Il dramma di Genova ha riacceso i riflettori su alcuni temi cruciali per l’Italia: la gestione e la manutenzione di una rete stradale che inizia a sentire il peso degli anni, ma anche il rapporto e il giusto equilibrio tra pubblico e privato. Genova è un po’ lo specchio del nostro paese, dove lo sviluppo urbano ed economico deve fare i conti con un territorio fragile. Ne abbiamo parlato con Alessandro Genovesi, segretario generale della Fillea Cgil.
Genovesi, sono passate quasi tre settimane dal crollo del ponte Morandi, quali punti emergono da questa tragica vicenda?
Il dramma di Genova ha riproposto tre grandi temi, cruciali per il nostro paese: la pianificazione e la messa in sicurezza delle infrastrutture, indispensabili per lo sviluppo economico, il rapporto tra pubblico e privato e capire quale sistema di regole si vuole adottare per la gestione di questi aspetti.
Qual è lo stato di salute delle nostre infrastrutture?
È innegabile che gran parte della nostra rete stradale inizi a sentire il peso degli anni. Per quanto riguarda un piano di messa in sicurezza e aggiornamento si è avuto un cambio di rotta importante con il progetto Connettere l’Italia e la previsione di un investimento significativo da 120 miliardi. Bisogna superare la logica di ragionare solo sulla singola opera, ma pensare a un sistema di vie di comunicazione interconnesse, con una strategia pluriennale per passare dalla gomma al ferro, per valorizzare la naturale vocazione logistica dell’Italia nel mediterraneo che poi sono i punti più importanti, insieme ad un’idea di motore industriale affidato a Ferrovie ed Anas, di Connettere l’’Italia. Allo stesso tempo, non ha più senso ritenere che ci sia una contrapposizione tra la manutenzione dell’ordinario e le grandi opere, che sono invece due aspetti complementari. I fatti drammatici di Genova non devono farci abbandonare questa impostazione ma rafforzarla.
Un grande modello di sviluppo infrastrutturale non può, tuttavia, prescindere dalle regole.
Assolutamente, anche perché il rispetto delle regole è sinonimo di qualità. Il nuovo codice degli appalti è riuscito a portare avanti punti importanti, come la separazione tra progettazione e realizzazione, per avere un maggior controllo sulle diverse fasi, il rispetto dei contratti, l’offerta economicamente più vantaggiosa e clausole sociali. Sono elementi che devono essere rafforzati e sui quali non si può assolutamente fare marcia indietro. Cosa diversa una semplificazione di alcuni passaggi come per esempio l’estrazione della terna, la pre qualificazione con garanzie finanziarie, ecc. Ma non giriamoci attorno quello che manca è una qualificazione delle stazioni appaltanti e del pubblico dopo troppi anni di svuotamento di professionalità e competenze tecniche.
La tragedia di Genova ha riacceso il dibattito anche sul rapporto tra pubblico e privato. Lei cosa ne pensa?
Credo che su questo versante ci siano dei profondi squilibri. Prima di tutto c’è una mancanza di chiarezza all’interno della maggioranza di governo. Se da una parte si parla di togliere la concessione ad Autostrade, dall’altra non si capisce il perché si guardi con interesse alla liberalizzazione delle manutenzioni e dei sub appalti. In tutte le cose serve equilibrio, anche perché nel tempo si sono consolidati presidi industriali, professionalità, livelli occupazionali importanti. E per far ripartire il settore delle opere pubbliche servono scelte industriali e politiche creditizie più attente alle dinamiche reali del Paese (pensiamo alla sofferenza di chi attende anni prima di essere pagato dalla Pubblica Amministrazione. Manca inoltre, certamente, la giusta vigilanza sulle concessioni e più in generale su come le aziende che lavorino per il pubblico siano sottoposte ad un controllo reale. Se escludiamo forse il caso dell’energia dove mercato e Authority hanno un rapporto dialettico, molte liberalizzazioni non hanno fatto altro che creare Monopoli privati. Questa mancanza è dovuta a un vuoto normativo, visto che non esiste una legge quadro sul tema delle concessioni autostradali. Dall’altra, c’è la necessità di un’authority che svolga il proprio compito come avviene, appunto, nel settore energetico a garanzie prima di tutto di giuste tariffe e investimenti in economia reale.
Ritiene giusta l’ipotesi, più volte annunciata dal governo, di togliere la concessione ad Autostrade?
Sicuramente togliere la concessione non è così facile e immediato come sembra. Se poi sia giusto o meno passare dal privato al pubblico, penso che non si debba dare un veto a priori contro lo Stato Gestore. Ma il nodo è capire se il pubblico abbia la capacità, in termini di competenze professionali e di risorse economiche, per farsi carico della gestione e dei livelli di investimento e soprattutto se siamo o no dentro una strategia più complessiva sul sistema dei trasporti e delle infrastrutture.
Pensa che ne sia privo?
Negli ultimi anni c’è stato uno svuotamento, in termini di competenze tecnico-scientifiche, come ingeneri, architetti e geometri, dal pubblico impiego. Anche questo è stato un effetto della vittoria culturale e politica dei liberisti e dei teorici della terza via. Eppure si tratta di figure indispensabili, sia per controllare e valutare l’operato del privato, sia per farsi carico di una eventuale futura gestione. È innegabile che in Autostrade oggi ci siano alte professionalità che non devono essere sperperate. L’altro tema riguarda i livelli occupazionali. Sarebbe assurdo pensare a degli esuberi tra i 5mila addetti della galassia Autostrade.
Quali saranno, secondo lei, i tempi della ricostruzione del ponte, e chi crede che debba farsene carico?
Mi auguro che le tempistiche siano le più rapidi possibili. Questo vorrebbe dire dare una risposta celere agli sfollati e ripristinare un’arteria vitale per il porto più importante d’Italia. Se poi Autostrade presenterà il progetto migliore nei tempi più brevi, credo che sia giusto affidare a lei la ricostruzione. Il discorso sulle concessioni dovrà essere affrontato in una fase successiva del dibattito, quando la magistratura avrà accertato eventuali responsabilità. La cosa ora più importante è far ripartire la città di Genova, le sue imprese, il porto. È una questione nazionale che interessa il Paese, visto l’importanza della città e della regione. Se possibili contenziosi giudiziari, affidamenti di progettazione e poi di esecuzione, ecc. – al di là di chi sia il soggetto – vogliono dire che un altro soggetto ci dovrà mettere più tempo penso che sia sbagliato far pagare ai cittadini genovesi due volte la tragedia…
Come valuta la gestione del Governo in queste prime tre settimane?
La questione è estremamente complessa. Genova è un po’ lo specchio dell’Italia, dove si deve fare i conti con il rischio idrogeologico, un’urbanizzazione spesso selvaggia e la necessità di uno sviluppo sostenibile. Ecco perché non si può pensare di risolvere tutto con ricette semplici e semplicistiche, che rischierebbero di fare più danni, o di fare proclami a colpi di tweet. Da questo punto di vista se il Governo sentisse il bisogno di confrontarsi con le forze sociali, noi siamo qui con idee e proposte.
Tommaso Nutarelli
@tomnutarelli