Sempre l’articolo 18. Sembra una maledizione, ma è sempre così, ogni volta che si parla di intervenire per sanare i tanti problemi del nostro mercato del lavoro c’è chi parla dell’articolo 18. Quando era ministro del Lavoro Maurizio Sacconi si diceva che la colpa era sua, perché aveva un chiodo fisso su questo tema. Adesso lui non e’ più a via Veneto, ma sempre di articolo 18 si parla. E spesso anche a sproposito.
Che sia diventato un totem, è sicuro. Negli anni Settanta c’era la scala mobile, che tutti sapevano fosse un meccanismo che andava contro gli interessi dei lavoratori, ma che era diventata la linea del Piave dei sindacati e quindi intoccabile. Quando finalmente le tre confederazioni ci misero le mani fu un’operazione così difficile e sofferta che ci misero dodici anni a farla fuori. Adesso è accaduto lo stesso con l’articolo 18, appena qualcuno parla di rivedere quella norma, accade un putiferio. Immediatamente le tre confederazioni, che spesso litigano tra di loro e si dividono fragorosamente, mettono da parte le loro divisioni e tornano a marciare uniti. E la conseguenza è che dopo un po’ l’argomento viene messo da parte e non se ne parla più.
Accadrà anche questa volta? E’ più che probabile. Il ministro Elsa Foriero, succeduta a Sacconi, ha detto che a gennaio si riparlerà di mercato del lavoro e lo stesso premier Mario Monti ha assicurato che si tratterà di un vero dialogo tra governo e parti sociali e che si cercherà un accordo. Partirà dunque il confronto, ma non è detto che si parli anche di quell’articolo. Anche perché la Bce parlò a suo tempo di mercato del lavoro, ma non di licenziamenti. Il tema di fondo adesso è la crescita, perché senza di essa si arriverebbe necessariamente a una nuova manovra, che però la nostra economia non potrebbe sopportare. Sarebbe a rischio, ma vero, la coesione sociale, che tutto sommato ha retto, nonostante le proteste dei sindacati contro la manovra. E del resto, se il tema da affrontare è l’occupazione, e il livello dei salari, come la ministro del Lavoro ha giustamente sottolineato, l’articolo 18 non c’entra proprio nulla.
Si parlerà di ammortizzatori sociali, che però costano molto, si parlerà dei troppi contratti possibili nel nostro paese, si cercherà di dare ordine al tema dell’arbitrato. Ma sembra difficile che si arrivi a stabilire le regole dei licenziamenti senza giusta causa. Anche perché in fin dei conti si tratta di una cosa che interessa solo pochi. La norma dell’articolo 18, il diritto a essere reintegrato nel posto di lavoro in assenza di licenziamento senza una giusta causa non tocca infatti i lavoratori delle piccole aziende che, sotto i 15 dipendenti, non applicano lo Statuto dei lavoratori. Non tocca nemmeno i dipendenti delle grandi aziende che, tutte senza eccezioni (tranne forse la Fiat), hanno sempre detto di non considerare questo il vero problema da affrontare. Ma anche tutti gli altri lavoratori, e non sono molti, sono minimamente interessati, perché l’andamento del contenzioso ci dice che i reintegri effettivamente realizzati nel corso di un anno sono davvero pochissimi. Perché tutti o quasi, anche quando viene deciso che non c’è giusta causa e quindi si avrebbe diritto al reintegro, si mettono d’accordo sul versamento di una somma, che cambia spesso sulla base della lunghezza del procedimento stesso.
Pensare che il governo Monti, tecnico per definizione, quindi senza l’ambizione di risolvere tutti i problemi, affronti questo tema, sul quale si sono scontrati ben altri esecutivi, tutti fortemente politici, è davvero difficile. Monti non sembra smanioso di realizzare una vera concertazione, sembra sempre che convochi le parti sociali più per un fatto di buona educazione che altro. Ma non è nemmeno così sciocco da crearsi un clima di guerriglia in casa se non è assolutamente indispensabile. Se l’esortazione di Pier Luigi Bersani è stato quello di passare un sereno Natale e poi guardare i problemi, si può forse affermare che si può far passare tranquilli anche ben più delle prossime feste. La stessa dell’articolo 18 per il momento sembra tramontata.
Massimo Mascini