Il sindacato perde di credibilità, scende nella considerazione delle persone, subisce un continuo degrado di immagine, ma vive, cresce negli iscritti, negli attivi oltre che nei pensionati. E’ questa la contraddizione in cui vive la rappresentanza dei lavoratori, una vita difficile, che la costringe a una rincorsa continua del proprio dover essere, nel ricordo della forza di un tempo, ma anche nella consapevolezza di rappresentare una forza viva del paese, una realtà dalla quale nel bene come nel male non è possibile prescindere.
Una situazione di difficoltà, ma anche di grande speranza per il futuro del sindacato che è venuta fuori con grande nettezza mercoledì in una serata tutta particolare che ha avuto luogo al Romitorio della Fim, il sindacato dei metalmeccanici della Cisl. In occasione della conclusione del corso lungo che la Fim dedica ai propri futuri gruppi dirigenti Rosario Iaccarino, il direttore del Romitorio e responsabile della formazione della Cisl, ha invitato un testimone d’eccezione, Goffredo Fofi, grande animatore dagli anni cinquanta di varie esperienze di intervento sociale ed educativo. Fofi con un’eloquenza torrenziale ha tenuto per quasi due ore inchiodato tutto l’uditorio, i giovani sindacalisti che hanno partecipato al corso lungo, ma anche tutto il gruppo dirigente della Fim, parlando del mondo, delle sue trasformazioni come le ha vissuto da intellettuale, ma anche da operatore sociale.
Il suo giudizio sul sindacato è stato in parte critico, ma non catastrofico: in fondo al tunnel egli vede un futuro per il sindacato, che è destinato a vivere ancora, perché strettamente connaturato ai bisogni sociali fondamentali. Preti e sindacalisti, ha detto, ci saranno sempre, perché se ne ha bisogno, ma il sindacato deve aprirsi sempre più al territorio, da cui trae la sua linfa vitale, la sua stessa ragion d’essere.
Iaccarino aprendo la discussione aveva parlato del profondo cambiamento che ha investito il lavoro e l’economia, sottolineando la crisi della rappresentanza e la necessità di un bilanciamento della vita del sindacalista, preso tra il suo ruolo sociale e il suo essere come persona. Una situazione di difficoltà, acuita dai cambiamenti che stiamo vivendo, che dovrebbero portare a una maggiore attenzione alla contemplazione.
Fofi ha concordato. Gli anni migliori del nostro paese, ha detto, sono stati quelli tra il 1943 e il 1963, anni magnifici, quando il paese ha fatto passi sostanziali in avanti, anni cui c’era la speranza di cambiare il mondo e in qualche modo è stato cambiato. Anni in ascesa, perché c’era una vera democrazia. Purtroppo sono finiti con il miracolo economico, che era una grande occasione, ma non è stata sfruttata, perché ha portato un benessere cui non eravamo pronti. Ci siamo trasformati, ma malamente, il popolo è diventato piccola borghesia perdendo la propria identità, non aiutato da una classe dirigente infame, certamente non all’altezza del compito che la storia gli assegnava. Tra Agnelli e Olivetti ha vinto il primo, mentre era il secondo, con la sua idea attenta all’individuo e alla comunità, che poteva dare al paese quelle trasformazioni sociali e politiche e poi quindi anche economiche che lo avrebbero portato avanti.
La ricerca dello sviluppo sociale si è arenata, è rimasto solo lo sviluppo economico. Con il risultato che gli anni successivi hanno visto un paese stagnante, il primato della finanza sull’economia reale, uno scadimento della democrazia. Da quella palude per Fofi non ci siamo più sollevati, invischiati nel postmoderno, nel predominio delle grandi corporazioni, delle professioni che hanno perso di vista il popolo. La politica ha fallito, adesso andrebbe reinventata, soprattutto cercando di andare al di là delle parole, per coniugare assieme parole e fatti. Noi, ha detto Fofi con grande forza, facciamo poco, come insegnava Mazzini si dovrebbero perseguire assieme pensiero e azione. In questo i sindacato può essere una forza determinante, un vero sollecitatore, spingendo a fare e così rivitalizzando anche la politica.
Compito non facile, perché abbiamo perso la strada, non ci poniamo nemmeno più le tre domande classiche, da dove veniamo, cosa siamo, dove andiamo. Nessuno, ha deto Fofi, è in grado di rispondere, è la società che deve farlo e le avanguardie, le minoranze etiche hanno il compito di porre queste domande e dare una risposta. Distinguendo tra gli eterodiretti, quelli che accettano il mondo così com’è, e gli autodiretti, che quel mondo vogliono cambiare. Ciascuno è padrone del proprio destino, ma deve acquistare autonomia ed esercitarla fino in fondo. Il sindacatoi riuscirà in questo suo compito nel momento in cui riuscirà ad aprirsi agli altri, ad avere coscienza dela comunità in cui ciascuno vive, a quando saprà rapportarsi agli altri vedendone le necessità e cercando di rispondervi, per la propria anche piccola parte. E’ così che il sindacato può sopravvivere alla propria sorte, è così che può restare forza viva del paese.