Non più una “piazza degli schiavi” ma un “nuovo mercato del lavoro in agricoltura”, perché è necessario per porre fine a situazioni di emergenza che ledono la dignità e i diritti primari dell’uomo. E’ quanto sostiene la Flai Cgil che ha dato vita ieri a un’importante iniziativa al teatro Ambra Jovinelli di Roma, con lo scopo di avanzare proposte concrete per rilanciare lo sviluppo del settore agricolo, partendo dal lavoro e dalla creazione di nuova occupazione.
Un’iniziativa molto sentita che si inserisce nel Piano del lavoro della Cgil e alla quale hanno partecipato delegati del sindacato degli agricoli provenienti da tutta Italia, ma anche tanti lavoratori in rappresentanza dei 400mila irregolari che con il sostegno della Flai hanno deciso di denunciare situazioni di sfruttamento e schiavitù che si trovano a subire in Italia a causa del fenomeno del caporalato, particolarmente forte in Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, Piemonte. Sono gli invisibili dei campi, uomini e donne, prevalentemente extracomunitari, che vengono sfruttati ogni giorno nelle campagne, pagati 20 euro per più di 10 ore di lavoro massacrante, misero salario da cui devono anche togliere i soldi per pagare il trasporto, l’acqua, spesso anche non potabile, il cibo, forniti a caro prezzo dal caporale. Vivono in baracche all’interno delle piantagioni in condizioni degradanti e disumane e non possono ribellarsi perché non hanno alternative a causa delle loro condizioni illegali e irregolari dovute a una legge ingiusta, la Bossi-Fini, che fa dell’immigrato un clandestino e della clandestinità un reato perseguibile con la detenzione forzata nei Centri di identificazione ed espulsione. Una situazione insostenibile, contro la quale da anni la Flai Cgil, insieme alla Fillea, il sindacato degli edili della confederazione di Susanna Camusso, ha deciso di lottare, promuovendo la campagna “stop caporalato” e sostenendo i lavoratori che decidono di denunciare la loro condizione di schiavitù attraverso l’ottenimento di un permesso temporaneo di soggiorno. Ma il problema, sottolinea la Flai, è che devono cambiare le leggi che permettono il perpetrarsi di queste situazioni e la cultura di fare azienda sullo sfruttamento del lavoro di tanti uomini e donne. Infatti, spiega il sindacato, esistono tante aziende che si muovono in modo illegale e una volta smascherate continuano comunque ad essere rappresentate da associazioni che hanno potere contrattuale a testimonianza del fatto che manca completamente il rispetto per la dignità umana, ma anche del lavoro, ridotto sempre di più a un rapporto di mercificazione nell’ottica dello sfruttare il più possibile al minor costo.
Per superare questa situazione la Flai ha elaborato una specifica proposta, inserita nel Piano del lavoro di Corso d’Italia: tornare a un collocamento pubblico, abbandonato negli anni ’90, che permetta di regolare in modo trasparente e rispettoso della legalità il rapporto tra domanda e offerta di lavoro. L’intervento pubblico quindi non è più rinviabile e, oltre a garantire il rispetto del salario e dei diritti contrattuali, permetterebbe anche di contrastare l’evasione fiscale, pari a 420 milioni di euro l’anno, dovuta al sommerso agricolo. E’ necessario quindi cancellare la logica del massimo ribasso in appalto e rimettere il lavoro e la dignità del lavoratore al centro dell’agenda politica. (FRN)