Le recenti evoluzioni del quadro normativo in materia di formazione continua pongono una serie di interrogativi sui quali è necessario incoraggiare un dibattito esteso e costruttivo che coinvolga da vicino i sindacati, chiamati a istituire e gestire i fondi interprofessionali.
Dalla sentenza 4304/2015 del Consiglio di Stato, che ha ribaltato l’orientamento della giurisprudenza del TAR Lazio n.13111/2014, alla nota dell’Autority anticorruzione (ANAC) del 15/01/2016, sino alla Circolare n.10/2016 del Ministero del Lavoro, il crescendo di voci degli addetti ai lavori – che reclamano certezza sulle regole applicabili nelle gestioni dei fondi interprofessionali – è diventato un accorato appello.
Sottovalutando gli effetti di interventi interpretativi privi di un adeguato confronto con le parti sociali, si rischia infatti di indebolire quella che anche in Italia (come accade nei Paesi più avanzati) dovrebbe essere considerata una delle leve strategiche più valide per stimolare l’innovazione del mondo del lavoro e, di riflesso, della società e dell’economia.
La condivisibile necessità di aumentare la trasparenza, ridurre gli sprechi e contrastare la corruzione, facendo convergere i fabbisogni formativi verso un’offerta sempre più di qualità, contrasta con la tendenza a imporre un’ulteriore ed eccessiva burocratizzazione nei parametri di gestione e di rendicontazione dei fondi.
Certamente, le regole su cui si basa il funzionamento del sistema possono essere cambiate e rafforzate ma, a monte, dovrebbero poter essere applicate; per farlo occorre far sapere con chiarezza quali sono le interpretazioni corrette da seguire, quali sono i criteri e la metodologia che possano soddisfare e superare positivamente il sistema dei controlli di Stato.
Sullo specifico dei controlli è utile una precisazione: i fondi interprofessionali non operano al di fuori di un contesto normativo; non gestiscono i finanziamenti in maniera discrezionale ed arbitraria né, come alcuni politici lasciano trapelare, sono esenti dall’osservare regole. Al contrario. Le regole sono talmente estese da superare i confini nazionali (anche l’Ue legifera in materia); sono inltre così frammentate e di difficile interpretazione che costituiscono un ostacolo e talvolta un trabochetto ai fini di una buona gestione.
Viene così da domandarsi se l’introduzione di norme più stringenti e burocratiche possa davvero portare dei miglioramenti nel settore oppure se, rappresenti una disfunzione che complica ulteriormente il quadro normativo, finendo inevitablmente per indebolire i corpi intermedi che sono stati chiamati a gestire i fondi senza peraltro trarne un interesse diretto.
Se la risposta è la seconda è doveroso evidenziare le conseguenze negative generate dalla tendenza a indebolire – anche in questo ambito! – il ruolo delle parti sociali. Va ricordato, per esempio, che i fondi interprofessionali sono in Italia la prima fonte di finanziamento per la formazione aziendale e che la bilateralità garantisce l’erogazione di una formazione utile alle esigenze delle imprese e dei lavoratori.
E’, poi, importante sottolineare come le risorse assegnate ai fondi con lo 0,30 della retribuzione dei lavoratori (620 milioni di euro secondo l’ultimo rapporto Isfol, relativo agli anni 2013/2014) siano gestite in maniera concorrenziale, vista la possibilità per le aziende di scegliere a quale fondo interprofessionale assegnarle e di cambiare fondo liberamente. Certo, si può fare meglio e si deve fare di più. Tra le priorità, per esempio, c’è quella di facilitare l’accesso ai fondi anche per le piccole e medie imprese.
Se l’innovazione della formazione professionale passa da un suo maggior controllo, le parti sociali non si tirano indietro, non avendo niente da nascondere. Bisogna, però, far attenzione a non associare il miglioramento del controllo all’aumento della burocrazia e imparare a distinguere il monitoraggio sui risultati tangibili della formazione (costi, tempi, procedure ecc.) su quelli intangibili (efficacia della formazione, investimenti nella ricerca dei fabbisogni futuri, cultura organizzativa ecc.). Sono elementi che solo un’adeguata fiducia nel ruolo e nelle responsabilità dei corpi intermedi possono alimentare.