Facciamo un gioco politico, anzi fantapolitico. Facciamo finta che noi siamo francesi, oppure che i francesi siano noi, con tutto il loro sistema istituzionale ed elettorale. Immaginiamo allora che Emmanuel Macron sia Enrico Letta, che Marine Le Pen sia Giorgia Meloni, Jean Luc Mélenchon sia Giuseppe Conte, Eric Zemmour sia Matteo Salvini, e via via a scendere tutti gli altri, con la gollista Valerie Pecresse nei panni di Silvio Berlusconi e la socialista Anne Hidalgo in quelli della sinistra più sinistra, cioè Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza, Nicola Fratoianni. In aggiunta, ma molto laterali, gli altri candidati francesi sconfitti che in Italia potrebbero essere incarnati da Matteo Renzi, Carlo Calenda e centristi di vario ordine e grado. Naturalmente dobbiamo giocare come se ci trovassimo in un sistema semipresidenziale, appunto alla francese, in cui il presidente della repubblica viene eletto dal popolo e sostanzialmente è il capo del governo, con una legge elettorale a doppio turno che prevede il ballottaggio tra i primi due arrivati. Gli altri devono accontentarsi di un piccolo diritto di tribuna e dei rimborsi elettorali, qualora superassero il 5 per cento dei voti.
In base ai sondaggi a nostra disposizione, al ballottaggio andrebbero Letta e Meloni, una sfida secca tra destra e sinistra che ricorda quelle tra Prodi e Berlusconi del 1996 e del 2006. In questo caso però non ci sarebbero coalizioni di cinque, sei, sette o anche nove partiti a sostenere i due candidati, con conseguenti e legittime pretese di ministeri e sottosegretariati, ricatti incrociati e giochetti di piccolo cabotaggio, ma al massimo dichiarazioni di voto per l’uno o per l’altra. Esattamente come sta accadendo in Francia in questi giorni. Poi, dopo il risultato, toccherà a chi avrà vinto aprire o meno il suo governo a qualche rappresentante delle forze minori che hanno invitato i propri elettori a votare per lui o per lei. In ogni caso, il vincitore avrà molto potere, quanto basta per consentirgli di governare per tutta la legislatura.
Vediamo allora come si potrebbero giocare la partita tutti gli atleti in campo. I due protagonisti cercheranno di acquisire i voti disponibili sulla piazza, Letta avrà il compito più difficile dovendo rivolgersi sia a sinistra che al centro, ovvero dovrà cercare di proporre un programma che possa convincere Conte, Bersani, Fratoianni, Renzi e Calenda, e non gli basterà appellarsi a una sorta di fronte popolare contro la destra: dovrà invece sforzarsi di spiegare agli elettori cosa intende fare su tutte le questioni all’ordine del giorno di un Paese che non sarà uscito dalla crisi economica, causata dalla pandemia e poi dalla guerra in Ucraina. In parole povere, dovrà esporsi sulle tasse, cioè chi ne deve pagare di più e chi di meno, sui destinatari delle poche risorse disponibili, sui diritti civili, sugli immigrati e così via. Non gli sarà facile convincere a votarlo i leader e gli elettori tanto diversi e spessissimo in contrasto tra loro, soprattutto i grillini e i radicali di sinistra che non amano (eufemismo) i renziani e i calendiani. E viceversa.
Per Meloni il gioco sembra più semplice, in fondo i valori (chiamiamoli così) delle destre italiane sono molto simili se non uguali. Quali sarebbero le differenze tra Fratelli d’Italia e la Lega? Pochissime, quindi è molto probabile che gli elettori di Salvini voterebbero convinti e in massa per Giorgia Meloni. Leggermente diverso il discorso per coloro che ancora si identificano in Forza Italia: per quanto anche per loro possa valere la “paura” della sinistra, dei comunisti direbbe il Cavaliere, qualcuno non si sentirebbe a suo agio con una presidente sovranista e sostanzialmente antieuropea, per di più scortata da Salvini. Cosi come gli stessi elettori di Renzi e Calenda, i quali difficilmente voterebbero Meloni al Quirinale. Mentre tra i Cinquestelle, dove troviamo persone che provengono da sinistra insieme ad altre che hanno una storia e una cultura che con la sinistra non c’entra niente, qualcuno che possa dare il suo voto a Meloni potrebbe esserci. Magari ricordando i “bei tempi” dell’alleanza col sovranista Salvini.
E allora evviva il sistema francese che ci consentirebbe di avere un Presidente eletto direttamente dal popolo, che potrebbe governare in santa pace per cinque anni, senza ostacoli, ricatti e diritti di veto dei partiti? Oppure meglio tenerci il nostro sistema, in cui il popolo vota i partiti che poi lo rappresentano in Parlamento, che a sua volta elegge il premier, il quale al Parlamento deve rispondere, così come sarà il Parlamento, ossia i partiti che lo compongono, che alle elezioni successive dovrà rendere conto al popolo di quel che è stato o non è stato fatto? Dal punto di vista della funzionalità, della governabilità, dell’efficienza e della rapidità delle decisioni, è evidente che sarebbe meglio la prima ipotesi. Ma da quello della democrazia, del pluralismo e della rappresentanza invece sarebbe meglio la seconda. Mettiamola così: se Giorgia Meloni venisse eletta direttamente dai cittadini, poi dovremmo tenercela a palazzo Chigi, anzi al Quirinale, per cinque anni. Se invece diventasse premier per volontà della maggioranza dei parlamentari, questa volontà potrebbe anche cambiare da un giorno all’altro. Ecco, meglio non rischiare.
Riccardo Barenghi