Il Diario del Lavoro ha intervistato Carlo Frighetto, responsabile area Lavoro, Previdenza, Education presso Confindustria di Vicenza, sull’esperienza del welfare aziendale nel distretto produttivo vicentino, nata e sviluppata grazie al progetto “Welfaremeet”, una piattaforma innovativa per la gestione diretta dei servizi di welfare alle imprese associate.
Quando è nata e come si è strutturata la risposta della Confindustria di Vicenza al tema del welfare aziendale?
La nostra attenzione al welfare aziendale nasce nel 2015, quando è stato lanciato il progetto “Welfaremeet”. Inizialmente, il progetto aveva assunto la forma di una rete d’imprese, nell’area di Bassano del Grappa, per condividere le convenzioni a favore dei dipendenti. Le imprese aderenti erano una decina, per un totale di 2mila addetti. Lo scorso anno c’è stato poi il cambio di passo decisivo: “Welfaremeet” ha indossato una veste più tecnologica, diventando una piattaforma informatica, sviluppata totalmente da Confindustria, per la gestione e la consulenza nei servizi di welfare aziendale per le imprese associate. Naturalmente noi, come sindacato, avevamo già iniziato a discutere della possibilità di introdurre forme di welfare aziendale, grazie anche allo stimolo dato dalla normativa in materia, orientandoci, come primo passo, verso la stipulazione di convenzioni con supermercati, asili nido e studi medici, da mettere a disposizione dei dipendenti delle aziende aderenti a Confindustria.
Qual è la logica che guida la vostra piattaforma di welfare, e con quali modalità mettete a disposizione delle imprese i servizi di welfare?
Il nostro scopo è quello di offrire un servizio ulteriore ai nostri associati, mettendo sul piatto una rosa di servizi che sappiano cogliere le reali necessità di lavoratori e imprese. I beni offerti rispecchiano dunque i bisogni che emergono all’interno delle aziende, o, come spesso accade, sono il frutto di quanto viene deciso negli accordi sindacali. In questo modo è possibile valorizzare pienamente il capitale umano delle aziende. Offriamo inoltre un’azione di consulenza, che si dimostra particolarmente utile quando le aziende devono confrontarsi con gli aspetti più strettamente fiscali e burocratici del welfare aziendale, che richiedono competenze non sempre alla portata di tutti.
Quali sono i servizi di welfare maggiormente richiesti tra quelli che la vostra piattaforma mette a disposizione?
La scelta dei dipendenti si rivolge, ancora, su quei benefit che potremmo definire di prima necessità. In cima alla lista delle preferenze abbiamo i buoni benzina (28,4%), seguiti dalla previdenza complementare (20%) e dai rimborsi (16,6%), relativi alle spese mediche o scolastiche. I servizi legati al benessere restano ancora distanti, ma non si esclude affatto una loro crescita.
Dal suo punto di vista, le sembra che inizi ad esserci una cultura diffusa del welfare aziendale, oppure sussistono ancora delle differenze in base alla tipologia dell’azienda e al settore produttivo di appartenenza?
Non credo che ci siano più questo tipo di differenze. Quello che vedo è che c’è ormai una percezione e una cultura del welfare aziendale diffuse in maniera trasversale. Naturalmente, sono state le grandi imprese che hanno trainato il nostro progetto, e ci hanno anche aiutato ad implementarlo, e senza dubbio resta ancora molto da fare per una diffusione consapevole del welfare aziendale. Ma ora, come dicevo, non c’è più una dicotomia così netta tra realtà piccole e grandi. Semmai si può riscontrare qualche differenza in base ai settori economici. Per fare degli esempi concreti, nel terziario avanzato sarà più facile trovare una maggiore attenzione, da parte dei lavoratori, ai servizi relativi al wellness. Mentre nel distretto vicentino, composto prevalentemente da industrie manifatturiere, c’è, come abbiamo visto, una maggiore attenzione agli istituti più classici del welfare aziendale. Tuttavia, anche questa differenziazione non deve essere più presa in modo troppo rigido.
Come è stata la risposta, da parte dei lavoratori e dei sindacati, a questa vostra iniziativa?
Da una parte c’è stata un’accoglienza positiva, sopratutto sul versante dei lavoratori e delle imprese, mentre le associazioni sindacali hanno risposto con una iniziale diffidenza.
Su quali aspetti c’era diffidenza, e cosa avete fatto per vincerla?
