«La crisi consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere. E in questo chiaroscuro nascono i mostri». Sono le profetiche parole di Antonio Gramsci che aprono il saggio a quattro mani Generare libertà. Accrescere la vita senza distruggere il mondo (il Mulino, 2024) di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti. Un esergo declinato al presente che delinea lucidamente il contesto di immobilismo in cui siamo immersi, relazionando il passato cristallizzato nel suo tempo con un futuro che non può darsi a venire. Una stasi, quella attuale, che non lascia fluire la vita e che pure di “più vita” si alimenta. Anzi, siamo noi stessi con le nostre esistenze straripanti, eccessive, a dargli carburante. La nostra libertà – frutto di una società del benessere iperconnessa che ci fa desiderare sempre di più, che ci sollecita a consumare seguendo un moto perpetuo di desiderio e negazione dello stesso in continua propensione verso il successivo -, di cui abbiamo una fame implacabile e della quale pure siamo gelosi, contiene in sé però una contraddizione: quell’io sovrano al centro del mondo, misura di tutte le cose come l’uomo Vitruviano di Leonardo, è atomizzato e ha perso la sua caratteristica di animale sociale; procede votato all’unico soddisfacimento e attestazione del suo statuto di autodeterminazione, nella sua singolarità, dimentico del principio relazionale e orientato nel mondo solo da una legge tecno-economica che quantifica, “datifica”, più che qualificare. «Gli anni della crescita illimitata (quelli che vanno dal 1990 a 2008) hanno tradotto in fatto socio-economico una concezione di libertà che mira a far cadere ogni limite esterno alla autodeterminazione dell’Io, se non quello del “possibile” – cioè del tecnicamente fattibile […] a poco a poco, l’esistenza nella sua integralità si ritrova impigliata nella logica del funzionamento». Il tutto in barba a un ecosistema che va letteralmente a rotoli. «Più vita per miliardi di individui» – e cioè aspettative di vita più lunghe, diseguaglianze attenuate, più comfort, sicurezza, varietà di scelta – «comporta come effetto collaterale l’aumento dell’entropia, cioè del grado di disordine, disorganizzazione e rischio di morte del sistema vivente planetario». È evidente che un sistema del genere non sia più sostenibile e le crisi che si susseguono una dopo l’altra ne sono prova tangibile. Che fare? Come coniugare il nostro sacro e intoccabile vincolo di libertà secondo quelle leggi del mondo – perennemente violate – che non possono più essere ignorate? Possiamo ancora decidere qualcosa nel mondo che abbiamo costruito?
Nella loro breve ma intensa trattazione, Giaccardi e Magatti non pervengono a una risposta, ma propongono qualcosa di più concreto ed efficace – pure se inserito in uno svolgimento puramente teoretico: propongono un metodo, che è quello della messa in discussione del modo in cui abbiamo fin qui interpretato il desiderio di più vita. I due autori, infatti, mettono in crisi la cornice epistemologica entro cui la modernità è tutt’ora declinata, quel modello di capitalismo della crescita che si crede vincente poiché generatore di un di benessere crescente e potenzialmente illimitato che tuttavia si configura come una pura illusione. Una gabbia che si restringe sempre di più. Attraverso quello che è a tutti gli effetti un esercizio di filosofia contaminato da principi di sociologia e politica, Giaccardi e Magatti sollecitano piuttosto alla conversione verso un capitalismo sostenibile, che non presuppone una tabula rasa dell’esistente, ma piuttosto di lavorare attraverso di esso alla ricerca di uno spirito nuovo per il tempo che viene.
«Il passaggio – spiegano – è prima di tutto culturale: ripensare (e sottoporre a critica) il principio di sovranità, cioè l’idea di vita su cui si basa l’individualismo contemporaneo» e sono due i «fatti nuovi e convergenti» che ci spingono, a viva forza, in questa direzione: «la costitutiva relazionalità della vita, in ogni sua forma», per cui tutto è in relazione, e la realtà che «reagisce al nostro modello di sviluppo e ci sollecita con forza a cambiare». Il capitalismo dei consumi ha spinto il nostro desiderio a concentrarsi esclusivamente sulla relazione con le cose, ma «il paradosso è che, cercando più vita e più libertà, rischiamo di perderle» perché «più vita per miliardi di individui comporta come effetto collaterale l’aumento dell’entropia, cioè del grado di disordine, disorganizzazione», che spinta sempre oltre dal desiderio di “più vita” sta facendo approdare la società verso un concreto «rischio di morte del sistema vivente planetario». Opposta all’entropia è la neghetropia, qualità principale della vita che, organizzandosi, assorbe risorse dall’esterno, le rielabora ed espelle scarti nell’ambiente circostante. È nell’equilibrio dinamico tra queste due spinte che risiede la capacità dell’uomo di adattarsi all’ambiente, non il contrario che è deleterio, un sistema aperto imprevedibile che sintropicamente apre all’umano la possibilità di pensiero, di creazione, di sviluppare quel principio generativo atrofizzato dai modelli capitalistici spinti a questo limite.
