In un anno normale, la fine di luglio segna l’inizio delle vacanze estive. E questo non solo per le tante persone che si accingono a partire per periodi più o meno lunghi, ma anche per la nostra vita politica interna. Le Camere chiudono i battenti e per i giornali comincia a diventare difficile riempire le pagine dedicate alle cronache politico-parlamentari. Ma quest’anno, segnato dalle conseguenze derivanti dall’esplosione della pandemia da Covid-19, ciò è assai meno vero.
È meno vero, innanzitutto, per milioni di italiani, che – avendo rinunciato sia ai progetti di viaggi all’estero, che alle ipotesi di soggiornare in alberghi e pensioni del nostro bel Paese – resteranno in città o trascorreranno periodi più brevi del previsto presso parenti, amici e conoscenti dotati di seconde case o cercheranno qualche altra soluzione più o meno improvvisata.
Ma è meno vero anche per le nostre vicende politiche. Da un lato, infatti, la situazione della maggioranza a quattro che ci governa (M5s, Pd, Iv, Leu) rimane incerta. Dall’altra, il tema coronavirus, tutt’altro che risolto, continua a restare dominante. E ciò sia in relazione alla gravissima crisi economica che è stata indotta dalle misure di lockdown adottate per contenere la pandemia e che ha assunto un valore di ufficialità con i recentissimi dati Istat sul crollo del nostro Pil, sia in relazione alla non meno grave crisi sociale che molti osservatori temono possa esplodere a settembre.
È quindi impensabile che chi ha la responsabilità di guidare il Paese in una situazione così difficile, a partire dal Governo, possa prendersi adesso un periodo di vacanza. Va anzi detto che la nostra vita politica resterà agitata soprattutto in relazione ai rapporti del nostro Paese con l’Unione europea. E ciò non perché tali rapporti non siano buoni, ma perché opportunità e scadenze derivanti dal nostro inserimento nell’Unione sono diventati, in mezzo alla crisi indotta dalla pandemia, sempre più cogenti e incalzanti.
Bisogna dire, infatti, che nel contesto di una crisi economica globale così forte da richiamare come unico precedente paragonabile quello della Grande Crisi del 1929, l’Unione Europea ha battuto un colpo. Forse insufficiente sul piano politico, ma sicuramente consistente su quello economico. E ciò specie al termine dell’interminabile riunione svoltasi a Bruxelles tra il 17 e il 20 luglio scorsi.
Partiamo dunque da qui. Ovvero da un breve riepilogo delle decisioni definite dalla Ue per contrastare la crisi economica indotta dalle misure assunte nei vari Paesi che la compongono per bloccare l’espansione dell’epidemia.
In primo piano c’è il cosiddetto Recovery Fund, un piano per la ripresa economica il cui nome ufficiale è Next Generation EU, ovvero Prossima generazione dell’Unione europea. Nome impegnativo e beneaugurante di un insieme di misure che ammonteranno a 750 miliardi di euro. Di questi, 390 miliardi saranno costituiti da grants, ovvero trasferimenti a fondo perduto, e 360 da loans, ovvero prestiti.
Di queste risorse, secondo le stime diffuse, più o meno ufficiosamente, dal nostro Governo, dovrebbero arrivare all’Italia 81,4 miliardi in sussidi e 127,4 miliardi come prestiti. Cifre imponenti, come si vede. Ma non è tutto.
In secondo piano, c’è infatti il pacchetto di aiuti da 540 miliardi già stanziato dalla Commissione dell’Unione Europea a fronte dell’emergenza Covid. Un pacchetto costituito dai 200 miliardi messi a disposizione della Bei (Banca europea degli investimenti) a sostegno delle piccole e medie imprese; dai 100 miliardi del fondo Sure (Support to mitigate Unenployment Risks in Emergency), volto a sostenere misure tipo Cassa integrazione; e, infine, dai 240 miliardi della nuova e apposita linea di credito creata nell’ambito del Mes (Meccanismo europeo di stabilità) per finanziare misure assunte dai singoli Stati per contrastare le conseguenze sanitarie della pandemia e, quindi, per rafforzare i loro sistemi sanitari. E questi, sia chiaro, sono tutti prestiti.
Bisogna poi tenere conto del fatto che più massiccio di questo insieme di prestiti e trasferimenti è l’azione che, in parallelo, viene comunque portata avanti dalla Bce, la Banca centrale europea. I cui programmi di acquisto di Buoni del Tesoro emessi dai vari Stati dell’Unione ammontano, seguendo le linee tracciate a suo tempo da Mario Draghi, a qualcosa come 1.350 miliardi di euro.
Ora è ben vero che, a fronte di uno sforzo di politica economica le cui proporzioni sono tali da soddisfare sia la volontà dei due Paesi-guida dell’Unione, ovvero Francia e Germania, sia i desideri dei Pesi della fascia mediterranea (Portogallo, Spagna, Italia e Grecia), la stessa Presidente di turno dell’Unione, Angela Merkel, ha dovuto lasciare qualcosa sul piano della governance dell’intera operazione che venisse incontro al punto di vista dei Paesi nordici, capitanati, in questa circostanza, dal capo del Governo olandese, Mark Rutte. E qui ci riferiamo al cosiddetto “freno di emergenza” che potrà rallentare, e quindi contrastare, ma non azzerare, l’assegnazione di prestiti e trasferimenti a singoli Paesi dell’Unione che dovessero apparire meno degni di fiducia o, comunque, meno meritevoli di ricevere un determinato aiuto.
