Grande è la confusione sotto il cielo. E, al contrario di quel che diceva Mao, la situazione non è eccellente ma fetida. Le categorie classiche della politica sono deformate in un continuo gioco di specchi. Destra, sinistra, centro: difficile orientarsi in un tale ginepraio. Vale tutto e il contrario di tutto, nella continua rincorsa di un effimero consenso elettorale con il quale riempirsi la bocca. Roboanti promesse e sconcertanti minacce. Un caleidoscopio di arroganza e di stupidità. Il reddito di cittadinanza, la flat tax, l’immigrazione, le pensioni, la sicurezza, le grandi opere. Chi più ne ha, più ne metta. Sempre in nome di quello che viene invocato come il sacro popolo sovrano e che invece sempre più ha le caratteristiche del popolo bue costretto a ruminare le idee più strampalate.
Dilettanti allo sbaraglio, si direbbe guardando i perenni talk show che peraltro non chiariscono nulla e anzi alimentano il caos. Vanno in scena politici ridicoli e opinionisti per tutte le stagioni, sempre in un clima da stadio. Ma quel che colpisce è che le tifoserie si mischiano, come se non avessero una reale identità. Applaudono a vanvera, questo o quello pari sono, anche se sostengono opinioni alternative. Uno straniamento partecipativo, una forma di schizofrenia ideologica che nasconde una pericolosa incapacità di riflessione. Fanno pensare a masse di manovra a disposizione di chi grida di più. Sarebbe un bene per la stessa democrazia se al pubblico di questi spettacoli da circo, che altro non sono, fosse vietato di acclamare in continuazione. Nostalgia delle vecchie tribune politiche, quando le frasi di Fanfani, di Almirante o di Togliatti si sedimentavano nella testa dello spettatore, senza frizzi e lazzi.
E’ il trionfo dell’irrazionalità. L’emozione prevale sul ragionamento. Ogni obiettivo sembra possibile. I vincoli di bilancio e gli impegni europei possono essere stracciati impunemente. Anzi, staremo meglio, promettono i nuovi Masaniello. Assurdità, chimere. Ircocervi. E’ stato Silvio Berlusconi a richiamare questa mitica figura, metà capro (hircus) e metà cervo, per definire l’innaturale tentativo di alleanza tra la Lega e i Cinque Stelle. Lo aveva fatto nel 1942, con ben altra finalità morale e filosofica, Benedetto Croce per confutare il liberalsocialismo di Guido Calogero e l’impossibilità, a suo dire, di coniugare eguaglianza e libertà come propugnava il Partito d’Azione.
Ora l’Ircocervo è sceso dall’empireo dei grandi progetti politici, delle coraggiose e nobili utopie, e ha assunto le sembianze di miseri imbroglioni. Applausi.