Tra il governo Renzi e i sindacati l’atmosfera è cambiata, ed è cambiata in meglio. Nel senso di relazioni più distese, di un inizio di dialogo, del profilarsi di una trattativa vera, almeno per ciò che riguarda la possibilità di rivedere l’assetto del sistema previdenziale lasciato in eredità dalla riforma Monti/Fornero ai governi successivi. Questa sensazione, già colta dal Diario del lavoro al termine della settimana scorsa, è uscita rafforzata dalla tre giorni della Summer School di “Lavoro & Welfare”, svoltasi a Rimini da venerdì15 a domenica 17 luglio. Qui, infatti, sia nelle parole del ministro Poletti, che in quelle del sottosegretario Nannicini, si sono colti accenti nuovi, specie in materia pensionistica.
Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, che cos’è Lavoro & Welfare? E’ un’associazione presieduta da Cesare Damiano, deputato Pd e Presidente della Commissione Lavoro della Camera. Tra le sue attività, c’è, da qualche anno, una “scuola estiva” che si propone, da un lato, come occasione di incontri e di dibattiti sui temi del lavoro e, dall’altro, come luogo di formazione politica rivolta prevalentemente ai giovani quadri del Pd (ma non solo). Tema di quest’anno, “Lavoro, innovazione, equità”.
L’appuntamento clou della tre giorni era indubbiamente quello collocato nella mattinata di domenica, ovvero il faccia a faccia tra il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. Un faccia a faccia nel corso del quale, al di là dei toni reciprocamente cortesi propri di due persone ben educate, e ospiti entrambe, per così dire, in casa d’altri, è parso di poter cogliere qualcosa di più, e cioè l’atteggiamento di chi, pur non rinunciando a esprimersi con franchezza, andava alla ricerca dei punti di qualche possibile incontro, piuttosto che non di quelli di insuperabile distanza.
A questo proposito, va detto subito che sul mercato del lavoro, a partire dai mutamenti introdotti con il Jobs Act, i punti di vista di Camusso e Poletti sono rimasti lontani. Diversi gli approcci a questa ampia problematica, e diverse le valutazioni sul senso e sugli effetti dei provvedimenti costruiti in materia per iniziativa del Governo nei suoi primi due anni di vita. Invece, qualche avvicinamento lo si è potuto registrare per ciò che riguarda la trattativa in corso fra governo e sindacati sulle pensioni. Tanto da lascia pensare che, rispetto a questa tematica, vi sia ormai un terreno abbastanza solido su cui può svolgersi una trattativa concreta.
Ora qui bisogna dire che, nel corso della Summer School, questo terreno era già stato in qualche modo arato dall’incontro, svoltosi nel pomeriggio di venerdì, fra Cesare Damiano e Tommaso Nannicini, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
Per cogliere il senso di questo primo confronto, bisogna tener presente il ruolo assai particolare che Damiano si è ritagliato all’interno del variegato mondo del Pd. Pur senza essere renziano – né della prima, né della seconda ora – Damiano non si è schierato con le opposizioni di sinistra interne al Pd, una capeggiata dal bersaniano Speranza e l’altra da Gianni Cuperlo. Avendo alle spalle una lunga esperienza di sindacalista, maturata essenzialmente nella Fiom, Damiano si comporta con il Governo in base all’antica regola sindacale che dice che quel che conta è il merito delle questioni. Da presidente della Commissione Lavoro, quindi, Damiano non ha mai lesinato critiche anche dure rispetto ai singoli provvedimenti voluti dal governo Renzi in materia di lavoro. Ma lo ha sempre fatto con l’atteggiamento costruttivo di chi vuole modificare un articolato di legge, solo proposto o già assunto, e non abbattere un avversario.
Ciò è vero, in particolare, per la materia pensionistica, dove, Assieme a Marialuisa Gnecchi, capogruppo Pd in commissione Lavoro della Camera, Damiano ha depositato da tempo una proposta di legge, la n. 857, volta a rendere flessibili le uscite dal lavoro verso il pensionamento. In altri termini, Damiano è stato attento a mantenere un carattere istituzionale al suo rapporto critico col governo, e cioè quello tra Parlamento ed Esecutivo, e non quello fra minoranza e maggioranza del Pd.
E’ ragionevole supporre che, andando a Rimini, un uomo accorto come Tommaso Nannicini sapesse esattamente ciò che faceva. Ovvero, sapesse che andava ad affrontare un dibattito di merito sulle revisioni possibili della riforma Fornero. E ciò con particolare riferimento, appunto, alla tematica della flessibilità in uscita.
Come è noto, infatti, la riforma Fornero ha spostato in avanti, in modo rigido, l’età pensionabile. Per correggere le conseguenze sociali negative di questa riforma, Renzi ha avanzato l’ipotesi di istituire la cosiddetta Ape, ovvero un meccanismo di “anticipo pensionistico” che consenta ai lavoratori, appunto, di andare in pensione prima di quanto sia oggi previsto dalle leggi vigenti. Un meccanismo, quello allo studio del governo, che dovrebbe essere basato su un sistema, abbastanza complesso, in cui una banca fa un prestito al singolo lavoratore. E ciò per consentirgli di smettere di lavorare pur mantenendo un reddito certo, ancorché ridotto rispetto a quello che avrebbe andando in quiescenza al momento previsto dalle norme attualmente in vigore.
