Si è aperto ieri a Torino il 20° Congresso della federazione dei metalmeccanici Cisl. Nella relazione introduttiva, il Segretario generale, Roberto Benaglia, ha disegnato il profilo di un’organizzazione proiettata nella contrattazione dell’innovazione tecnologica e sociale.
Un sindacato con le idee chiare su sé stesso e sulla realtà che lo circonda. Soprattutto, un sindacato concentrato sull’analisi di quella parte del mondo del lavoro che si propone di rappresentare e dei cambiamenti che stanno investendo e trasformando tale mondo e tale realtà. Questo, ci pare di poter dire, il profilo della Fim quale è stato disegnato nella relazione che, ieri, ha aperto a Torino i lavori del 20° Congresso della federazione dei metalmeccanici Cisl.
Alle 11 del mattino, Roberto Benaglia, il dirigente sindacale che nel luglio 2020 è succeduto a Marco Bentivogli alla guida della Fim, ha preso la parola dal palco dell’ampio Centro congressi ricavato all’interno dello storico edificio del Lingotto. Una sede certo ricca di significati, per un sindacato di metalmeccanici, visto che il Lingotto fu il primo stabilimento edificato dalla Fiat per la costruzione delle sue auto, e fu attivo, come sede produttiva, dall’inizio degli anni 20 del Novecento e per più di mezzo secolo.
Ma la Fim, ha subito detto Benaglia, avviando lo svolgimento della relazione che ha presentato a nome della Segreteria nazionale uscente, “non è nata per rimpiangere un glorioso passato industriale e di conquiste”. “Proprio come oggi Torino e le sue migliori forze vogliono fare, siamo qui per rimboccarci le maniche e per riconquistare un futuro fatto ancora di industria, tecnologie, progetti, investimenti, nuovo lavoro e, soprattutto, nuovi diritti e tutele per i metalmeccanici.”
Dopo aver iniziato la sua relazione dando il giusto spazio ai temi internazionali, affrontando le questioni della guerra in Ucraina (“in Europa è tornato un conflitto drammatico che mai avremmo immaginato di vedere e di vivere”), della crisi attuale della globalizzazione (“è finita una fase della nostra storia economica incentrata su una globalizzazione facile e conveniente”) e della necessità di “ridare slancio all’Europa”, Benaglia ha portato il suo ragionamento sui temi del lavoro. “La Fim – ha rivendicato con orgoglio – è il sindacato che si è costantemente caratterizzato nel guardare con curiosità e attenzione ai cambiamenti e alle innovazioni che il lavoro sempre più comporta di per sé e per i metalmeccanici.” “Il futuro”, ha aggiunto, “per noi è sempre stato un’opportunità e mai un problema.”
Ebbene, secondo Benaglia, per il lavoro quello che stiamo vivendo è proprio “un tempo nuovo”. Un tempo la cui novità si articola su sei punti specifici.
In primo luogo, con un’innovazione linguisticamente felice, Benaglia ci dice che questa è l’età della “mentedopera”. Spiegando poi così questo concetto: “Anche al più semplice lavoro operaio viene sempre più chiesto, ormai, di pensare e di curare qualità, risultati, miglioramenti, efficacia.” Dopodiché, Benaglia osserva che, nel mondo metalmeccanico, resta ancora “molto lavoro manuale” e che “l’intelligenza delle mani” rimane “un grande valore”. E tuttavia, “il lavoro corrisponde sempre meno a mansioni unicamente esecutive. La manodopera non basta più. I risultati, gli obiettivi, le relazioni, le competenze specifiche e trasversali contano più dei tempi e metodi”. Ne segue che “il valore del lavoro si sta elevando “ e che “il riconoscimento della professionalità dei metalmeccanici non solo è tema tornato di moda, ma costituisce il futuro perno della contrattazione collettiva”.
Secondo punto: questa è l’età del “lavoro digitale trasversale”. Che vuol dire? Spiegazione: “Se industria 4.0 è stato il grande salto tecnologico di parti della manifattura, ormai quasi ogni metalmeccanico deve verificare, analizzare, rielaborare, correggere dati e informazioni dentro sistemi informatici sempre più connessi alla macchina su cui lavora”. Infatti, “la digitalizzazione delle attività produttive e dei servizi sta facendo passi da gigante pervasivi”. Ed è ben per questo che “la Fim si batte per l’alfabetizzazione digitale di ogni metalmeccanico, anche di chi ha livelli di scolarità di base non elevati”. Se “vogliamo creare sicurezza sociale dentro i cambiamenti”, quel che serve è dunque “una massiccia campagna di investimento sulla crescita e l’apprendimento” di lavoratrici e lavoratori.
Terzo, e conseguente, punto: questa è l’età dei “colletti blù”, ovvero di “una nuova figura” del lavoro metalmeccanico che “realizza il superamento della storica separazione tra operai e impiegati”. Infatti, “i colletti bianchi e le tute blù si sono ormai fusi in una figura di lavoratore ibrida, che mescola elevate competenze tecnico-specialistiche con capacità realizzative, produttive e di lavoro in team.” Ci troviamo, insomma, di fronte ai “nuovi professionals, che svolgono lavori sempre più tecnici composti sia da competenze specialistiche che da abilità trasversali”.
