Scomparso dai radar del dibattito politico che sta animando questa campagna elettorale, il tema degli ammortizzatori sociali è stato al centro dell’iniziativa intitolata “Il lavoro senza rete. Tra nuove crisi e precarietà”. Il convegno, che si è tenuto oggi a Roma, è stato organizzato da tre sindacati di categoria della Cgil: Fiom (metalmeccanici), Flai (agroindustria) e Slc (telecomunicazioni), ed è stato concluso da Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil.
Si tratta di tre categorie che, forse più di altre, hanno risentito delle conseguenze occupazionali della recessione economica, e per le quali il dibattito sugli ammortizzatori sociali è prioritario. Non è un caso che alcune delle principali vertenze aziendali tutt’ora aperte siano relative a crisi patite da imprese che operano nei settori di competenza di Fiom, Flai e Slc.
La questione degli ammortizzatori porta con sé un vero e proprio rischio sociale, come ha sottolineato Francesca Re David, segreteria generale del sindacato dei metalmeccanici della Cgil, poco prima dell’inizio dei lavori. “Siamo davanti a un forte allarme – ha detto la leader della Fiom – perché il Jobs Act ha radicalmente peggiorato tutti gli ammortizzatori sociali, e per le imprese è diventato molto più conveniente licenziare piuttosto che attivare l’uno o l’altro dei diversi ammortizzatori sociali”.
Una preoccupazione ribadita anche da Ivana Galli, segretaria generale del sindacato dell’agroindustria. “Dal 2017 è venuta meno la mobilità, sostituita dalla Naspi, che però copre solo un periodo di tempo di 24 mesi. Quindi, una volta che questo tempo si esaurirà, i lavoratori non avranno più nessuna rete di sostegno per trovare una nuova occupazione. La prospettiva – ha concluso la leader della Flai – è che nel 2018 avremo migliaia di lavoratori senza nessuna alternativa alla disoccupazione”.
Nel corso del dibattito, i segretari di Fiom, Flai e Slc hanno analizzato il peggioramento in atto degli ammortizzatori sociali; peggioramento che si è realizzato attraverso sia una riduzione della loro durata che delle risorse finanziarie da esse offerte ai lavoratori; ciò ha determinando quindi una restrizione progressiva della loro efficacia. Una situazione, questa, innescata non solo dai lunghi anni di crisi, che hanno falcidiato migliaia di posti di lavoro, ma anche da tutta una serie di scelte compiute dal legislatore che vanno da quelle che hanno comportato, a partire dal 2012, l’innalzamento dell’età pensionabile, fino alle misure introdotte nel 2015 con i decreti legislativi attuativi del Jobs Act.
Si è così ridotto non solo lo spazio di tutela, ma è venuta meno anche quell’universalità che dovrebbe caratterizzare questi strumenti, accentuando così le differenze tra imprese più o meno solide, come tra quelle che operano nei territori più ricchi e quelle che, invece, si trovano in aree più depresse, con un livellamento al ribasso dei diritti dei lavoratori.
Un tema, quello quello degli armonizzatori sociali, che trova uno stretto legame anche con le ristrutturazioni aziendali innescate dalle innovazioni dell’industria 4.0. Nei casi in cui l’implementazione delle nuove tecnologie porterà alla sostituzione del lavoro umano, ci si dovrà interrogare sul fatto se l’attuale sistema sia in grado di sostenere tali cambiamenti.
Fabrizio Solari, segretario generale della Slc Cgil, ha ipotizzato scenari di questo tipo nel comparto delle telecomunicazioni. Stiamo parlando di un comparto che, durante la crisi, non ha subìto particolari contraccolpi. Ciò ha rallentato quel processo di ristrutturazione e ammodernamento tecnologico che ora si presenta con tutta la sua forza.
In questo scenario, ha argomentato Solari, servirebbero degli ammortizzatori sociali capaci di accompagnare verso la pensione quei lavoratori che non sono più riconvertibili alle recenti tecnologie, sostenere il rinnovamento all’interno dell’impresa e l’assunzione delle nuove competenze. Ma si tratta di strumenti, ha precisato il segretario della Slc, che oggi non sono disponibili.
Ecco perché, hanno sostenuto oggi i tre dirigenti sindacali, parlare di ammortizzatori sociali, non significa solo fare riferimento a misure di contenimento del danno, ma anche individuare i tratti distintivi della logica insita in una politica industriale degna di questo nome e, quindi, di un possibile governo delle conseguenze sociali delle crisi aziendali di diversa origine.
Tania Scacchetti, al termine dei lavori, ha sottolineato l’impostazione fallimentare, perseguita dai più recenti governi nel rapporto tra politiche attive e passive del lavoro. L’indebolimento delle seconde avrebbe dovuto essere bilanciato dal rafforzamento delle prime, cosa che, però, non si è verificata. Inoltre, il progressivo esaurimento di ogni tipologia di ammortizzatore – sempre secondo Scheccetti – farà si che molti lavoratori in là con gli anni non avranno più nessun tipo di rete che li possa sorreggere per il raggiungimento della pensione.
Tommaso Nutarelli