Tim non si è fermata per il Covid. Non poteva, perché fornisce servizi essenziali, tanto più nel pieno del lockdown. Ha subito dei rallentamenti, ma è riuscita a garantire la salute dei lavoratori e la continuità della produzione senza danni per le retribuzioni. Decisivo è stato il ricorso allo smart working, utilizzato da ben 32mila persone su un totale di 45.500. Adesso è stato programmato un nuovo rallentamento per tre mesi per esser pronti alla ripresa a partire da luglio. Il tutto sempre in pieno accordo con i sindacati, le Rsu e i vertici delle federazioni di categoria. Giovanna Bellezza, la responsabile delle relazioni industriali del gruppo, guarda con fiducia al futuro.
Giovanna Bellezza, come ha reagito Tim all’emergenza in cui ci siamo trovati?
Bene, dal primo momento ci siamo mossi con velocità con tutti gli strumenti a disposizione, partendo dal presupposto che dovevamo conciliare la garanzia della salute con la continuità del business. Perché Tim non si può fermare, noi forniamo un servizio essenziale, l’azienda non ha mai chiuso. Giusto il distanziamento sociale, ma le persone hanno tanto bisogno di comunicare.
Avete cercato di contemperare le due esigenze.
Direi che ci siamo riusciti, anche grazie a un massiccio ricorso allo smart working, al quale peraltro eravamo preparati. Dei nostri 45.500 dipendenti, ben 21mila erano già pronti al lavoro da remoto, già lo facevano anche se solo una volta a settimana. Ma erano pronti e quando è scoppiata la pandemia avevano gli strumenti necessari, le dotazioni che servivano.
Avete reagito con immediatezza.
Proprio perché eravamo pronti. Poi le cose si sono complicate, le esigenze di distanziamento si sono fatte più stringenti, e abbiamo cercato di provvedere al meglio. Dato che non si poteva continuare a far lavorare tante persone vicine abbiamo studiato un piano straordinario di lavoro da remoto, abbiamo distribuito le attrezzature necessarie, alla fine abbiamo avuto 32mila persone che lavoravano da casa, un numero impressionante.
Con loro soddisfazione.
Sì, perché poter lavorare da casa, senza doversi recare in ufficio, li ha rassicurati, abbiamo avuto un riflesso importante sul clima generale. Poi, al di là dello smart working, abbiamo preso altre iniziative.
Quali tra le altre?
Tante e di vario genere. Interventi di sanitizzazione dei luoghi di lavoro, incremento dei ritmi di pulizia, misure di prevenzione per chi è entrato in contatto con un collega poi risultato positivo al Covid. Ancora abbiamo sottoscritto una polizza sanitaria a favore di tutti i dipendenti per coprire il rischio da Covid. Un’iniziativa che è stata molto apprezzata.
E per chi non poteva lavorare da casa?
Abbiamo previsto un miglioramento della franchigia sui ritardi, abbiamo raddoppiato i permessi per i genitori, una sorta di banca ore, abbiamo riconosciuto a tutti 16 ore, quindi due giornate, di permessi retribuiti. Tutti segnali per rassicurare chi non poteva lavorare da remoto: abbiamo cercato di bilanciare i diversi trattamenti per chi continuava a lavorare come prima e chi aveva accesso al lavoro agile.
Questo in un momento di grande pressione sulla rete, considerando che siamo tutti a casa.
Per fortuna siamo riusciti a potenziare velocemente la rete. Perché abbiamo avuto un incremento del servizio impressionante. I servizi in videoconferenza si sono moltiplicati in modo massiccio, il traffico da fisso è raddoppiato. Tantissimo lavoro, anche se non c’è stato un aumento parallelo dei ricavi. I nostri negozi sono aperti, ma vuoti, perché tutta l’economia ha subito un forte rallentamento.
Adesso avete affrontato la fase 2.
Il 6 aprile abbiamo negoziato e raggiunto un importante accordo con le nostre controparti su questa seconda parte dell’emergenza. E’ stata una grande fatica, abbiamo tenuto in video conferenza 138 persone, compresi tutti i rappresentanti delle Rsu che fanno parte del coordinamento sindacale. Siamo stati riuniti per otto ore, abbiamo discusso, confrontato testi, discusso come in tutte le trattative, alla fine abbiamo raggiunto un accordo che siamo riusciti a far firmare a tutti, sempre in via digitale.