I sindacati credevano che il nostro progetto avesse come unico scopo quello di fare del business. Però, già solo il fatto che non facciamo pagare nessun costo aggiunto, dovrebbero essere un segnale chiaro di come il nostro intento sia quello di mettere a disposizione un’azione sindacale che sia la più ricca possibile. Abbiamo dunque dato molto importanza alla comunicazione, per spiegare che, per noi, la diffusione del welfare aziendale è prima di tutto diffusione di best practices, incentrate sui bisogni della domanda. Siamo inoltre presenti nelle imprese per formare le RSU sugli aspetti fiscali e burocratici del welfare aziendale: aspetti sui quali, in diverse circostanze, sia l’impresa sia il sindacato non hanno ancora le competenze necessarie.
Cosa ne pensa della crescente diffusione di portali che vendono servizi definiti di welfare, ma che tali non sono, perché rientrano di più nel wellness e nel tempo libero. Non crede che ci possa essere un fraintendimento di ciò che veramente è il welfare aziendale?
Nel valutare questo fenomeno bisogna tener conto di diversi fattori. Il primo è la popolazione lavorativa con la quale ci andiamo a confrontare. Prendiamo, ad esempio, una realtà come Assolombarda, che opera all’interno di un tessuto produttivo nel quale vi è un’alta presenza di servizi innovativi. Parliamo di un contesto che vede una componente femminile significativa, con livelli di inquadramento e quindi di retribuzione mediamente elevati. In virtù di questi aspetti, una parte dei servizi messi a disposizione da Assolombarda potrebbero vertere maggiormente sull’area del wellness, poiché rispondono alle richieste dei lavoratori, e perché determinati aspetti più tradizionali, legati alla previdenza complementare o al rimborso delle spese sanitarie, sono già presenti. Bisogna poi capire con quale logica e con quali criteri operano le piattaforme di welfare aziendale.
Con il progetto “Welfaremeet”, Confindustria Vicenza è diventata essa stessa un vero e proprio provider di servizi. Naturalmente il nostro portale è fatto a immagine e somiglianza delle necessità di imprese e lavoratori. La nostra azione è dunque orientata, esclusivamente, a soddisfare i bisogni della domanda. Assolombarda, invece, è un provider re-seller, ossia acquista da altri pacchetti già pronti, per poi rivenderli. È chiaro che non si tratta di un welfare “fatto in casa”, come potrebbe essere il nostro. Chi per proprio business si muove nel campo del welfare aziendale, metterà sul mercato servizi che rispondo più agli interessi dell’offerta che della domanda, servizi standardizzati, e non calibrati per quella specifica azienda o per quel singolo lavoratore.
Questa nuova e ulteriore veste indossata dalla Confindustria di Vicenza, come provider di servizi di welfare, non crede che possa far venir meno la parte più tipicamente sindacale?
No, anzi, credo che sia un modo per esaltare e rendere ancor più virtuoso il nostro modo di fare ed essere un sindacato. Noi offriamo un servizio che, fino a questo momento, è compreso nella quota associativa pagata dalle imprese, ma sopratutto cerchiamo di progettare un welfare che sappia incontrare i bisogni dei nostri associati, che non solo sia foriero di benefici per le imprese e i loro addetti, ma che abbia anche una ricaduta sul territorio. Mettiamo a disposizione le nostre professionalità per offrire una piena consulenza alle aziende, affinché possano muoversi consapevolmente nel mondo del welfare aziendale.
Dunque il welfare aziendale rappresenta un terreno di confronto importante per le rappresentanze sindacali?
Assolutamente si! Impostarlo nel miglior modo possibile vuol dire tener conto delle diversità del tessuto produttivo che abbiamo davanti, strutturando proposte credibili, che contemplino beni e servizi calati nelle vere necessità delle imprese e del territorio. Se si agisce secondo questi criteri, allora il welfare aziendale può rappresentare una vera opportunità per innescare un percorso virtuoso, capace di accrescere il benessere dei lavoratori. In questo, le piattaforme che vendono servizi di welfare sono carenti, perché si strutturano, sostanzialmente, come portali e-commerce, che mettono sul piatto una rosa di servizi estremamente standardizzati. È dunque importante che le parti sociali prendano in mano il welfare aziendale, per poterlo governare e gestire nel migliore dei modi, anche attraverso una diffusione di quelle competenze, necessarie per comprendere gli aspetti tecnico-burocratici, che ancora sono carenti.
Tommaso Nutarelli