Durante la campagna elettorale è rimasta nell’ombra una questione molto delicata, destinata a riemergere con le iniziative del nuovo governo: l’immigrazione. Nel programma comune della coalizione delle destre il tema era affrontato cosi:
- Contrasto all’immigrazione irregolare e gestione ordinata dei flussi legali di immigrazione • Favorire l’inclusione sociale e lavorativa degli immigrati regolari • Difesa dei confini nazionali ed europei come richiesto dall’UE con il nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, con controllo delle frontiere e blocco degli sbarchi per fermare, in accordo con le autorità del nord Africa, la tratta degli esseri umani • Creazione di hot-spot nei territori extra-europei, gestiti dall’Unione Europea, per valutare le richieste d’asilo • Garantire ai Comuni le risorse necessarie per far fronte alle spese per la gestione e la presa in carico dei minori non accompagnati.
Si nota qualche accenno di consapevolezza per quanto riguarda la necessità – a questo punto fisiologica – dell’ingresso di lavoratori stranieri per contenere l’emergenza della denatalità e le esigenze del mercato del lavoro. Ma l’impostazione complessiva rimane ostile. Se si esaminano, poi, i programmi dei singoli partiti della coalizione si trovano atteggiamenti che tentano di drammatizzare l’immigrazione che attraversa il Canale di Sicilia (una esigua minoranza del fenomeno nel suo complesso) evocando misure di contrasto molto radicali, seppure in un quadro europeo. Staremo a vedere. Probabilmente il problema è uscito dai radar del dibattito politico da quando si è capito che Matteo Salvini non avrebbe messo piede al Viminale, benché si fosse candidato per tutta la campagna elettorale a tornare a difendere i confini. Ma è avvilente l’incapacità dell’establishment italiano di affrontare un problema cruciale come quello dell’immigrazione che è l’unica terapia possibile, senza dover sfidare il corso dei secoli, per contrastare, almeno in parte, la più grave e più sottovalutata delle crisi aperte: quella demografica. Neppure la sinistra ha una strategia in merito, salvo chiudere un occhio nelle fasi di maggior emergenza ed accusare di razzismo quanti sollevano un problema reale; perché è facile essere accoglienti a casa degli altri. Esplode così uno dei tanti paradossi italiani: senza sostituire con stranieri i “buchi” in una serie crescente di generazioni per contrastare la denatalità saremo destinati ad un declino accelerato; ma quella che arriva via mare o per suo conto, non è l’immigrazione che serve. Il fatto è che il pregiudizio anti-stranieri unito ai reali problemi di mobilità imposti dalla pandemia non ha consentito di impostare e seguire percorsi ordinati, per quanto riguarda sia i flussi dall’estero, sia il contrasto del lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro degli stranieri. Il rapporto del Ministro del Lavoro sulla presenza di lavoratori stranieri mette in evidenza che, a partire dal 2014, la popolazione residente in Italia è in costante diminuzione, con una contrazione, su tutto il periodo, pari a 1,4 milioni di residenti (-2,3%). Considerando separatamente la componente con cittadinanza italiana e quella con cittadinanza straniera, si nota una significativa riduzione della prima (-1,8 milioni; -3,2%) a fronte di una crescita della seconda (+406 mila; +8,5%).bLa pandemia ha determinato una marcata accelerazione delle tendenze demografiche già in atto: tra il 2021 e il 2022 – seppure ad un ritmo più contenuto rispetto all’anno precedente – la popolazione residente in Italia si è ridotta dello 0,4% (-253 mila). Il calo è frutto di una riduzione della componente con cittadinanza italiana (-275 mila; -0,5%) e di un lieve aumento della componente straniera (+22 mila; +0,4%). In sostanza, dal 2014, nonostante il segno positivo della presenza di stranieri, il loro apporto non è più in grado di compensare il saldo negativo della popolazione italiana, tanto che – come già ricordato – la popolazione residente è diminuita di 1,4 milioni, di cui 900mila nelle regioni del Mezzogiorno. In sostanza, gli stranieri lavorano per noi, occupano quei posti di lavoro che gli italiani rifiutano, fanno figli (in verità sempre meno) al nostro posto, vengono perseguitati da una burocrazia che li obbliga a lunghi periodi di attesa di una regolarizzazione. C’è poi un altro torto che subiscono da noi: li derubiamo dei loro livelli di povertà assoluta, per attribuirceli, allo scopo di poter piangere ancora più rumorosamente sulle nostre disgrazie. Alzi la mano che, ascoltando i servizi televisivi inneggianti alla povertà, ha capito che i dati – invero preoccupanti – riferiti alle famiglie e agli individui in condizione di povertà assoluta, erano riferiti alla popolazione residente e non solo agli italiani. Ribadiamo i concetti: Quando si parla di “povertà assoluta” si fa riferimento alla sopravvivenza, cioè al livello di vita ritenuto minimo indispensabile. La povertà relativa è appunto “relativa” agli standard di vita prevalenti all’interno di una data comunità.