Va però anche detto che l’azione congiunta delle tre donne che in questo momento guidano le strutture chiave dell’Unione – e cioè Angela Merkel che, nel secondo semestre del corrente anno, è la Presidente di turno dell’Unione; Ursula von der Leyen, che è la Presidente della Commissione della stessa Unione; e Christine Lagarde, che è il Presidente della Bce – ha costruito un insieme di strumenti che potranno effettivamente costituire, per i singoli Paesi dell’Unione, un aiuto concreto per combattere le disastrose conseguenze della pandemia. Solo che, ecco il punto, bisognerà che i singoli Paesi si dimostrino, da un lato, meritevoli di riceverli e, dall’altro, capaci di usarli.
E qui si torna, come d’incanto, dalle relazioni fra l’Italia e l’Unione europea, alla nostra politica interna.
Il primo punto, infatti, è che per poter accedere all’insieme di prestiti e trasferimenti previsti dal Next Generation, i singoli Paesi, e dunque anche l’Italia, dovranno presentare entro metà ottobre piani dettagliati e convincenti circa il loro utilizzo. Ora a quel che si sa mentre scriviamo, e cioè nell’ultimo giorno di luglio, l’Italia sembra essere, da questo punto di vista, in ritardo circa l’elaborazione di questi stessi piani.
Da questo punto di vista, non resta che sperare che il nostro Governo trovi già in agosto, e poi in settembre, l’energia e la capacità di lavorare non solo con grande impegno, ma nel modo più produttivo possibile, in modo tale da presentarsi preparato all’appuntamento di ottobre.
Il secondo punto sta invece nel fatto che anche se, come è auspicabile, tutto andasse bene, e cioè anche se l’Italia presentasse puntualmente progetti apprezzabili e credibili tali da poter ottenere le risorse di cui abbisognamo, tali risorse non saranno materialmente disponibili prima dell’estate del 2021, e cioè fra un anno.
Nel frattempo, come si è visto, la fetta più consistente delle risorse già rese disponibili dalla Commissione è quella costituita dalle linee di credito create nell’ambito del Mes. Secondo una stima ormai notissima, tali linee di credito potrebbero consentire all’Italia di chiedere già adesso prestiti per un ammontare di circa 36/37 miliardi di euro. I quali, come è anche ampiamente noto, non solo sono già disponibili, ma ci verrebbero erogati con un tasso di interesse vicino allo zero, ovvero più basso di qualsiasi altro tasso di interesse reperibile nel mondo reale a fronte di prestiti di qualsiasi tipo, buoni del tesoro compresi.
Ora, tornando alla maggioranza che ci governa, Pd e Iv si sono ripetutamente espressi in modo favorevole al ricorso al Mes, insistendo sia sulla sua immediata disponibilità, sia sulla assoluta necessità di poter disporre immediatamente di risorse finanziarie fresche impiegabili per poter cominciare da subito a rafforzare e innovare il nostro sistema sanitario. Il M5s, invece, ha oscillato fra rifiuti aperti, divagazioni varie e qualche equivoca quanto timidissima mezza apertura.
In particolare, alcuni commentatori, forse raccogliendo segnali provenienti da fonti piddine, hanno sottolineato che nella risoluzione approvata mercoledì 29 al Senato a sostegno del nuovo scostamento di Bilancio richiesto dal Governo, sta scritto che la risoluzione stessa impegna il Governo “a prevedere l’utilizzo, sulla base dell’interesse generale del Paese e dell’analisi dell’effettivo fabbisogno, degli strumenti già resi disponibili dall’Unione europea per fronteggiare l’emergenza sanitaria e socio economica in atto”. E ciò, comunque, “garantendo un costante rapporto di informazione e condivisione delle scelte con il Parlamento”. Quindi, niente colpi di mano governativi, perché il Parlamento va comunque informato e coinvolto nelle scelte. Ma anche l’accettazione, da parte di tutta la maggioranza che ha approvato la Risoluzione, dell’idea di “prevedere l’utilizzo (…) degli strumenti già resi disponibili dall’Unione” per “fronteggiare l’emergenza sanitaria e socio economica in atto”. Ovvero, secondo alcuni esegeti, Sure e Mes messi insieme in una frase sola per attenuare il colpo dell’assenso dato implicitamente, appunto, anche allo stesso Mes.
A questo punto, i pessimisti potrebbero osservare che una risoluzione non si nega a nessuno. Mentre gli ottimisti, nel senso dei favorevoli al ricorso alle suddette linee di credito, potrebbero ricordarci che, come dicevano gli antichi Romani, “verba volant, scripta manent”.
Va comunque detto che a questo punto, anche fra gli osservatori più freddi, si sta consolidando l’idea che, piano, piano, e senza dare nell’occhio, anche i grillini comincino ad accettare in cuor loro l’idea che i soldi del Mes non siano poi così disprezzabili.
Concludendo: domani comincia agosto. Ma, da molti punti di vista, è come se fossimo già a settembre.
@Fernando_Liuzzi