Il ministero della Cultura ha allungato le mani anche sulle Fondazioni lirico-sinfoniche, un settore dallo statuto ibrido che già soffre di gravi carenze contrattuali e che adesso si trova coinvolto in un processo di lottizzazione politica. A parlarne in questa intervista è Sabina Di Marco, segretaria nazionale della Slc-Cgil.
La riforma delle Fondazioni lirico-sinfoniche sta facendo discutere. Cosa sta accadendo?
Premetto che non è stato diffuso nessun documento su questa riforma. Hanno fatto delle consultazioni e noi non siamo stati coinvolti. Il Ministero ha parlato con l’Anfols (Associazione Nazionale Fondazioni Lirico-Sinfoniche), con i sovrintendenti, con il Presidente di Agis e hanno detto alcune cose che sono apparse sulla stampa, oltre alle dichiarazioni che hanno fatto il Ministro Sangiuliano e il sottosegretario alla cultura Gianmarco Mazzi. Quindi tutto quello che sappiamo è frutto di voci. La cosa su cui pare stiano lavorando è innanzitutto un maggiore ruolo del Ministero nell’assegnazione degli incarichi, cioè una centralizzazione della governance delle Fondazioni liriche, mentre prima c’erano i sindaci che presiedevano e le Fondazioni, quindi, avevano un forte legame con il territorio. Inoltre, sempre stando a quanto si dice e sottolineando che tutto è ancora da verificare, si sta dando forza al Consiglio, che diventa centrale perché prende tutte le decisioni anche artistiche e gestionali, mentre ai sovrintendenti spetta il compito di proporre ed eseguire, mentre attualmente è un organismo che ha più una caratteristica consultiva e di ratifica. Il sovrintendente ha delle responsabilità importanti e quindi assume anche le decisioni a differenza del progetto che sembra stiano realizzando, per cui diventerebbe una funzione amministrativa che poi riporta al Consiglio le decisioni finali. Svuotando il ruolo del sovrintendente si rende anche meno efficiente la Fondazione, perché se ogni decisione deve essere assunta in modo collegiale i tempi si rallentano e le responsabilità sono condivise. Lo sviluppo del soggetto collegiale, ovvero il Consiglio comporta il fatto che sicuramente si apriranno opportunità per indicate persone in quel ruolo. La sensazione di questa riforma, quindi, è che si voglia intervenire per presidiare le Fondazioni e quindi si tende a centralizzare presso il Ministero svuotando il sovrintendente di funzioni decisionali. L’altro aspetto riguarda i sindaci: esautorandoli dalla loro funzione, si perde quanto contraddistingue le Fondazioni liriche con il loro legame territoriale e di sviluppo del territorio, turismo, cultura, economia. Questi aspetti cambiano in modo radicale quello che saranno in futuro.
Come sindacati da tempo chiedete una riforma. Quali le principali criticità?
Nella discussione che deve essere fatta sul Codice dello spettacolo, per quanto riguarda le Fondazioni c’è un grande problema: la loro natura giuridica ibrida che non le identifica come pubbliche ma nemmeno come private. O meglio: sono un po’ pubbliche e un po’ private. Questo aspetto produce degli effetti che per il lavoro sono devastanti: ad esempio, non riusciamo a rinnovare il contratto perché in realtà noi seguiamo l’iter del pubblico impiego – quindi al tavolo c’è l’Aran, la verifica deve essere fatta dal Mef che poi sarà ratificata dalla Corte dei conti, eccetera – ma tutte le richieste che ci fanno (come per il contratto 2019-2021 che abbiamo siglato), tutte le richieste di controllo e di verifica hanno a che fare con delle procedure che sono proprie del pubblico impiego, mentre le Fondazioni non hanno quel tipo di procedure. È per questo che ci troviamo sistematicamente impantanati: dobbiamo giustificare tutta una serie di atti che non rientrano nei percorsi propri del pubblico impiego, quindi c’è sempre una discrasia. Se non si risolve la natura giuridica delle Fondazioni, temo che i contratti non riusciremo a rinnovarli. Questo è un tema che poniamo da sempre, anche nelle audizioni parlamentari a cui abbiamo partecipato.
Per quanto riguarda queste voci di riforma, si può parlare di lottizzazione come sta succedendo negli altri comparti della cultura?
Tutto fa pensare che ci sia una voglia di accentramento decisionale, senza considerare il fatto che oggi ci sono loro, ma domani ci sarà qualcun altro, anche nell’occupazione di postazioni. Purtroppo Lo spoil system nel settore della cultura è una pessima abitudine perché questo è un settore che dovrebbe garantire pluralismo a tutti gli effetti, deve rappresentare il più possibile la società italiana e dovrebbe essere il più possibile un luogo di dialettica democratica.
Esattamente il contrario di come sta accadendo anche per la riforma del tax credit nell’audiovisivo.
Sul tax credit ci siamo espressi con una serie di perplessità rispetto al fatto che le produzioni indipendenti sono quelle che potrebbero andare più in sofferenza bisogna affrontare il tema del finanziamento pubblico della cultura, così come il tema delle agevolazioni fiscali, nell’ottica della promozione della sperimentazione e di un pluralismo artistico e culturale che è linfa vitale. Tuttavia hanno anche introdotto delle misure per cui il tax credit viene erogato solo se sono stati firmati o rinnovati i contratti collettivi nazionali, che per noi è un buon risultato in un settore dove non si rinnovano da decenni, per cui ci è stato un risultato in questo senso. Delle cose del decreto cambieranno perché le pressioni sono troppe, sono stati già fatti degli incontri con le Associazioni datoriali anche delle piccole e medie imprese e dal Ministero hanno riferito che verranno apportate delle modifiche al decreto. Bisogna anche ammettere che negli anni c’è stata una quota di produzioni che prendevano i soldi per produrre poco o nulla, ma nemmeno si può tarare una riforma secondo una logica punitiva. È giusto fare una cosa che sia selettiva, ma selettiva per promuovere la sperimentalità. Il filo conduttore, però, resta questo.