La questione, quindi, è prendersi cura del pensiero, la cui perdita di autorevolezza – nella società della comunicazione tecnologica in cui contano solo numeri e dati – è più che evidente : il pensiero è ciò che riordina, che dà forma, restando però sempre aperto all’inatteso, all’incalcolabile, alle provocazioni e alle convocazioni del mondo. Più vita, e quindi più libertà, per l’umano, è possibile solo con più pensiero, «che è la condizione per contrastare ogni pretesa di saturare l’avvenire, il senso, i significati». Il pensiero, quindi, è «la premessa necessaria per poter mettere in discussione il modo in cui abbiamo fin qui interpretato il desiderio di più vita; e per poter non solo contrastare l’entropia (neghentropicamente) ma trasformare (sintropicamente) i rischi in opportunità. La questione, dunque, investe nella sua interezza il piano noetico. Dove la noesi […] è costituita da una molteplicità di piani: quello della razionalità, della percezione, dell’affezione, della rappresentazione, della intuizione, della immaginazione».
«La via è quella di comprendere più a fondo, di nuovo, la logica che presiede alla vita in generale e, al suo interno, la sua forma umana. Il desiderio di andare oltre, di esplorare, di essere riconosciuti, di essere coinvolti nella realtà, di stabilire relazioni di senso e affezione – in una parola di avere “più vita” – non si compie mai del tutto, definitivamente, senza conflitti e tensioni. Ma non possiamo non continuare a desiderare di creare luoghi di vita in cui questo dinamismo venga assecondato e possa esprimersi». Alla base di tutto, quindi, resta il principio di relazione con l’altro, che nella modernità è stato marginalizzato da quel processo di digitalizzazione che ha impoverito il pensiero sollevandoci da ogni responsabilità individuale con il fine illusorio di renderci unici e autentici. Il risultato, invece, è una completa omologazione. Ci si attesta, infatti, ci si “individualizza” solo per contrasto con l’altro, in relazione alle sue differenze, ed è attraverso il suo sguardo che si attesta il nostro stare al mondo e ci affranca dal mero ruolo di consumatori. La relazione ci rende vivi e liberi, ci apre all’inaspettato, alla creatività, resuscita il pensiero sopito dalla datificazione delle nostre esistenze. Ci fa riappropriare del principio generativo. Ma la relazione è anche con il tempo e il contesto, con il passato e con l’ambiente, ed è questo uno dei concetti chiave del libro: nella vita non si può prescindere. Il soggetto e il contesto sono in continuo rapporto dialogico, un perenne scambio di materia ed energia che contribuisce a consolidare proprio quel principio dinamico prima richiamato, e che pure non resta mai uguale a sé stesso. «La lezione che ci viene dalla comprensione più profonda che oggi possiamo avere della vita è quella di superare la concezione astratta che sta alla base dell’individualismo moderno, abbracciando piuttosto una fenomenologia del concreto vivente, quale l’umano è. […] la vita non può essere oggettivata, tanto meno datificata, proprio perché ciò che più conta accade come espressione di una singolarità in relazione, dentro una situazione unica».
Il problema che tiene in stallo l’epoca moderna è la concezione che si ha di libertà, declinata come “liberarsi da” piuttosto che “libertà di”, avvertita come potenzialmente lesiva della libertà stessa. «Di fatto, però, senza una elaborazione positiva dell’idea di libertà e in una prospettiva che rimane individualista, il sogno di libertà diventa un sogno di sovranità, cioè di dominio: sull’altro (il servo che diventa padrone) o sulla realtà (homo deus)».
La libertà così come concepita nella nostra supersocietà rischia di far collassare il mondo e anche se il limite ultimo di guardia sembra a un passo dall’essere varcato, Giaccardi e Magatti non impiegano toni apocalittici. Anzi, il loro lavoro è una esortazione al risveglio, alla riappropriazione di una identità – di un principio generativo – che abbiamo delegato, o peggio, sacrificato sull’altare del benessere e ci ha resi assopiti da logiche che non ci appartengono e che piuttosto ci dominano. Un benessere che si sta ritorcendo contro noi e il nostro ecosistema. Il paradosso della libertà è che ricercando più vita abbiamo finito con il limitarla bruscamente, compromettendo non solo le esistenze presenti, ma anche quelle future. Generare libertà. Accrescere la vita senza distruggere il mondo è quindi un invito, pure difficile da decifrare, a fare più e fare meglio, in relazione e in prospettiva – sicuramente senza prescindere. Il vero rammarico è che proprio in virtù di quell’assopimento del pensiero su cui gli autori insistono particolarmente, il testo possa rimanere relegato a una élite che, anche se per sommi capi, è già consapevole di questa atrofia del presente. L’auspicio è che il senso venga immesso nel discorso comune tramite una presa di responsabilità da parte di quel gruppo di eletti, magari spogliato da sofismi e concettualizzazione escludenti che allontanerebbero ulteriormente la maggioranza dall’ascolto e introiezione del messaggio. Se il linguaggio, nella contemporaneità, è stato impoverito e vilipeso (come rilevano Giaccardi e Magatti), non bisogna incorrere nell’opposto di sublimarlo e renderlo di ostica comprensione. Questo, anche, potrebbe essere un primo passo verso la democratizzazione del pensiero che sta venendo meno e imbarbarendo ulteriormente le masse.
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: Generare libertà. Accrescere la vita senza distruggere il mondo
Autore: Chiara Giaccardi, Mauro Magatti
Editore: il Mulino – Collana Contemporanea
Anno di pubblicazione: 2024
Pagine: 171 pp.
ISBN: 978-88-15-38799-8
Prezzo: 15,00€