Negli ultimi 50 anni, il rapporto tra contrattazione e legge è sempre stato unidirezionale: la contrattazione ottiene miglioramenti (per una fabbrica, per un settore), alcuni di questi miglioramenti diventano validi per tutti grazie a una legislazione che li assume e li trasforma in diritti universali. È stato così per il diritto alle ferie retribuite, per le 150 ore, l’orario massimo, i riposi settimanali, i diritti sindacali, la salute e la sicurezza e molto altro. Tant’è che si può dire, a ragion veduta, che molte delle grandi riforme degli anni 70 (sanità, pensioni, scuola) derivino direttamente dalle lotte sindacali di quegli anni.
Da circa un decennio, invece, sembra aver preso spazio, anche dentro il sindacato, l’idea di un percorso inverso: che sia più normale rivendicare con forza i diritti giusti (o denunciarne la violazione) perché questi arrivino prima o poi per iniziativa del legislatore o, addirittura, del Governo.
Io credo che questa scelta sia un’inversione radicale del mestiere sindacale e forse un errore, anzi due. Il primo errore dipende dal fatto che il legislatore, ossia il Parlamento, per essere innovativo e migliorare le condizioni generali di lavoro ha bisogno di soluzioni già consensualmente sperimentate: fa fatica a scegliere per primo e non bastano le proteste o le lotte di una parte sola, seppure importante come il sindacato, a smuoverlo dalla sua volontà e funzione di rappresentanza generale. Perché il legislatore è specchio, nei fatti, della situazione politica del Paese, che negli ultimi decenni si è sempre più allontanata dai problemi sociali e del lavoro (ben prima del Governo Meloni). Il secondo errore dipende dal fatto che il sindacato non può svolgere solo (tantomeno prioritariamente) una funzione di mobilitazione politica dell’opinione pubblica se non ha sperimentato sui luoghi di lavoro la giustezza delle proprie posizioni con accordi e contratti.
Facciamo un caso concreto: le diseguaglianze di fatto nei trattamenti di lavoro (orari, permessi, inquadramento, retribuzioni) tra maschi e femmine nei luoghi di lavoro (privati e pubblici). Se le cose stanno come sono descritte nel blog di Nunzia Penelope (2 maggio 2023), penso che non sia sufficiente rivendicare parità di trattamenti a partire dalle leggi esistenti o dalla Costituzione, se la realtà va da un’altra parte. E nemmeno immaginare che nuovi provvedimenti legislativi, una volta richiesti, possano giungere a risolvere tutto. Allora, che fare? Bisogna, io credo, rimboccarsi le maniche e ripartire dal basso (come si è sempre fatto).
Mi sono riletto l’ultimo e molto importante contratto nazionale dei metalmeccanici e ne ho ricavato una considerazione e una proposta.
La considerazione dipende dal fatto che il tema delle diseguaglianze di genere viene affrontato (implicitamente, se non ho inteso male) nel capitolo che tratta di “pari opportunità”, anch’esso molto ricco di indirizzi e strumenti. Ma le pari opportunità sono, anche quando pienamente realizzate, uno strumento ex ante, non una misura di quanta eguaglianza queste opportunità paritetiche producano nei fatti: nella realtà quotidiana del lavoro concreto (“dei lavoratori in carne ed ossa”, come avrebbe detto Bruno Trentin). Di qui allora la proposta. Perché non sperimentare l’elezione di una “Rappresentante della Parità di Genere” che sia eletta da tutti, che verifichi l’esito delle “pari opportunità”, che denunci le diseguaglianze esistenti e trasformi in rivendicazioni quella lesione dei diritti delle lavoratrici? Una “Rappresentante della Parità di Genere” facente parte della RSU, come esiste il rappresentante alla sicurezza (RLS), per intenderci. Certo, per far passare l’idea che lo stesso lavoro deve essere inquadrato e pagato allo stesso modo e garantire la stessa carriera per maschi e femmine, è indispensabile avere il consenso sia delle lavoratrici che dei lavoratori che sappiamo non essere scontato su questi temi: fare una battaglia interna, prima ancora che una trattativa con le imprese. Ma è una battaglia anche culturale che può innovare davvero la qualità e la dignità del lavoro per tutti e che pertanto è urgente avviare.
Gaetano Sateriale