Tornando alle Fondazioni. Nei giorni scorsi dieci sindaci hanno inviato una lettera al Ministero della cultura dopo aver appreso della riforma dagli organi di stampa. Condividete la loro posizione?
Sì, assolutamente, perché noi pensiamo che si debba mantenere un legame con il territorio.
Il piano rientra nella più ampia ridefinizione del Codice dello spettacolo, prorogata per ulteriori 12 mesi. Che significato ha questa mossa?
Questo è un problema enorme. Senza il codice dello spettacolo non abbiamo indennità di discontinuità, un’attenzione più mirata alla Naspi, la Alas è stata soppressa e quindi gli autonomi dovrebbero rientrare nella Naspi che ha però dei requisiti in cui si riconoscono in pochi. C’è bisogno di lavorare su tutto il sistema di welfare, perché l’indennità di discontinuità che hanno messo a punto non risponde alle esigenze di questa popolazione lavorativa. Noi lo abbiamo ribadito a più riprese e quello che chiediamo è l’apertura di un tavolo con organizzazioni sindacali, Ministero della cultura, Ministero del lavoro e l’INPS. Tutte le parti dello Stato devono dialogare, perché altrimenti per questo settore non si riesce mai a fare una cosa che abbia senso nella consapevolezza che questi lavoratori lavorano in modo fisiologicamente discontinuo e quindi c’è bisogno di mettere insieme le parti coinvolte per un intervento di sistema. Questo non lo abbiamo ancora ottenuto nonostante le disponibilità annunciate. Per noi è importante che il Codice dello spettacolo abbia una sua celerità.
Quindi questa proroga ha un significato politico o è solo sinonimo di inefficienza?
La situazione è molto più complicata di quello che questo Governo si aspettavano e si sono ritrovati a dover gestire un meccanismo complesso cui temo non fossero preparati. Ma non si può rallentare a dismisura una riforma che ormai era partita.
Il sottosegretario alla cultura, Gianmarco Mazzi, respinge le critiche alla riforma soprattutto perché non si conoscono i contenuti. Ma è ammissibile non interpellare direttamente le parti e far trapelare queste informazioni a mezzo stampa?
Anche in questo caso hanno delle procedure del tutto irrituali che non stanno dentro quelle che sono le modalità ordinarie con cui si procede e non rispettando la normale dialettica tra le parti. Sul Codice dello spettacolo nessuno di noi ha un testo, quindi parliamo sulla base di sentito dire. Noi, come altri, siamo stati consultati, sono state dette tutta una serie di cose, sollevate delle obiezioni, ma alla fine non ci è arrivato nessun testo. Non è il modo in cui si procede, perché devi dare degli strumenti concreti anche per poter contribuire.
Quindi anche nella cultura si naviga secondo la logica dell’opposizione, senza la volontà di “fare insieme”.
Se non si scrive e condivide un testo, non si può dialogare e fare delle osservazioni puntuali e costruttive. Sarebbero peraltro da evitare gli annunci cui non si può dar seguito usando la stampa come un megafono, che rischia di essere megafono del nulla, o di poco.
Il 30 luglio c’è stato l’ultimo incontro per il rinnovo del contratto 2022-2024? Si è ricavato qualcosa di positivo?
Non abbiamo ricavato nulla di decisivo per il rinnovo del 2019-2021 quindi non si può aprire il nuovo tavolo di trattativa per il rinnovo. Nel senso che ci continuano a dire che il Mef sta valutando e che loro stanno fornendo tutte le informazioni necessarie. Il Mef chiede che le risorse siano costanti perché devono dare copertura al triennio di durata contrattuale e domanda se le Fondazioni hanno disponibilità economica per pagare il contratto per tre anni. Tuttavia le Fondazioni vengono finanziate annualmente con il Fus, quindi la garanzia di pagamento è solo per un anno. Il Ministero è intervenuto sulla questione della continuità e a garanzia stanno costituendo un fondo, ma c’è tutta una serie di rilievi su cui Anfols e il Mic stanno rispondendo ognuno per le proprie competenze. Ma comunque, nel frattempo, sono nove mesi che non abbiamo un contratto e per questo confermiamo lo stato di agitazione: alcune Fondazioni stanno già mettendo in campo delle attività in questo senso, come ritardi delle prime e la lettura di comunicati al pubblico. Si stanno muovendo in maniera territoriale e a seconda delle esigenze che hanno, ma con una regia che è di carattere nazionale. Probabilmente, se non ci saranno sviluppi, ci troveremo a settembre per un’iniziativa di visibilità nazionale. I lavoratori sono in attesa di avere delle risposte: dopo venti anni per avere un contratto, con un rinnovo faticosissimo perché abbiamo seguito le regole del pubblico impiego, vincolati a degli aumenti del 4% perché ci teneva dentro alle regole che vengono stabilite per il pubblico impiego e nonostante ciò i lavoratori ancora non vedono gli aumenti e non si sa se il contratto verrà validato. Per questo tutte le rassicurazioni che hanno provato a darci le abbiamo prese con le pinze.
Elettra Raffaela Melucci