Pubblichiamo con grande piacere un ricordo di Giovanni Pino, capo di gabinetto nella Commissione di garanzia per lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, per la scomparsa del prof. Giuseppe Santoro-Passarelli, al quale era molto legato.
La scomparsa di Giuseppe Santoro-Passarelli lascia un grande vuoto nella comunità scientifica dei giuslavoristi e non solo. Un vuoto particolarmente profondo, certamente sotto il profilo scientifico-professionale, ma anche sul lato umano, per tutti coloro che hanno avuto il privilegio di condividere con lui un rapporto di collaborazione.
A Giuseppe Santoro-Passarelli ero stato presentato, da giovane cultore di Diritto del lavoro, dal mio indimenticabile Maestro Massimo D’Antona e con lui avevo mantenuto un rispettoso rapporto, limitato, soprattutto, ad eventi ed iniziative nell’ambito della comunità giuslavorista. Nel 2015, gli avevo, timidamente, chiesto un contributo per un’opera collettanea da me curata su Diritti fondamentali e regole del conflitto e lui rispose subito con grande disponibilità, destinando a tale opera un bellissimo saggio su Autonomia privata individuale e collettiva.
Dopo la sua nomina a componente e poi Presidente della Commissione di garanzia sullo sciopero (Autorità nella quale ho rivestito a lungo il ruolo di Capo di Gabinetto), il mio rapporto con Pino Santoro-Passarelli è diventato di intensa e quotidiana collaborazione, per un periodo di circa sette anni, fino alla sua prematura scomparsa. Un rapporto che, nel suo evolversi, è divenuto anche di amicizia e mi ha dato la possibilità (e il privilegio) di poter avere con lui uno scambio “a tutto campo”, non limitato solamente agli aspetti inerenti l’attività istituzionale della Commissione, ma riguardante più in generale varie tematiche del Diritto del lavoro e il modo di affrontarle. Pur non essendo, accademicamente, un suo allievo, ho fatto sempre leggere a lui i miei recenti lavori, contando sul suo rigore metodologico e la sua disponibilità. Ho ricevuto, puntualmente, utili consigli e indicazioni; naturalmente anche critiche, ma sempre costruttive e corredate da preziosi suggerimenti, rivolti a rendere migliore il prodotto finale.
Non meno gratificante, per me, è stato scoprire il suo spessore di uomo eclettico e di grande cultura; il poter discutere con lui (a volte anche con vivaci dissensi) di politica e società, di letteratura, cinema, arte, di cui era un raffinato conoscitore (le copertine delle edizioni del suo Manuale sono emblematiche). Nei confronti di chi riteneva meritevole, Pino Santoro-Passarelli mostrava la sua sensibilità e la sua capacità di affetto, anche se manifestate, a volte, con qualche forma di (accettabile) intolleranza caratteriale.
Una cosa, peraltro, ci legava nei nostri diversi percorsi professionali: il rapporto che avevamo avuto, in tempi diversi, con Gino Giugni: lui come suo giovane assistente nel periodo in cui Giugni era Professore alla Sapienza ed io come diretto collaboratore durante la presidenza di Giugni alla Commissione di garanzia, ultimo suo incarico istituzionale, a conclusione di una laboriosa attività di studioso e di uomo delle istituzioni. Di tale esperienza, nella sua diversità, ci raccontavamo tanto.
Pino Santoro-Passarelli era cresciuto in un ambiente di densa cultura giuridica che è superfluo qui richiamare. La sua formazione, apparentemente di tipo prevalentemente dogmatico, si era, comunque, consolidata anche alla lettura di Tullio Ascarelli, traendo dalla sua dottrina l’esigenza di coniugare Realtà e Forma nell’evoluzione del diritto; “cucire”, come affermava Gino Giugni, la sapienza dogmatica con il pragmatismo e tenere ferma l’attenzione sulla realtà giuridica effettuale.
Con tale approccio metodologico, l’impegno scientifico di Pino Santoro-Passarelli si è confrontato con le tematiche più rilevanti che hanno accompagnato lo sviluppo del Diritto del lavoro. Solo per citarne qualcuna: il Trattamento di fine rapporto, inquadrato anche nel contesto della previdenza complementare; il Trasferimento di azienda e la tutela dei rapporti di lavoro; le nuove tipologie di Rapporti di lavoro di collaborazione continuativa e coordinata, come fattispecie in via di trasformazione che contribuiscono a ridimensionare il tipo del lavoro subordinato offerto dall’art.2094 del Codice civile; lo Sciopero nei servizi pubblici essenziali e il bilanciamento tra diritti costituzionali, in uno dei primi Commentari della legge 146 del 1990. La sua prima monografia del 1979 sul Lavoro parasubordinato rimane un contributo fondamentale per comprendere come il diritto del lavoro – pur nella salvaguardia dei propri principi cardine, come il sostegno del contraente debole, la solidarietà, etc. – nel suo sviluppo, non avrebbe potuto essere relegato al solo paradigma: subordinazione/autonomia.