Ora, a quanto è emerso a Rimini, l’idea stessa del prestito pensionistico non convince Cesare Damiano, come neppure Susanna Camusso. In particolare, però, Damiano ha avanzato l’ipotesi che il governo studi un meccanismo di sconto fiscale che riduca la perdita di reddito che dovrebbe subire il lavoratore pensionando in anticipo. Salvo a osservare che, rispetto al loro pensionamento, i lavoratori “non sono tutti eguali. Ed è qui che si è forse trovato un terreno di possibile incontro con quanto il governo sta autonomamente progettando.
“C’è un confronto in corso con i sindacati”, ha osservato Nannicini. Come a dire: “Non posso entrare qui nei dettagli dei discorsi che stiamo facendo negli incontri con i rappresentanti delle Confederazioni”. Salvo poi ad aggiungere che “esistono due scuole di pensiero”. Quella di chi si propone di “individuare una soglia di reddito”, al di sotto della quale far scattare qualche agevolazione fiscale, e quella di chi ritiene sia più opportuno “definire una serie di condizioni” relative alla vita lavorativa del pensionando. E qui si pensa alla differenza che c’è fra chi, a una data età, ha alle spalle un lavoro usurante, e chi ha lavorato magari lo stesso numero di anni, ma in una condizione lavorativa meno faticosa o meno stressante.
Ecco dunque il terreno che sembra poter offrire base e spazio per una trattativa. Quello che consente di mettere a fuoco tutta una serie di problemi specifici cui sono particolarmente sensibili diversi gruppi di lavoratori. C’è, ad esempio, la questione dei cosiddetti “ricongiungimenti non onerosi”, creata da una legge varata nel 2011 sotto il terzo governo Berlusconi (Sacconi era il ministro del Lavoro dell’epoca). Tale legge ha reso più costoso sommare i contributi versati da un medesimo lavoratore, in fasi diverse della sua vita lavorativa, presso diverse casse previdenziali.
C’è, come si è già accennato, la questione dei lavori usuranti, che determinano attese di vita più brevi rispetto ad altri lavori e che dovrebbero quindi offrire la possibilità di un ritiro anticipato verso la pensione. Come ci sono le questioni specifiche degli invalidi, dei disoccupati e dei cosiddetti lavoratori precoci, ovvero di quelli che hanno iniziato la propria attività lavorativa in età molto giovane. Per non parlare della diversità fra i regimi fiscali applicati a lavoratori attivi e pensionati.
Rispetto a tutte queste questioni, ha dichiarato Damiano, occorre mettere in atto misure specifiche “che vadano nella direzione di una maggiore giustizia sociale”. Una tematica, questa, su cui è tornato, due giorni dopo, anche il ministro Poletti, quando ha sottolineato la positività dell’idea governativa di dare avvio a un vero e proprio “cantiere sociale”.
Naturalmente, per realizzare misure di questo tipo servono delle risorse, in assenza delle quali, ha osservato in conclusione del secondo confronto Susanna Camusso, si rischierebbe di “aver fatto solo delle chiacchiere”.
Guardando da Rimini alla trattativa in corso a Roma, par di capire dunque che, affinché il negoziato sulle pensioni arrivi a qualche approdo concreto, ci sono tre problemi principali. Primo, l’individuazione di misure condivise dai sindacati perché percepibili come positive dai lavoratori, nel loro insieme, o da diversi ancorché tipici gruppi di lavoratori. Secondo, la capacità del governo di individuare e rendere disponibili risorse sufficienti a introdurre cambiamenti significativi rispetto alle rigidità della riforma Monti/Fornero. Terzo, tempi abbastanza rapidi.
Damiano, anche nel confronto con Nannicini, ha insistito affinché un accordo venga trovato dal Governo con i sindacati prima del referendum sulla riforma costituzionale. E ciò al duplice scopo di ottenere risposte tangibili in tempi ravvicinati, come chiedono i sindacati, e di svelenire un clima sociale che, qualora restasse negativo, non aiuterebbe certo il governo a trovare consensi per la propria azione politica.
Camusso, nel confronto di domenica mattina, ha innanzitutto affermato che la Cgil auspica di poter fare, entro luglio, assieme a Cisl e Uil, un bilancio della trattativa. Dopo di che, ha confessato di essersi fatto l’idea che ci si trovi, ormai, di fronte a un “referendum mobile”, ovvero a un referendum la cui data di effettuazione potrebbe slittare in avanti. In tal caso, il riferimento temporale entro cui la trattativa dovrebbe comunque essere conclusa diventerebbe quello della prossima legge di stabilità. Nel senso che un accordo sulle correzioni alla riforma previdenziale andrebbe definito prima dell’avvio della discussione parlamentare sulla legge di stabilità per il 2017.
@Fernando_Liuzzi