Quarto punto: questa è l’età del lavoro che “si può svolgere senza più un tempo e un luogo predefiniti”. Secondo la Fim, anche a causa dell’accelerazione di processi sociali innovativi dovuta alle conseguenze della pandemia da Covid-19, “si sta spalancando nei luoghi di lavoro una nuova era del rapporto di lavoro subordinato, basato maggiormente su fiducia, responsabilità e capacità di raggiungere i risultati” invece che “sul controllo assoluto della prestazione”. Qui ci si trova dunque davanti a “una stagione fatta di insidie, ma anche di nuove opportunità”, in cui “molti lavoratori rivendicano al proprio capo o nei colloqui di assunzione giornate di lavoro agile tanto quanto aumenti retributivi”. Siamo perciò di fronte a “una fase pionieristica delle relazioni sindacali che, attraverso la regolazione del lavoro agile, cambierà per sempre le regole su cui si basa la prestazione di lavoro”.
Quinto punto: questa è l’età nella quale “i metalmeccanici vogliono superare lo scontro tra famiglia e lavoro”. Infatti, “rendere sostenibile il lavoro per la vita e i carichi di cura delle persone è il centro dei nuovi bisogni che sentiamo sempre più farsi avanti”. Ne segue che “conciliare vita e lavoro diventa l’asse di una nuova politica sindacale contrattuale generale, tutta da riorientare su nuove priorità”.
Sesto e ultimo punto: questa è l’età nella quale “sempre più metalmeccanici ricercano un lavoro che soddisfi e realizzi le loro aspettative” e non solo “un lavoro per vivere”. Si tratta di “una condizione nuova” che riguarda “alcune fasce di lavoratori”, ma che “sta caratterizzando sempre più i movimenti nel mercato del lavoro”.
Se questi sono i contorni dei processi di mutamento in atto all’interno del mondo del lavoro industriale, e specie metalmeccanico, si ripropone l’antico interrogativo: che fare? La risposta della Fim, o meglio, la risposta della Segreteria uscente, è condensata nello slogan di questo 20° Congresso: “Partecipiamo per più lavoro giusto”. Uno slogan gradevole nella sua rappresentazione grafica multicolore che domina la comunicazione del Congresso, a partire dai tweet lanciati dall’Ufficio stampa della Fim nazionale, ma certo un po’ faticoso, alla lettura.
Ma ecco che le parole di Benaglia ci aiutano a cogliere il suo significato. “Costruire lavoro giusto è la massima sfida di questi tempi nella nostra società”, scandisce il leader della Fim. Che poi spiega: “Non apparteniamo a coloro che gridano dicendo che il lavoro è stato svalutato e che la politica si dimentica del lavoro”. “Certo”, ha proseguito Benaglia, quando “la politica si pronuncia sul lavoro” lo fa spesso “in modo episodico e poco legato alla visione e al ruolo delle parti sociali”. E ciò mentre “i cambiamenti economici e tecnologici hanno scomposto (…) le forme e i livelli di tutela del lavoro”. Un fenomeno, questo, che si è prodotto “non solo in Italia”.
E allora? Ecco la risposta della Fim: “Ciò di cui abbiamo bisogno è un’azione di ricomposizione attorno al lavoro, senza però pensare che il lavoro ben tutelato sia solo quello a tempo indeterminato e a 40 ore settimanali”. Ne segue che “dare giustizia nelle regole, nelle tutele, nelle retribuzioni a tutto il lavoro per come oggi si effettua in modo assai flessibile è quanto serve alla società italiana”. Quindi, “la precarietà che molti lavoratori oggi vivono”, potrà essere superata tanto più quanto più vi sarà la capacità di “allargare le occasioni di un lavoro” che dovrà essere “meglio tutelato” proprio “quando è flessibile”.
Ed ecco allora le quattro caratteristiche individuanti di ciò che la Fim chiama “lavoro giusto”. Per essere riconosciuto come tale il lavoro deve essere innanzitutto “sostenibile”. E ciò, “sia da un punto di vista ambientale”che “dal punto di vista della sostenibilità sociale”.
Il lavoro deve poi essere “dignitoso”, ovvero deve garantire “anche alla forme più flessibili” un “set di tutele normative e retributive” che permettano “il giusto riconoscimento del valore e della dignità del lavoro”.
Il lavoro, ancora, deve essere “sicuro”. E ciò “sia dal punto di vista della sicurezza e salute sul lavoro” che vanno portate verso “standard più elevati”, sia “dal punto di vista della sicurezza sociale e del sistema di sostegni durante e al termine dei rapporti di lavoro”.
