Mercoledì 19 ottobre, la Fiom-Cgil ha tenuto una conferenza stampa per annunciare che i delegati della stessa Fiom, provenienti dagli stabilimenti di Stellantis, Cnhi, Iveco e Ferrari, riunitisi a Roma, avevano approvato le piattaforme rivendicative dei rispettivi gruppi. Gruppi che, come è noto, pur essendo tutti attivi nell’ambito dell’industria metalmeccanica, applicano non il Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) di tale settore produttivo, ma il cosiddetto Contratto collettivo specifico di lavoro (Ccsl).
Tale Contratto, in essere a partire dal gennaio del 2011, costituisce un’anomalia o, se si preferisce, un’eccezione, rispetto al nostro sistema contrattuale. Tale sistema, de facto, si struttura su due livelli: quello nazionale, detto anche primo livello, e quello aziendale, noto come secondo livello. Quest’ultimo ha, essenzialmente, una funzione integrativa, il che significa che integra il contratto nazionale, vigente in un dato settore, con norme aggiuntive valide, specificamente, per una singola azienda o per una serie di aziende che facciano parte di uno stesso gruppo o si trovino in uno stesso territorio. Nel primo caso si parla di contrattazione aziendale, mentre nel secondo caso si parla di contrattazione territoriale.
Come si ricorderà, il Ccsl nacque nell’ambito delle aziende italiane legate al gruppo Fiat dopo che tale gruppo, sotto la guida di Sergio Marchionne, aveva avviato, a partire dal 2009, l’acquisto della statunitense Chrysler. Ciò significa che, fin dal suo inizio, il Ccsl regolò i rapporti di lavoro in alcune aziende italiane che, pur essendo, come si è detto, tutte metalmeccaniche, da un lato, agivano in settori produttivi vicini fra loro, ma diversi, come può essere diversa la fabbricazione di automobili (Fiat) da quella di trattori (Cnhi); mentre, dall’altro lato, erano tenute insieme dalla loro comune appartenenza al gruppo Fiat e, in senso più ampio, alla famiglia Agnelli. Quella famiglia che, puntando alla costruzione di un monopolio italiano nel campo della produzione di autovetture, aveva via, via aggiunto alla proprietà della Fiat, anche se con modalità diverse, quelle di Lancia e Alfa Romeo, nonché della Ferrari. Quella stessa famiglia che si era allargata anche in altri comparti produttivi, integrando la vecchia Fiat Trattori nell’americana Chase New Holland e fondendo poi quest’ultima con l’Iveco, produttrice di camion.
Dopo l’avvento al potere in Fiat di Sergio Marchionne, e dopo l’acquisizione della Chrysler, ma già prima della nascita formale di Fca (Fiat Chrysler Automobiles) nel 2014, il mondo Fiat prese, specie agli occhi del suo nuovo leader, una nuova configurazione: sempre meno antica azienda familiare italiana altalenante tra fasi di espansione e fasi di crisi, e sempre più parte di un’impresa multinazionale posta a cavallo fra Nord America e Europa mediterranea.
In tale visione, il complesso sistema di relazioni sindacali esistente in Italia appariva più come una complicazione locale che come un fattore di stabilità e, nei limiti del possibile, fu abbandonato con sollievo da Fca. Del resto, Marchionne decise di uscire non solo dal Contratto nazionale dei metalmeccanici, ma anche dalla Confindustria.
Il nuovo modello del Ccsl, accettato da Fim e Uilm, oltre che da Fismic, Uglm e AqcF, ma non dalla Fiom, assunse da subito una caratteristica preponderante: sul piano giuridico si era autodefinito come accordo di primo livello, mentre, de facto, era un accordo relativo a un gruppo di aziende legate da un vincolo societario, in quanto afferenti a un medesimo nucleo proprietario (quel nucleo che, nel frattempo, aveva assunto il nome di Exor).
Da ciò derivava un duplice effetto paradossale. Da un lato, la contrattazione nelle aziende – tutte metalmeccaniche – del gruppo Fiat, o comunque collegate per via proprietaria alla Fiat, si sganciava dalla contrattazione nazionale del settore metalmeccanico. Dall’altro lato, le aziende che applicavano il Ccsl, ovvero le aziende che un tempo integravano il Ccnl metalmeccanici con l’accordo di secondo livello del gruppo Fiat, erano divenute, in pratica, le uniche aziende italiane in cui la contrattazione di secondo livello non solo non era praticata, ma non era neppure prevista.
A parere di chi scrive, tutto questo ci dice che, a monte della decisione di dar vita al Ccsl, non vi furono né ragioni di omogeneità produttiva, data la relativa differenza dei comparti raccolti in tale contratto (autovetture, furgoni, camion, macchine agricole, macchine utensili), né ragioni di politica sindacale, legate a una eventuale volontà di cambiare il quadro delle relazioni sindacali in essere nel nostro Paese. Volontà da taluno ipotizzata ma, sempre a parere di chi scrive, in realtà inesistente. A monte di tale decisione vi fu, invece, una questione di strategia aziendale, ovvero la convinzione, maturata da parte di Marchionne, che fosse utile concepire e presentare la nascente Fca come un gruppo transoceanico, propriamente multinazionale e quindi relativamente svincolato dalle singole realtà nazionali in cui erano insediati i suoi stabilimenti.
