Intervistato da il Diario del lavoro, il segretario nazionale della Fp Cgil medici Andrea Filippi, ci spiega i motivi alla base dello sciopero indetto dagli operatori della sanità. Accanto al mancato rinnovo del contratto, permangono seri problemi per il mantenimento del SSN, a causa del taglio sistematico delle risorse, e del rapporto, sempre più distorto, tra welfare pubblico e privato.
Filippi a che punto siamo con il rinnovo del contratto nella sanità?
In una situazione di stallo completo. Recentemente era circolato un atto di indirizzo, non ancora visionato dal Mef, del quale non conosciamo le linee guida. C’è inoltre un blocco delle risorse necessarie per il rinnovo del contratto. La somma da destinare ammonta a 1 milione di euro, dalla quale mancano all’appello circa 600 milioni, che le regioni a statuto speciale avrebbero dovuto erogare, ma che si sono rifiutate di farlo.
C’è poi anche il problema del turnover.
Assolutamente si. Nei prossimi anni circa 20mila persone usciranno dal mondo lavoro, senza esserci un ricambio adeguato. Bisognerà prima di tutto stabilizzare chi già opera all’interno della sanità. Bisognerà poi procedere con i nuovi ingressi, che però dovranno sottostare alle lunghe tempistiche dei processi concorsoli. Naturalmente il tutto dipende dalla disponibilità di risorse. Nella sanità, così come in molti altri comparti del pubblico impiego, abbiamo una popolazione lavorativa con un’età media molto alta. Questo ha delle ripercussioni inevitabili nell’erogazione dei servizi, perché non possiamo pensare che un dottore di 60 anni possa fare la guardia medica.
Tornando al tema delle risorse, ci sono degli investimenti dedicati alla sanità nel testo della legge di bilancio?
Nella finanziaria non vengono indicate delle risorse né per il fondo sanitario nazionale né per il rinnovo del contratto e, al contempo, non ci sono neanche dei tagli. Ci troviamo davanti a una situazione di equilibrio, che nasconde tuttavia delle insidie. I mancanti finanziamenti si faranno sentire sulle case delle regioni, che dovranno saldare i debiti con le case farmaceutiche, il famoso pay back, e avranno anche il compito di reperire i denari necessari per il rinnovo contrattuale. Dunque, come vede, la situazione non è delle più rosee. Il problema di fondo è la mancanza di volontà nello sbloccare questa impasse. A fronte di un’economia che mostra segnali positivi, i soldi per la sanità sono sempre di meno. Ad oggi, la spesa, in rapporto al Pil, per il fondo sanitario nazionale si attesta al 6,5%, che dovrebbe scendere nel 2020 al 6,3%, al di sotto di quella che è la soglia minima indispensabile per il mantenimento di qualsiasi sistema sanitario. Questo perché le politiche degli ultimi anni sono statute incentrante su bonus e regalie, tralasciando completamente gli investimenti strutturali.
Quali crede che siano le cause di questa situazione?
Prima di tutto una strategia che sta depauperando il pubblico, favorendo il privato, che non riesce neanche a soddisfare gli stessi standard qualitativi – in una struttura privata il rapporto opertore/utente è di 1 a 40, quando nel pubblico è di 1 a 3 -. Si sta registrando inoltre un incremento della spesa out of pocket, che ha superato i 30 miliardi, inoltre sempre più italiani, circa 10 milioni, rinuncia alle cure, perché non riescono a sostenere sia i ticket che i super ticket sia una spesa di tasca propria. Manca dunque qualsiasi tipo di controllo e di armonizzazione tra welfare pubblico e privato. Questa situazione è figlia di politiche che negli anni passati hanno avuto unicamente cura dei bilanci, senza pensare che in questo modo si stava portando avanti un depauperamento sistematico del SSN, inteso come insieme di professionalità e competenze messe al servizio del cittadino. La riforma del titolo V della Costituzione ha frammentato l’unità del SSN, per cui oggi abbiamo 21 sistemi diversi sotto ogni aspetto. È chiaro che se si continua a erodere e impoverire il sistema sanitario, continuerà a alimentare una situazione di concorrenza sleale nella quale il privato avrà gioco facile.
Quali soluzioni possono essere messe in campo per porre rimedio a questa situazione?
Bisogna, prima di tutto, evitare una mercificazione della salute, agendo all’interno di una logica che valorizzi il sistema. Troppo spesso le aziende ospedaliere hanno agito come monadi indipendenti, interessante esclusivamente ai propri bilanci. In questo senso va rivisto l’intero impianto di governance, insensibile alla valorizzazione del capitale umano. Il rinnovo del contratto deve servire anche per rilanciare tutti quei processi di partecipazione democratica all’intero delle decisione organizzative. È prioritario rafforzare le regioni più deboli, se si vuole mantenere l’universalità delle cure, fermando l’esodo dei malati del sud verso il nord. In questi anni è venuto meno il rapporto tra il presidio ospedaliero e il territorio, che è invece di fondamentale importanza se si vuole investire nella cultura della prevenzione. Abbandonare la logica degli incentivi e degli interventi emergenziali, per rafforzare le strutture e i servizi da mettere a disposizione della collettività. Sono tutte azioni che vanno nella direzione di rafforzare il SSN, e non di minarlo nelle fondamenta.
Non crede che un incastro virtuoso tra welfare e pubblico e privato possa rappresentare un vantaggio per il primo, considerando la scarsità delle risorse e la possibile di offrire al cittadino servizi più personalizzati?
In uno scenario ideale questo sarebbe possibile. Il problema è che non si sta portando avanti un rapporto di complementarità tra pubblico e privato, ma di sostituzione del secondo con il primo. Se i costi del privato sono nettamente inferiori perché offre prevalentemente prestazione di routine, mentre tutte le spese relative all’alta tecnologia restano sulle spalle del pubblico, è chiaro che ben presto si porranno seri problemi di sostenibilità per quest’ultimo. Se poi vogliamo parlare di vera complementarità bisogna evitare una duplicazione delle prestazioni, perché in questo modo si passa in un regime concorrenziale. Sarebbe dunque opportuno uniformare le regole che disciplinano il pubblico e il privato, affinché si possa realmente parlare di sanità integrativa.
Le rivendicazioni dello sciopero non sono dunque solo rivolte al rinnovo del contratto, ma anche ad una riaffermazione della centralità e del valore del SSN.
Assolutamente si. Sbloccare le trattative è il primo passo per valorizzare le competenze di chi opera nella sanità e che continua a garantire l’alta qualità del sistema, nonostante il taglio sistematico delle risorse. La tutela del SSN vuol dire salvaguardare quei principi di universalità e equità, che sono stati alla base della legge 833 del 1978.
Tommaso Nutarelli