comunque veicolato con ogni altro strumento o mezzo idoneo allo scopo, opportunamente integrato della previsione della infrazione e della relativa, correlata sanzione. Questo a meno che non si consideri, come sarebbe giusto, che una simile mancanza violi doveri di legge e di correttezza e/o diligenza talmente rilevanti da far parte del novero di importanza delle violazioni per le quali non si reputa necessaria l’inserzione nel regolamento disciplinare: questo avviene, come noto, in tutti quei casi in cui il comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito perché contrario al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza manifesta.
Ma per la carenza di vaccinazione e di certificazione non è possibile licenziare, salvo valutare i casi, come quello sopra ipotizzato, di ingresso nel luogo di lavoro senza Green Pass in quanto non vaccinati, con comportamento doloso o (gravemente) colposo, nel quale non viene in discussione un provvedimento sanzionatorio espulsivo per l’assenza di vaccinazione, ma, diversamente, per l’aggiramento dei controlli, verosimilmente in quelle aziende con un numero elevato di dipendenti, nelle quali i controlli vengono effettuati (non sistematicamente all’ingresso, ma) a rotazione durante la giornata. In altri termini, in un caso del genere, non verrebbe sanzionata l’assenza di vaccinazione, ma il comportamento gravemente illecito del lavoratore nell’aver occultato tale circostanza.
La gravità e significatività di una simile, ipotizzata violazione, sembrano proprio far propendere per la possibilità di applicare il rimedio del licenziamento per giusta causa, considerato che saremmo di fronte ad una causa che non consente la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro, secondo la previsione di cui all’articolo 2119 cod. civ., che disciplina il recesso per giusta causa dal rapporto di lavoro, c.d. licenziamento “in tronco”, senza preavviso.
Pasquale Dui