Tenendo presente questo quadro abbastanza complesso, si può quindi forse dire che la vera notizia originata dalla conferenza stampa Fiom di mercoledì scorso non è che la stessa Fiom abbia elaborato una sua piattaforma in vista del rinnovo dell’attuale Ccsl, accordo in scadenza alla fine del prossimo dicembre. Infatti, la Fiom ha già partecipato, in passato, ad altre trattative volte a effettuare il rinnovo del Ccsl (rinnovo, peraltro, non firmato, in conclusione di tali trattative, dalla medesima Fiom).
A nostro avviso, la vera notizia è un’altra, ovvero che la Fiom ha presentato tre distinte piattaforme: una prima per il gruppo Stellantis, una seconda per Cnhi e Iveco, e una terza per la Ferrari.
Chiediamoci: perché il sindacato dei metalmeccanici Cgil ha compiuto e sottolineato tale scelta? Premesso che, come è ampiamente noto, all’inizio del 2021 Fca si è fusa con Peugeot, dando vita al gruppo Stellantis, la Fiom ha sottolineato che “il progetto industriale che teneva insieme” Fca, Cnhi, Iveco e Ferrari, progetto rispetto al quale è stata “giustificata l’uscita di Fiat dal sistema di Confindustria”, nonché “la forzatura del sistema di regole contrattuali” precedentemente in vigore, “non c’è più”. Non solo. Sempre secondo la Fiom, ormai “non c’è alcuna condivisione industriale, neanche più di carattere amministrativo, tra le tre aziende”. E, a riprova della fondatezza di questo quadro analitico, la Fiom osserva che è proprio “in tale contesto che si inquadra” la recente scelta di Marelli di abbandonare il Ccsl per “tornare all’applicazione del Contratto collettivo nazionale di lavoro” dei metalmeccanici.
Effettivamente, l’uscita di Marelli dal Ccsl mostra che qualcosa ha cominciato a scricchiolare nell’impianto dello stesso Ccsl. E non è certo un caso se, nel corso del recentissimo Congresso della Uilm, il suo riconfermato Segretario generale, Rocco Palombella, abbia proposto il superamento del Ccsl e, quindi, il ritorno di Stellantis, Cnhi, Iveco e Ferrari nell’ambito del Contratto Federmeccanica. Come non è un caso che nel corso della conferenza stampa Michele De Palma, il nuovo Segretario generale della Fiom, abbia avuto parole di apprezzamento per il “coraggio” mostrato da Palombella nel sottolineare che, rispetto all’esperienza del Ccsl, “i tempi sono cambiati”.
Del resto, basta ricordare che nel febbraio scorso i sindacati dei metalmeccanici – Fim, Fiom e Uilm – hanno presentato assieme a Federmeccanica un appello congiunto al Governo sulla crisi del comparto automotive, per cogliere la relativa incongruità di una situazione in cui l’associazione delle imprese metalmeccaniche aderenti a Confindustria rappresenta le numerose aziende attive in Italia nel campo della componentistica auto, ma non la più grande azienda che, sempre in Italia, utilizza tali componenti per produrre le sue autovetture e i suoi furgoni.
Ma torniamo a bomba. La Fiom ha dunque elaborato tre piattaforme che si differenziano, essenzialmente, per la prima parte di ciascuna. Prima parte che fa riferimento a tre situazioni industriali, e quindi anche occupazionali, notevolmente diverse. Tuttavia, come ha sottolineato Simone Marinelli, Coordinatore nazionale auto della stessa Fiom, le tre piattaforme sono anche unite da uno stesso “filo conduttore”. Filo che si annoda, in primo luogo, attorno alla questione del “forte disagio salariale” avvertito dai lavoratori delle aziende interessate. Disagio per rispondere al quale viene richiesta, innanzitutto, “un’erogazione straordinaria una tantum”, pari a una delle attuali mensilità.
Intanto, lunedì 10 ottobre, in un’assemblea unitaria, i delegati dei sindacati firmatari del Ccsl – ovvero Fim, Uilm, Fismic, Uglm e AqcF -, hanno messo a punto la loro piattaforma per il rinnovo dell’accordo; accordo che, come detto, scade alla fine del prossimo dicembre. Su invito di Stellantis, il primo appuntamento per l’inizio delle trattative è stato fissato, a Torino, per la giornata di mercoledì prossimo, 26 ottobre. Seguendo lo schema consueto degli scorsi rinnovi, l’Azienda ha previsto la convocazione di due tavoli separati: uno per i sindacati firmatari del Ccsl, e l’altro per la sola Fiom.
@Fernando_Liuzzi