Servirebbero parole nuove. Quelle vecchie rotolano via, stonate e inutili. Tutti parlano ma pochi capiscono. Dall’inizio della pandemia sono stati scritti migliaia e migliaia di articoli, libri, saggi, analisi. Le trasmissioni televisive, alla spasmodica ricerca di audience, si contendono gli ospiti: chi la spara più grossa vince. Ognuno dice la sua, in una cacofonica contesa che aggroviglia ed esaspera ogni concetto. Ci sono il virologo apocalittico e quello tranquillizzante, i negazionisti e gli inquisitori, gli aperturisti e i chiuditori, i ribelli e gli ortodossi, i confusionari e i rigorosi. Un clangore di opposti estremismi. Mancano solo la donna barbuta, l’uomo scimmia, la gigantessa, il bicefalo, il nano imitatore, la sirena delle Fiji.
Escrescenze verbali che si contendono la notorietà aumentando la confusione e lo sconcerto. Il governo ha approntato il piano delle zone colorate. Giallo, arancione e rosso. I colori dell’emergenza. Il ministro della Sanità ha fatto appena in tempo a spiegare sine ira ac studio, come è nel suo lodevole costume, in che modo funziona il sistema che già si era scatenata una nuova sarabanda di polemiche. I presidenti delle Regioni, con la loro strumentale riottosità, inducono a riflettere su come fu avventato teorizzare il decentramento e l’autonomia come una fondamentale conquista democratica. Le riforme camminano sulle gambe delle persone e i governatori, con ogni evidenza, si considerano una sorta di grandi elettori ai tempi del sacro romano impero. Principi e duchi capaci di fare il bello e il cattivo tempo.
Roberto Speranza ha dettagliato il ricorso, per valutare le zone da colorare, a 21 parametri. Sono troppi, hanno subito sentenziato i soloni di turno. Gli stessi che, con ogni probabilità, avrebbero gridato allo scandalo se ne fossero stati indicati di meno. E ancora prima che si possa davvero valutare l’effetto di queste misure, i Girolamo Savonarola, che considerano i malati come peccatori, hanno invocato un nuovo lockdown senza considerare l’impatto nefasto che avrebbe sul piano sociale. Una serrata nazionale può essere affrontata da chi ogni mese riceve sul proprio conto corrente lo stipendio e la pensione ma metterebbe in ginocchio tutti gli altri. Non si tratta solo dei commercianti e dei ristoratori, che in realtà hanno più risorse di quanto lamentino e prima o poi dovranno fare i conti con l’evasione fiscale, ma dei giovani, degli artisti, dei disoccupati, dei precari, dei poveri, dei barboni. E delle donne, quelle che pagano un prezzo più alto quando sono costrette a chiudersi in casa con mariti e conviventi. Il numero delle violenze domestiche non fa notizia come quella dei contagi.
Ecco, non si tratta di anteporre le questioni dell’economia a quelle della salute ma di valutare le sofferenze imposte alle fasce più deboli. La rabbia e il risentimento si stanno sedimentando. Siegmund Ginzberg ricorda come dopo la Spagnola arrivarono il fascismo, la grande depressione, la Seconda guerra mondiale. Senza che si percepisse il legame tra i vari passaggi. E allora un approccio flessibile, fatto di ascolto e di grande sensibilità, sembra il più adatto. L’esecutivo, pur colpevole di ritardi, errori, omissioni, a sua volta volano di confusione, stavolta dovrebbe proseguire sulla strada scelta senza farsi spaventare né dalle farneticazioni dell’opposizione e dal ricorso alla piazza né dalle tiritere degli scienziati integralisti con il loro codazzo di chierici.
Certo, sono necessari maggiori controlli per evitare assembramenti e per mettere i menefreghisti, gli stupidi, gli irresponsabili, i prepotenti nelle condizioni di non nuocere. Perché ancora tanta gente gira senza mascherina? Non possono essere solo i cittadini ossequiosi a far rispettare le regole con l’esempio e con i rimbrotti.
E bisogna ridare senso al linguaggio, uscendo dalla torre di Babele che sta per crollarci addosso. Tomaso Montanari, chiosando un ritratto di Virginia Woolf, ha ricordato che la scrittrice, nell’angoscia bellica, esortava a “inventare nuovi metodi”. Franco Locatelli, forbito e saggio presidente del consiglio superiore di sanità, invita alla prudenza nel valutare la drammaticità dei dati e invoca “pensieri lunghi”. Andrebbe ascoltato.
Marco Cianca