Il Codice degli appalti, a due anni dalla riforma, funziona, anche se è sempre possibile migliorarlo ulteriormente ma non sospenderlo o derogarlo ancora. È quanto pensa Alessandro Genovesi, segretario generale della Fillea Cgil. Per migliorare la situazione del settore delle costruzioni, per Genovesi è fondamentale assumere più tecnici nella pubblica amministrazione, qualificare le stazioni appaltanti e riprendere un serio confronto tra Governo, Imprese e sindacati che rimetta al centro gli interessi generali del Paese.
Genovesi, quali sono le misure più urgenti, in questa fase 2, per rilanciare il settore delle costruzioni?
La più importante è la qualificazione delle stazioni appaltanti. Partiamo dalle prime 100 stazioni appaltanti e facciamo un forte investimento in informatizzazione, con un concorso straordinario per assumere 5-6 mila tecnici (geometri, architetti, ingegneri, ecc.). In questi ultimi dodici anni sono venuti meno più di 15 mila tecnici nelle pubbliche amministrazioni. Si è creato così un vero collo di bottiglia. È sempre possibile ridurre alcuni tempi per le autorizzazioni e introdurre il risarcimento al posto dell’annullamento della gara in caso di ricorso, ma questo non c’entra nulla con la riduzione di tutele e diritti, controlli e legalità.
Qual è la situazione degli appalti pubblici?
Il Codice comincia ad essere metabolizzato e se si considerano i dati tra settembre 2019-gennaio 2020 emerge una crescita del 30% di appalti aggiudicati, + 26% di appalti in esecuzione con 11 miliardi accelerati solo sulle grandi opere. Per il 2020 le previsioni indicavano, prima del Covid, una crescita complessiva per l’edilizia pubblica ed edilizia privata, del + 10%.
Nella conferenza di stamattina avete indicato, che servirebbe, per un potenziamento delle stazioni appaltanti, un concorso in procedura d’urgenza per assumere almeno 6.000 ingegneri. Il ministro ha chiesto un bando per assumerne circa 250. È un problema di risorse?
Le risorse disponibili per i vari lavori pubblici, grandi e piccole opere, sono circa 130 miliardi. Potremmo impiegare 1 miliardo di euro per assumere i tecnici e spendere più velocemente gli altri 129.
Dopo la riforma del codice degli appalti la situazione dei cantieri è migliorata?
Dove il codice del 2016 si applica, le tutele e lo spazio di azione del sindacato e dei lavoratori sono maggiori. Purtroppo l’eccesso di subappalti, il distacco internazionale (ma qui il codice vi entra poco), aree grigie in termini di illegalità, aumentano la capacità di ricatto nei confronti dei lavoratori e quindi riducono la libertà sostanziale loro ed anche degli imprenditori perbene (che spesso rinunciano anche a parteciparvi).
Nella conferenza lei ha sottolineato come le direttive comunitarie non possano sostituire il codice degli appalti perché non normano l’esecuzione e il collaudo delle opere ma solo l’assegnazione dell’appalto. È possibile pensare una sorta di fusione dei due testi? O in alternativa, cosa propone?
Se c’è un’emergenza in corso, le norme del Codice già prevedono procedure semplificate. Se poi vogliamo prendere alcune buone pratiche europee come per esempio il divieto al massimo ribasso o la qualificazione preventiva delle imprese, in termini di solidità finanziaria, di personale dipendente per poter accedere agli appalti, questo è possibile farlo. Ma è necessario considerare alcune specificità italiane, come la criminalità organizzata e la connessione con alcuni ambienti politici; oppure la composizione del mercato, come la dimensione media di impresa, molto bassa, al mercato immobiliare privato, il 93% ha casa di proprietà, fino agli stessi assetti istituzionali.
La priorità per il Paese, in termini economici, di tempistica e di trasparenza, sono le grandi opere oppure pensa che convenga puntare sui piccoli cantieri?
Piccoli cantieri, manutenzione ordinaria e diffusa e grandi opere non sono in alternativa. I primi hanno un vantaggio: la velocità di cantierizzazione; le seconde servono a qualificare però i territori, favorire la mobilità di merci e persone, abbattere i costi logistici e ci via; quindi ridisegnare traiettorie di sviluppo di medio e lungo periodo.
Prendendo esempio dal modello Expo, lei ha proposto l’obbligo di contrattazione con le parti sociali e l’obbligo di collaborazione dell’ANAC su tutte le opere, soprattutto quelle gestite da commissari straordinari. Non si corre il pericolo di rallentare la messa a terra delle opere?
Assolutamente no. Il modello Expo funzionò e funzionò bene. Se il tema è accelerare la cantierizzazione dobbiamo ridurre i tempi autorizzativi, l’esecuzione non c’entra nulla.
Come sono i rapporti tra il sindacato e il governo?
Rapporti dialettici come sempre, ma oggettivamente migliori rispetto al Conte 1. Se penso ad alcuni temi di merito (dal ruolo delle rappresentanze sindacali, alle scelte di politica industriale, al rafforzamento delle politiche per il green building, sisma bonus, alla gestione della ricostruzione del Centro Italia, in particolare ora con Legnini, al rafforzamento di alcuni interventi contro l’illegalità) si nota un diverso approccio, più di merito e più sensibile ai temi posti dai lavoratori che rappresentiamo. I tavoli al Mit e al Mise stavano procedendo bene, poi il Covid ha fermato tutto.
E ora?
Ora si tratta di riprendere il confronto tutti insieme: Governo, Imprese, Sindacati per capire se, visto il contesto mutato, vi siano le condizioni per quello che ritengo sia la vera sfida oggi per le rappresentanze sociali e non solo nel settore delle costruzioni. Serve un “Patto tra Produttori” che rimetta gli interessi generali del Paese al centro, un modello di sviluppo più avanzato che non demonizzi il ruolo del pubblico e faciliti la crescita di qualità dell’impresa privata, più relazioni industriali e meno tifoserie. È essenziale riuscire a governare i processi produttivi e sociali che già si annunciamo per l’autunno complicati, nel mondo, in Europa e nella nostra “fragile” Italia.
Quali sono gli interventi da realizzare prioritariamente?
Dobbiamo tutti insieme riformare le pubbliche amministrazioni, riformare il Credito, investire su ricerca ed innovazione, rilanciare le infrastrutture, investire in massicce azioni di rigenerazione urbana e di potenziamento del welfare, a partire da quello locale. Mettere a terra cioè più risorse possibili per creare occupazione di qualità. In poche parole coniugare efficienza, innovazione e tutele per difendere l’occupazione che c’è e crearne di nuova, anche per assorbire chi, in settori diversi (penso alla ristorazione e al turismo per esempio) potrebbe essere espulso. Siamo di fronte ad una grande sfida: usciremo da questo periodo con più divisioni e più disuguaglianze oppure con più coesione e solidarietà. Dipende da tutti noi. Nessuno escluso.
Emanuele Ghiani