Secondo le stime (Istat, Caritas, ecc.) nel 2021 il numero delle famiglie in povertà assoluta era pari ad oltre un milione e 900 mila, con una incidenza pari al 7,5%, sostanzialmente stabile rispetto al 2020 (quando era pari al 7,7%); gli individui in povertà assoluta superavano i 5,5 milioni (9,4%), anch’essi stabili rispetto al 2020. L’incidenza familiare e quella individuale di povertà assoluta continuano a registrare il loro massimo nel Mezzogiorno (rispettivamente 10,0% e 12,1%), mentre il Centro mostra i valori più bassi (rispettivamente 5,6% e 7,3%). Il Nord vede decrescere la quota di famiglie e di individui in povertà assoluta (rispettivamente 6,7% e 8,2%), pur non recuperando ancora i valori del 2019, mentre il Centro e il Mezzogiorno mostrano segnali di peggioramento per quanto riguarda l’incidenza a livello individuale (da 6,6% a 7,3% e 11,1% a 12,1%). Ma dove sta l’attribuzione indebita di povertà? Se guardiamo all’incidenza di povertà familiare disaggregandola in base alla cittadinanza dei componenti, nel 2021 le famiglie di soli stranieri continuano a registrare i valori più alti e vedono ulteriormente peggiorata la loro condizione (489mila famiglie, il 30,6%; erano il 26,7% nel 2020). Le famiglie di soli italiani si sono stabilizzate al 5,7% (oltre 1,3 milioni di famiglie), mentre le famiglie miste registrano un miglioramento, con l’incidenza che passa dal 22,2% del 2020 al 17% nel 2021. Come mostrato a livello generale, anche per le famiglie di soli stranieri l’incidenza di povertà è più alta nel Mezzogiorno (37,6%) e più bassa nel Centro (25,9%); nel Nord quelle di soli italiani vedono migliorare la loro situazione, con una incidenza di famiglie di questa tipologia in povertà assoluta che passa dal 5,4% del 2020 al 4,3% del 2021. Allargando la platea a tutte le famiglie con stranieri (cioè quelle di soli stranieri e quelle con almeno uno straniero), per quelle in condizioni di povertà si amplia la platea a quasi 614 mila famiglie (con una incidenza pari al 26,3% nel 2020; era il 25,3% l’anno precedente): si tratta del 31,3% delle famiglie povere mentre le famiglie con almeno uno straniero sono appena il 9% del totale. Analizzando la distribuzione delle famiglie povere per cittadinanza e ampiezza del comune di residenza, si nota come le famiglie povere con stranieri siano maggiormente presenti nei comuni più piccoli (fino a 50.000 abitanti e diversi dai comuni periferia area metropolitana) (260mila famiglie); mentre per quelle composte da soli stranieri i valori più elevati dell’incidenza si registrano nei comuni periferia area metropolitana e comuni con 50.001 abitanti e più (34% in crescita rispetto al 2020). Per le famiglie di soli italiani, invece la presenza maggiore nei comuni più piccoli coincide anche con l’incidenza più elevata e pari al 6,1%. La tipologia familiare mostra come, coerentemente con il dato generale, le famiglie più numerose siano maggiormente esposte al disagio; le famiglie con 5 o più componenti di stranieri mostrano valori quasi tre volte superiori dell’incidenza di povertà assoluta rispetto a quelle di soli italiani (43,9 % contro 15,3%); inoltre fra le famiglie con tre o più figli l’incidenza raggiunge il 46,6% tra quelle di soli stranieri contro il 13,4% per le famiglie di soli italiani. Quando sono presenti minori, l’incidenza di povertà assoluta tra le famiglie con stranieri cresce rapidamente fino ad arrivare al 52,1% delle famiglie con 3 o più figli minori (contro il 13,0% delle famiglie di soli italiani).
Quanto al reddito di cittadinanza, complessivamente, tra i beneficiari in misura non esonerati, esclusi o rinviati ai Comuni, la quota degli stranieri si assesta al 12,6%. Rilevante come l’incidenza degli stranieri aumenti considerevolmente se si guarda alla sola componente degli occupati, a indicare un tasso di occupazione relativo più elevato rispetto ai beneficiari italiani (34,3% contro il 18,8%).
Giuliano Cazzola