Dopo averlo tante volte evocato, forse adesso ci siamo. Il patto sociale triangolare per il rilancio dell’economia potrebbe vedere la luce a breve. Dietro questa nuova determinazione c’è la comune consapevolezza della gravità della situazione: economica, ma soprattutto sociale. E’ stato Mario Draghi il primo a sottolineare la necessità di un accordo. “Ci attendono mesi difficili, ha affermato, la sensazione del disagio sociale è sempre più marcata, serve un confronto permanente e un patto sociale tra le parti sociali”. Maurizio Landini non ha potuto che trovarsi d’accordo sulla gravità della situazione. “Tra qualche mese, ha detto, senza nuove misure a sostegno dell’economia, la situazione sociale rischia di diventare esplosiva”. Detto, fatto. Dopo un primo incontro a Palazzo Chigi e un paio di riunioni con sindacati e imprenditori, gestite dal ministro Orlando, l’appuntamento è per tutti per la settimana prossima, dopo Pasqua, attorno a un tavolo a tre per capire come gestire l’emergenza.
Non sarà una passeggiata, questo è certo, anche perché i temi da affrontare sono numerosi e tutti complicati. Su tutti, uno, quello dei salari. L’inflazione viaggia su livelli altissimi, già sopra il 7%, come non vedevamo da decine di anni, e il sistema per adeguare con il rinnovo dei contratti nazionali i salari, basato sull’Ipca, che non tiene conto del rincaro dei prezzi energetici importati, non è ritenuto sufficiente, nonostante il Patto della fabbrica lo abbia confermato pochi anni fa. Applicando quel sistema, dicono i sindacati, i salari non riuscirebbero a recuperare gli aumenti dei prezzi, che per lo più sono incentrati proprio sui prodotti energetici. Landini ha messo le mani avanti. “Se qualcuno pensa di proporre un patto sociale per moderare i salari, ha affermato, commette un errore, la Cgil non lo firmerà mai. Lavoratori e pensionati non hanno più nulla da dare, hanno già pagato e non si torna indietro”.
Ma non sembra che sia diffusa la voglia di attaccare i salari, che stanno oggettivamente rischiando di perdere potere di acquisto. Il governo pensa al massimo a un intervento per un salario minimo, ma senza scontentare i sindacati. Anche Carlo Bonomi si rende conto che i salari non possono scendere, anzi, crede semmai che sia giunto il momento di dare più soldi ai lavoratori, ma a patto che non si carichi questo onere sulle aziende. La situazione, sostiene il presidente di Confindustria, è gravissima, la guerra in Ucraina sta rendendo tutto più complicato. I dati del suo Centro studi affermano che a causa dei costi dell’energia il 16% delle aziende ha già fermato gli impianti o comunque rallentato la produzione e nel giro di tre mesi, senza un intervento del governo, un altro 30% potrebbe trovarsi nella medesima situazione.
Quindi, no a un via libera alle rivendicazioni contrattuali, ma si, invece, a una strategia per pagare di più i lavoratori. I sindacati a loro volta sono preoccupati, anche perché stanno per scadere importanti contratti nazionali e la situazione potrebbe precipitare. Sul come arrivare a un accordo le opinioni non collimano, ma la soluzione più gettonata sembra essere quella di detassare gli aumenti salariali contrattuali. Bonomi ha anche fatto dei conti, a suo avviso servirebbero tra i 16 e i 18 miliardi, che non sono pochi, ma, afferma, potrebbe non essere difficile reperirli nelle pieghe di bilancio, riprendendo la pratica della spending review, forse troppo frettolosamente abbandonata. “I margini, dice il presidente degli industriali, ci sono”.
Ma tutti concordano anche su un’altra cosa importante, sulla necessità di rafforzare la contrattazione. Perché il problema di fondo della nostra industria è sempre lo stesso, la produttività che non cresce, e per farla aumentare servono certo politiche industriali degne, comunque difficili da mettere sul campo, ma soprattutto serve tanta contrattazione, in azienda e nel territorio, perché ormai è sperimentato che solo dal dialogo tra i diversi protagonisti può venire la soluzione dei mille problemi che affliggono la produzione.
Anche quello del rilancio della contrattazione però è un campo minato perché non è chiaro come occorra muoversi. Basta pensare a quei mille diversi contratti nazionali che il Cnel ha registrato, un numero abnorme, che la dice lunga sulla giungla che esiste nel campo della contrattazione. Il governo pensa che sia necessario un accordo che dia spazio e valore erga omnes ai contratti firmati dalle parti sociali effettivamente più rappresentative. Il ministro Orlando ha fatto esplicito riferimento alla possibilità di arrivare a una legge che riesca a contare la rappresentatività dei sindacati, recuperando i termini dell’accordo che i sindacati e gli imprenditori, tutti gli imprenditori, trovarono già nel 2014 e che per diversi motivi non è mai stato applicato. Sull’ipotesi di una legge sarebbero più o meno tutti d’accordo, solo la Cisl si oppone per evitare che governo e Parlamento intervengano in una materia che è di stretta competenza delle parti sociali. Più complesso trovare un metodo per calcolare la rappresentatività delle associazioni imprenditoriali, perché un accordo non esiste ed è difficile arrivarci, proprio perché non ci si è mai provato con serietà e determinazione. Forse in questo caso l’unica soluzione potrebbe un atto di forza, al quale nessuno avrebbe la capacità di opporsi con troppa decisione.
Tutto bene quindi, tutto in discesa? Assolutamente no, perché se effettivamente sembra esistere una volontà di fondo di tutti, o meglio perché nessuno sembra in grado di opporsi con decisione a una soluzione positiva di una trattativa per un patto sociale, le difficoltà restano numerose e affrontarle non sarà agevole. La Cgil di Landini sembra per lo più scettica sull’opportunità di un mega accordo, il segretario generale non ha mai nascosto la sua preferenza per accordi più limitati, come del resto se ne sono fatti tanti anche in questi ultimi due difficili anni. Sarà necessaria tanta pazienza e tanta fantasia, ma i termini di questo possibile accordo sono così importanti che sembra impossibile che tutti non cerchino di dare il massimo per cogliere il risultato finale.
Massimo Mascini