Quali sono i termini di questo accordo?
Il punto di partenza è stato che non tutta l’azienda ha proceduto alla stessa velocità. Molti settori hanno rallentato l’attività per seguire l’andamento dell’economia. Non sappiamo come reagirà l’economia o quali saranno le conseguenze per il nostro gruppo. Ma abbiamo dato per scontato che ci sarà un rallentamento, al quale seguirà un periodo di intensa ripresa.
Come gestite il rallentamento?
La cosa più semplice sarebbe stata quella di ricorrere alla cassa integrazione ordinaria, quella messa a disposizione dal governo con procedure semplificate. Noi invece abbiamo deciso di reagire con ottimismo credendo che dopo il lockdown ci sarà una ripresa. E così abbiamo programmato un rallentamento per tre mesi, aprile, maggio e giugno, per intensificare l’attività nei mesi successivi.
Ricorrendo a quali strumenti?
Abbiamo massimizzato gli strumenti che già avevamo a disposizione. Dallo scorso agosto infatti Tim applica il contratto di espansione, un istituto sperimentale che prevede una riduzione dell’orario di lavoro, ma allo stesso tempo una riconversione professionale delle persone e anche delle assunzioni. Noi ci siamo impegnati ad assumere 600 persone nei prossimi mesi.
Di quanto avete ridotto l’orario di lavoro?
A seconda delle situazioni. In alcuni casi del 6%, in altri dell’1,9%. Anticipando le giornate di sospensione già previste per il 2020 dal nostro accordo, siamo riusciti a concentrare nel prossimo trimestre un numero elevato di giornate. Avremo a disposizione da giugno a dicembre 12 giornate, alle quali vanno aggiunte altre 5 giornate di chiusura collettiva, due che erano previste in questi tre mesi e altre 3 che erano programmate fino alla fine dell’anno. Contiamo al momento della ripresa, che abbiamo scommesso arriverà, di avere a disposizione tutte le forze necessarie. Certo, se l’emergenza dovesse continuare ci troveremmo in difficoltà, ma abbiamo deciso di correre questo rischio. E le persone hanno capito. Del resto, il nostro è stato anche un riferimento al concetto di responsabilità sociale dell’impresa: non abbiamo voluto, in un momento di difficoltà generalizzate, dragare con la cassa integrazione ordinaria risorse pubbliche che per tante altre aziende potevano essere essenziali per sopravvivere.
Per la fase tre cosa avete programmato?
Ci stiamo ragionando. Siamo tutti convinti che dovremo gestire un rientro scaglionato, per molti mesi ci sarà imposta una gradualità. Certo, l’esercizio in questi mesi di lavoro da remoto ci sarà utile, perché è vero che a volte lavorare da casa non è semplice, non fosse che perché non ci sono pause, ma tutti si sono impegnati al massimo e si è fatto un salto qualitativo importante. Per questo non credo che si tornerà indietro. Abbiamo imparato un metodo di lavoro diverso, tanti pregiudizi, che pure esistevano, da parte di chi pensava che lavorando da remoto provocasse un calo di efficienza, in queste settimane sono stati sbriciolati. Adesso tutti sanno che lavorare da remoto è possibile.
Ma non si continuerà come avete fatto in queste settimane, con quei numeri.
No, certo, ma non torneremo tutti i giorni in ufficio. Avremo ancora smart working, pur se non con i ritmi di queste settimane.
Il rapporto con i sindacati è stato positivo?
Sì, molto positivo, per tutto l’arco dell’emergenza. Non è un caso se Luciano Sale, il nostro capo del personale, il 6 aprile ha iniziato la riunione con i sindacati ringraziando tutti per la collaborazione prestata. Perché è stata ampia e continua, siamo stati sempre in contatto, ci siamo aiutati, con le Rsu, con le RLS, i rappresentanti della sicurezza, al di là del ruolo di ciascuno di noi. Anche perché quando si tutela un bene grande come la salute delle persone le differenze spariscono. E così le polemiche sono cadute. Abbiamo concordato procedure di lavoro, abbiamo condiviso, per esempio, come consentire ai nostri tecnici di entrare nelle case della gente. Questo che abbiamo appena vissuto è stato un periodo sfortunatissimo da tanti punti di vista, ma nel bisogno è venuta fuori la maturità di tutti e il frutto di tanti anni di lavoro assieme.
Massimo Mascini