Periferia romana. Fila di autobus fermi, uno dietro l’altro, lungo un assolato capolinea. Gli autisti, aperte tutte le portiere, cercano un po’ di refrigerio all’ombra di un albero che stende i rami protettivi oltre il cancello di una vicina scuola privata. Parlottano tra di loro, questioni di turni. Alternano rivendicazioni e lamentele con reciproci sfottò. “A te, proprio non ti va di lavorare”, dice tra il serio e il faceto un tipo asciutto e nervoso al collega pacato e cicciottello, che replica con un bonario sorriso, allargando le braccia, come a confermare: “Che ci posso fare? È così”.
In attesa dell’orario di partenza, una donna e due uomini siedono sullo zoccolo di un muro condominiale. I volti inespressivi. Potrebbero essere lì da pochi minuti, come da ore se non da giorni. Rassegnati, muti, stanchi. Hanno la pelle di un colore diverso da quello dei conducenti. Due sono olivastri, forse bangladesi, una comunità presente nella zona, e uno nero, figlio della grande madre Africa. Poco più in là, una coppia di giovani rom si riposa dopo aver frugato nei cassonetti della spazzatura. Hanno accumulato il loro tesoretto, per lo più oggetti di metallo, in uno sbilenco passeggino, anch’esso scarto trovato chissà dove. Una minuta vecchietta sale a bordo, naso e bocca protetti da apposita mascherina. Prende subito posto, anche se la vettura è vuota. Meglio essere previdenti, magari all’ultimo momento arriva un sacco di gente.
Le rivendicazioni dei dipendenti Atac, l’afasia degli immigrati, l’isolamento degli zingari, la fragilità degli anziani. Rabbia, tristezza, indifferenza, paura. Quanto appaiono artefatti i sorrisi dei politici che ammiccano dalle colorate gigantografie incollate ai mezzi pubblici, tra le reclame di università private, di eventi culturali, di mobilifici. Sembrano essersi dati appuntamento qui, in una surreale tribuna elettorale.
Matteo Salvini incombe con il suo ghigno. Giacca blu e camicia bianca. Ecco il suo “credo”: “Iva zero su pane pasta, riso, latte, frutta e verdura. Pace fiscale, flat tax 15 per cento. Stop sbarchi”. Sorride anche Giuseppe Conte, camicia candida, senza giacca: “Dalla parte giusta”.
“L’Italia, sul serio”, ammicca compunto Carlo Calenda, anch’egli camicia bianca ma giacca nera. “Cara Italia, il 25 resta libera. Difendi i tuoi diritti, scegli l’Europa”: Emma Bonino, l’aria bonaria, gli occhi volitivi velati di antica tristezza. Il foulard usato come copricapo testimonia la battaglia contro il tumore.
Giorgia Meloni è soave nel suo abito celeste. Ha l’espressione serafica, il mento poggiato sul palmo della mano sinistra, un elegante anello in bella mostra. “Pronti a risollevare l’Italia”, garantisce. Enrico Letta mette in contrapposizione “più condoni per gli evasori” e “meno tasse per chi lavora”. “Scegli”, esorta. A differenza dei suoi colleghi-rivali, indossa la cravatta. Rossa, subliminale.
Il marciapiede si affolla di passeggeri in attesa. Studenti, donne con la sporta della spesa, uomini frettolosi. Nessuno, ma proprio nessuno, rivolge il benché minimo sguardo ai faccioni.
Viene in mente la scrittura profetica di José Saramago. In “Cecità” descriveva un’epidemia tale da produrre una generale perdita della vista. “Saggio sulla lucidità”, che si può considerare il seguito del primo romanzo, immagina quali sarebbero le conseguenze se, durante le elezioni, i cittadini decidessero di votare in massa scheda bianca. Non un complotto, come pensano le autorità scatenando la caccia alle streghe, ma “un’interruzione di energia civica”.
Gli autobus partono. Dentro la gente, fuori i volti dei leaders. Confusi con le altre pubblicità. “Scegli la porta giusta”, è lo slogan, involontariamente ironico, di una azienda specializzata. Un evento gastronomico viene promosso all’insegna di “pesce fritto e baccalà”.
L’immagine di una bella provola affumicata fa venire l’acquolina in bocca: “La vita è un mozzico, gustatela”.
Il capolinea resta vuoto ma solo per poco. Affluiscono subito altri mezzi e ricomincia il carosello.
Allegria!
Marco Cianca