Questi profili di rivisitazione della fattispecie tipica del lavoro subordinato – di fronte all’irrompere dell’innovazione tecnologica, nuove economie e nuove figure di lavoratori, spesso impiegati su piattaforme digitali e governati da algoritmi – sono stati oggetto di numerosi suoi recenti contributi. In essi viene affermata, l’esigenza di tutela del lavoratore di fronte ad un uso disinvolto della flessibilità, laddove questa si rivela non una risorsa e/o una prospettiva di creazione occupazionale, ma una mortificazione della dignità del lavoratore il quale, come scriveva Massimo D’Antona, rimane una persona, ancor prima che parte di un rapporto obbligatorio. E in tale chiave di lettura era anche, recentemente, rivolto il suo interesse verso lo studio dell’Intelligenza artificiale e il relativo impiego nel Diritto del lavoro.
Ancora di più, nel suo ruolo di Presidente dell’Autorità per gli scioperi nei servizi essenziali, Pino Santoro-Passarelli ha cercato di coniugare la sua sapienza teorica di studioso, con le esigenze pragmatiche derivanti dalla gestione e regolamentazione del conflitto collettivo.
Lui era ben consapevole che l’unica legge regolativa dello sciopero, nel nostro Ordinamento costituzionale, si fosse adoperata alla predisposizione di un sistema di regole incentrato, soprattutto, sul confronto permanente tra le parti sociali. Una gestione negoziale e dinamica del conflitto, nell’ambito della quale la Commissione non riveste (perlomeno non solo) una funzione autoritativa e sanzionatoria, ma si pone come centro propulsivo del sistema, punto di riferimento e di confronto tra organizzazioni sindacali, aziende e amministrazioni erogatrici dei sevizi, cittadini utenti.
Il ruolo di Presidente dell’Autorità di garanzia è stato interpretato da Giuseppe Santoro-Passarelli principalmente da giurista, vale a dire nel richiamo costante e rigoroso dei limiti derivanti dalla norma positiva, ma pur in una interpretazione evolutiva di questa. Non solo, memore dell’insegnamento di Gino Giugni, egli ha cercato di adoperarsi verso un modello di risoluzione negoziale, da realizzare anche attraverso forme di composizione del conflitto collettivo più politiche che normativo-burocratiche. Cercare di orientare prevalentemente l’intervento della Commissione “a monte”, in quello che Giugni definiva il conflitto latente. Un intervento rivolto così a superare anche impostazioni statiche che potevano derivare dal solo ricorso al metodo giuridico, o taluni formalismi burocratico-giuridici recepiti nella stessa legge 146 del 1990 e, probabilmente, nelle stesse prassi sindacali.
Durante la Presidenza di Santoro-Passarelli, la Commissione si è trovata, tra l’altro, ad affrontare il periodo dell’emergenza epidemiologica. Un periodo delicato nel quale, Pino Santoro si è trovato, suo malgrado, a dover emettere, durante la fase più critica dell’emergenza (ancor prima dell’adozione delle misure di lockdown da parte del Governo), un provvedimento che mai avrebbe pensato di adottare: una delibera con la quale, di fatto, si è posto il divieto di proclamare o effettuare scioperi nei servizi pubblici essenziali, ad eccezione di quelli motivati da gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori, o a difesa dell’ordine costituzionale (art. 2 comma 7 della legge 146/1990). Una delibera sofferta, ma resa necessaria per garantire la tutela dei diritti dei cittadini e non aumentare il diffuso senso di insicurezza, oltre che per non interferire con le attività delle autorità sanitarie nel contenimento del virus.
Il periodo dell’emergenza epidemiologica ha posto anche il problema di un possibile ampliamento praeter legem dei poteri della Commissione di garanzia, nel momento in cui, anche a seguito di importanti restrizioni delle libertà personali (di associazione, di mobilità, etc.) ogni servizio pubblico poteva, astrattamente, per sopravvenuta necessità di fruizione, essere ritenuto come essenziale e da ricomprendere nella legge 146/1990. In questo senso, la Commissione stessa è stata sollecitata, su vari fronti.
In tale contesto, Pino Santoro-Passarelli si è adoperato a mantenere l’intervento della Commissione in un ambito di grande prudenza (che a volte mi vedeva anche in rispettoso dissenso). Una scelta, comunque giustificabile dalla consapevolezza che un utilizzo più disinvolto dei poteri dell’Autorità, nella particolare situazione di restrizioni, determinata dalla pandemia, avrebbe, verosimilmente, finito per accrescere tenzioni sociali e porre in essere, o acutizzare, situazioni di conflitto.
Non posso che concludere questo mio breve ricordo di Pino Santoro-Passarelli richiamando ancora la sua capacità e predisposizione a coniugare dogmatismo e pragmatismo, misurando lo studio del diritto con le sfide della realtà in evoluzione. È proprio tale capacità a rivelare come più che mai veritiera la definizione che di lui hanno dato i suoi allievi nella titolazione degli scritti in suo onore, pubblicati nel 2018: “Giurista della contemporaneità”.
Giovanni Pino