In questi giorni l’Inps sta inviando a 7 milioni di cittadini la busta arancione, plico cartaceo contenente informazioni sulla posizione contributiva, la simulazione della pensione futura e l’invito a richiedere il codice SPID per poter accedere online ai servizi dell’Inps (e in prospettiva di tutta la PA).
Una nuova significativa fase, visti i numeri in gioco, del progetto avviato lo scorso anno che ha fin’ora coinvolto una platea di contribuenti relativamente ristretta.
Alcuni temono che molti di coloro che riceveranno la busta cadranno nello sconforto renndendosi improvvisamente conto della ristrettezza delle proprie prospettive previdenziali. Qualcuno avanza dubbi sull’operazione – sostenuta da tempo anche da noi – motivando che le stime siano poco attendibili sul lungo periodo vista la complessibità dei parametri del calcolo, che la diffusione della consapevolezza derivante dal leggere proiezioni statistiche nero su bianco possa provocare un disimpegno contributivo o, al contrario, possa incentivare un settore considerato a priori potenzialmente “predatorio”.
C’è poi il timore che, in particolare i giovani, siano indotti a contenere ulteriormente o rinunciare ai già limitati investimenti pensionistici, ritenendoli fondamentalmente inutili, alla luce dei dati. Bisogna infatti sottolinare che, come emerge dall’ultimo rapporto Covip, l’età media degli aderenti ai fondi del secondo pilastro sia di ben 46,2 anni e che solo il 16% dei lavoratori con meno di 35 anni e il 24% di quelli tra 35 e 44 anni sia iscritto a qualche forma pensionistica complementare.
È forse anche per questo che, per molti anni, si è rinviato il “momento della verità”. Ritengo invece che lo shock, ormai improcrastinabile, sarà salutare. La cultura previdenziale deve essere intergenerazionale e derivare da una maturazione – individuale e collettiva – fondata sulla trasparenza e sulla circolazione delle informazioni.
Solo una corretta conoscenza dei meccanismi generali su cui si fonda la previdenza e una visione chiara della propria specifica posizione, infatti, consentirà alle persone di agire in maniera più razionale di quanto accade oggi, senza cedere all’emotività fondata su generiche illazioni e strumentalizzazioni interessate.
La certezza, anche crudele, di avere prospettive negative dovrebbe motivare le persone, in particolare quelle più portate a disinteressarsi del futuro, come i giovani. Risvegliare le coscienze dal diffuso torpore è quindi il primo passo per smetterla, una volta per tutte, di caricare sulle generazioni successive il costo delle necessarie riforme.
La previdenza non si improvvisa con politiche dell’ultimo minuto o con soluzioni miracolistiche imposte da governi a tempo per fare cassa, ma richiede prospettive ultradecennali; necessita di una programmazione di lungo respiro che eviti la tentazione di penalizzare i soliti noti; richiede un coinvolgimento attivo dei vari attori in gioco; deve puntare a coinvolgere tutti i cittadini, anche chi lavora precariamente e non ha né le risorse né le motivazioni per pensare al dopodomani.
Solo se punteremo su questi fattori potremo elaborare strategie davvero efficaci e ridurre l’influenza negativa della ricerca del consenso elettorale sulle scelte previdenziali. L’auspicio è che la busta arancione sia colta come l’occasione per aprire un dibattito costruttivo e partecipato ed evitare che l’Italia continui a essere, in materia previdenziale, il Paese delle decisioni calate dall’alto e delle promesse non mantenute.