Infine, per la Fim il lavoro deve essere “inclusivo”. Una caratteristica, questa, che gli può essere riconosciuta se vengono superati i confini “tra chi è a tempo indeterminato e chi no, tra chi è occupato in attività dirette di un grande gruppo e chi in un’impresa d’appalto”.
Ma soprattutto, anche se ciò, a prima vista, può apparire paradossale, la Fim sottolinea che “il lavoro giusto non lo si raggiunge con soluzioni uguali per tutti”. Porsi questo obiettivo vorrebbe dire seguire “un vecchio modo di portare avanti il sindacalismo”. Ciò che va fatto, invece, è “dare ad ogni lavoratore strumenti certi di tutela e di promozione”.
Identificato l’obiettivo generale, quello della costruzione del “lavoro giusto”, Benaglia ha delineato le specifiche direttrici di azione lungo le quali la sua ambiziosa organizzazione intende muoversi. Tali direttrici sono cinque: aumentare i salari, ridurre gli orari di lavoro, rafforzare il welfare contrattuale, puntare alla costruzione di “un’effettiva parità di condizioni” fra lavoratori e lavoratrici e, infine, “creare un fondo sociale per la decarbonizzazione”.
Dopo aver parlato, dunque, dei mutamenti in corso intorno e all’interno del mondo del lavoro metalmeccanico, e dopo aver tracciato le linee di azione lungo cui procedere per rispondere a quei processi di cambiamento, nella sua parte finale la relazione svolta da Benaglia si è concentrata sulla Fim. Sulla Fim, vogliamo dire, considerata come un soggetto sindacale attivo all’interno di una triplice relazione: con la confederazione di appartenenza, con gli altri sindacati della categoria, e con le proprie controparti naturali.
Il profilo della Fim, cui abbiamo accennato all’inizio di questo nostro articolo, si è così arricchito di alcune caratteristiche esplicitamente rivendicate. Dalle parole della relazione, emerge dunque che la Fim pensa a sé stessa come a un “sindacato popolare”, ma “non populista”. Di più: come a quel “sindacato educatore” che “i nostri padri sindacali ci hanno stimolato ad essere”.
Ma non basta. Perché, oltre ad affermare che “noi siamo i primi sostenitori del valore del pluralismo sindacale italiano”, nella relazione si afferma anche che serve “riuscire a fare largo al nostro modello di sindacalismo in mezzo ad altri modelli di organizzazione della rappresentanza sindacale che vivono e si muovono tra i lavoratori italiani”.
In particolare, a questo proposito la Fim afferma di pensare che “sia venuto il momento di far spiccare, nel mondo delle relazioni sindacali (…), il sindacato della partecipazione rispetto a quello dell’antagonismo e che dice ‘No’ ad ogni cambiamento e innovazione”. E, per chi non avesse capito, viene qui sottolineato che, sempre secondo la Fim, “non c’è più spazio per tutto e l’unità sindacale non deve più trasformarsi in piattaforme sindacali nelle quali si prova a tenere insieme proposte contraddittorie fra loro senza mai scegliere fino in fondo”.
Concludendo: per la Fim, “l’unità sindacale, che tanti invocano, continua ad essere una condizione importante, a tratti indispensabile, per realizzare risultati contrattuali concreti”. Tale unità, però, “avrà un nuovo futuro trainante”, solo se “saprà abbracciare i temi più innovativi che riguardano il lavoro oggi”.
Ora ci pare di poter osservare che, negli ultimi anni, i tre sindacati confederali dei metalmeccanici – e cioè Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil – abbiano saputo trovare, dopo varie e successive fasi dominate dalla divisione, nuove e valide ragioni di unità d’azione. Ciò si è prodotto, in particolare, sul terreno contrattuale. E lo si è ben visto con gli importanti rinnovi del Contratto nazionale definiti con Federmeccanica e Assistal nel 2016 e nel 2021. Rinnovi che hanno visto anche la nascita di un nuovo clima nelle relazioni fra sindacati e imprese.
Inoltre, anche a proposito della maggiore impresa metalmeccanica italiana, e cioè quella che è si è chiamata per un secolo Fiat ed è poi diventata, internazionalizzandosi, prima Fca e oggi Stellantis, ovvero a proposito di un’impresa che ha costituito, storicamente, il luogo e il motivo delle più aspre divisioni intersindacali, Fim, Fiom e Uilm si sono molto riavvicinate. E ciò, tanto più, di fronte ai molteplici motivi di difficoltà che travagliano oggi l’industria dell’auto.
Ma ecco che oggi, proprio di fronte ai processi di trasformazione che stanno investendo il mondo dell’industria manifatturiera, viene riproposto un confronto fra diversi “modelli di sindacalismo”. La nostra speranza, è che tale confronto resti, appunto, un confronto interno a quello che la stessa Fim chiama “pluralismo sindacale”, ovvero un confronto foriero di un arricchimento reciproco, e che non si trasformi nell’occasione di nuove divisioni. Intanto, al Lingotto il dibattito proseguirà fino alla giornata di domani.
@Fernando_Liuzzi