I corpi sono testi significati dai percorsi evolutivi della Storia, portatori di narrazioni collettive che sono insieme sociali, politiche, economiche e scientifiche e da esse sono inscindibili. Nella loro coabitazione i corpi si ridefiniscono costantemente, calati in assetti che reciprocamente influenzano e mutano spingendo il senso dell’evoluzione in direzioni imprevedibili. Sono per questo costantemente sottoposti a osservazione e lettura, interpretazione e ridefinizione, e lo sguardo posto su di essi può rivelare concettualità e connessioni quantomai inimmaginabili. È queso il punto di partenza di Gender Tech. Come la tecnologia controlla il corpo delle donne, il nuovo saggio scritto da Laura Tripaldi, scienziata e scrittrice, che racconta il posizionamento del corpo femminile nel rapporto con le tecnologie di genere attraverso un arguto schema interpretativo che intreccia scienza, Storia, sociologia e teoria femminista.
Partendo dalla semplice quanto insidiosa domanda “Che cos’è una donna?”, Tripaldi ci conduce alla scoperta della ridefinizione “forzata” della verità del femminile, anzi, del genere femminile e della sua sessualità. La verità, e quindi l’oggettività, non può che definirsi attraverso il sapere scientifico, mediato a sua volta dalla tecnologia. Ma «qual è la funzione di questi strumenti, che agiscono come intermediari tra i corpi e la nostra conoscenza su di essi?». Speculum, pillole anticoncezionali, app di period tracking, ecografie, test di gravidanza: secondo l’autrice, la capacità di una certa strumentazione tecnologica sui corpi delle donne è contemporaneamente sia quella indubbia di emanciparli sia, più sottilmente, di porli sotto una forma di dominio, contribuendo a rafforzare «vecchie e nuove forme di oppressione». Riprendendo il concetto di biopolitica coniato da Michel Focault per indicare l’ingresso della vita «nel campo di controllo del sapere e d’intervento del potere», Tripaldi sostiene che «in nome della tutela e del controllo della vita, i corpi all’interno della società contemporanea sono sottoposti a forme sempre più capillari di controllo e di sorveglianza» proprio attraverso quelle “tecnologie di genere” in cui si individua la «capacità di proiettare un nuovo sguardo all’interno del corpo», che dovrebbe pronunciarne la verità, «trasportando l’esperienza privata delle persone nella sfera pubblica del sapere scientifico».
Il concetto di materializzazione, che l’autrice pone come uno cardini speculativi della trattazione, è in questo senso utile a figurare quell’ “oscuro femminile” che si rende pubblico e che si situa proprio nel rapporto tra corpo e tecnologia per tramite di un’interfaccia. Dalla diffusione massiccia degli ormoni sintetici – i cui effetti collaterali pure di severa entità sono tenuti perlopiù all’oscuro della platea di coloro le quali ne fanno uso, rebrandizzandoli come life style drugs -, al controllo della fertilità nelle popolazioni più fragili – come nel caso di Portorico, le cui donne prima, dal 1937, furono sottoposte a sterilizzazioni forzate, poi , tra il 1956 e il 1959, divennero oggetto della prima sperimentazione umana su larga scala della pillola contraccettiva, il tutto in nome del “neo-malthusianesimo” per sconfiggere povertà e miseria -; dall’uso dell’ecografia come arma di propaganda degli anti-abortisti – che alla retorica morale o religiosa hanno sostituito l’incontrovertibilità dell’immagine scientifica che non può essere ontologicamente contestata –, alla monetizzazione dei dati sensibili attraverso le app di period tracking.
In questo senso, sottolinea Tripaldi, «le tecnologie non sono soltanto strutture artificiali che si innestano su una biologia pre-esistente: sono macchine che producono discorsi, costruiscono verità, assemblano nuove forme di natura», spazi «in cui si costruisce l’oggettività del sapere». È la profonda stratificazione di processi tecnologici che ci ha permesso di conoscere l’identità del corpo femminile, restituendo un’affermazione che si pone come reale e indiscutibile. Per questo motivo, sono allo stesso tempo «dispositivi di controllo e territori di lotta, che, se riconquistati, ci concedono la possibilità di riscrivere le regole tramite cui i nostri corpi sono rappresentati e disciplinati».
La narrazione proposta da Laura Tripaldi in Gender Tech. Come la tecnologia controlla il corpo delle donne è come un cuneo insinuato nei sottili interstizi che profilano il discorso sull’identità femminile; un tentativo di indagine epistemiologica attraverso prospettive storiche, teoriche, scientifiche e culturali che come “linee di forza” si intrecciano a volte in maniera interessante, ma il più convergenti in una circonvoluzione di spunti e idee, pure interessanti, su cui il discorso, però, si aggroviglia. Al computo finale, si è tentati di leggere la teorizzazione proposta (non nuova, ma rinnovata) più come una provocazione che come interpretazione del reale, ma questo tentativo si traduce in una disamina capziosa sostanzialmente fine a sé stessa laddove lo stesso concetto di provocazione è ormai svuotato di significato in questa epoca di confusione babelica in cui ogni idea sembra essere validata dal solo fatto di essere in democrazia. Il che, in ultimo, lancia un’ombra lunga soprattutto sulla new vawe della teoria femminista, le cui discettazioni – che a volte appaiono francamente pretestuose – cercano di guadagnare terreno anche sull’orlo del baratro teorico. I labili confini dell’essere o non essere donna, della materializzazione dell’immateriale come forma di rituale apotropaico per esorcizzare il perturbante femminile, sembrano essere attraversati tanto non dall’esigenza speculativa, ma da una forzatura del campo teorico ed empirico che, infine, non fa che diluire un campo di riflessione già di per sé imperscrutabile.
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: Gender Tech. Come la tecnologia controlla il corpo delle donne
Autore: Laura Tripaldi
Editore: Laterza – Collana “Tempi Nuovi”
Anno di pubblicazione: 2023
Pagine: 168 pp.
ISBN: 978-88-581-5061-0
Prezzo: 18,00€