Gli italiani. Vogliamo operare solo per il loro bene, promettono i politici di ogni risma. Michele Serra si dice convinto che questo modo di comportarsi è “il padre di tutte le falsità” perché chi sostiene di agire per conto dell’intera collettività mente in maniera spudorata, sapendo che “sta parlando e agendo solo a nome dei suoi elettori”.
Vero, verissimo. Ma la domanda è: chi sono gli italiani? Quali i tratti salienti e distintivi di questo popolo, ammesso che tale sia? Le origini sono le più disparate. Immigrazioni, invasioni, fusioni. Dagli indoeuropei ai fenici, dai greci ai celti, dagli ostrogoti ai longobardi, dai bizantini ai franchi, dai normanni agli arabi, dagli svevi agli aragonesi. Un crogiolo, un melting pot, nel quale è impossibile individuare, come avviene per altre etnie, dei connotati fisici unici, distintivi e caratteristici. La definizione più esaustiva e condivisibile appartiene ad Umberto Eco: “Il significato dell’Italia è puramente culturale e non razziale, l’eredità romana, una lingua parlata (almeno a livello letterario) sia da Cielo d’Alcamo che da Bonvesin della Riva, la presenza della Chiesa, la barriera naturale delle Alpi, un ideale politico iniziato con Dante, Petrarca e Machiavelli, centoquarant’anni di unità statale che ha diffuso per tutto lo stivale una certa omogeneità di comportamenti, nel bene come nel male”.
Benito Mussolini tentò di rinnovellare il fasto dell’Impero e poi, sulla macabra scia di Hitler, volle abbozzare, in odiosa e spregevole chiave antisemita, una nostra, ridicola, teoria razziale. Ora è Matteo Salvini a ergersi quale condottiero della peninsulare tribù. L’ampolla con le sacre acque del Po è stata portata in un ideale pellegrinaggio da nord a sud, trasformandosi nel sangue unificante di una rinnovata identità nazionale. Il falso orgoglio e la feroce rabbia di chi si sente vessato e incompreso, mosso da un senso d’ingiustizia e di oppressione, nella convinzione che le decisioni fondamentali vengano prese altrove, nelle segrete stanze della plutocrazia mondiale.
Solleticato nelle sue paure, un Paese multietnico e che vanta ottanta milioni di emigrati, si scopre xenofobo. I penultimi temono gli ultimi: gli immigrati albanesi, che furono la prima ondata, hanno il timore che il loro diritto di cittadinanza sia scalfito dagli africani. E così votano Lega. L’esibizione del rosario e le invocazioni della Vergine completano il quadro. Il sanfedismo ha radici più profonde del monachesimo e il cardinal Ruffo più seguaci di San Francesco. Lo storico Giuliano Procacci, nel descrivere le rivolte antinapoleoniche, ricordava “quell’armata aretina che al grido di “viva Maria” si riversò sulle città della Toscana e dell’Umbria, facendo strage di giacobini e di ebrei”. L’Italia ha conosciuto “la sua Vandea senza aver avuto una sua autentica rivoluzione”.
Una nazione costruita dall’alto invece che dal basso, dalle élite al posto delle plebi, dal Piemonte in opposizione alla Calabria. Per dirla ancora con Procacci, una causa permanente del nostro reazionario rancore è “l’individualismo agrario” che ha permeato anche la nascita dell’industria e l’urbanizzazione. Il resto è storia di minoranze.
Strimpellava Toto Cotugno: ” Lasciatemi cantare/perché ne sono fiero/io sono un italiano/un italiano vero”. Boh!
Marco Cianca