“Se al nord non si vogliono lavoratori immigrati in più, l’alternativa ad avere altri 2 milioni di lavoratori immigrati nei prossimi 5 anni è dare il part-time di massa generalizzato alle donne e ai giovani del Sud”. La provocazione è del professor Luciano Pero, docente del Politecnico di Milano, invitato dalla Filca-Cisl a Cerea (Vr) a parlare di esperienze di contrattazione innovativa in tema di orario di lavoro.
Pero ha illustrato i modelli di orario di lavoro flessibili e worker-oriented del Nord Europa confrontandoli con quelli mediterranei, anglosassoni e asiatici, quindi ha lanciato la bordata: “è il basso tasso di occupazione femminile in Italia, causato dalla difficoltà delle aziende a concedere il part-time, che richiede l’immissione di manodopera straniera nel nostro mercato del lavoro”. Per il professore “non si può dire che gli immigrati stiano a casa loro” e allo stesso tempo non fare nulla per favorire l’occupazione femminile e giovanile, incentivando il part-time e le diverse forme di orario flessibile”.
Quindi, Pero la lanciato la sua proposta di flessibilità di orario, che superi l’attuale modello standard (8 ore al giorno, 40 la settimana, 4 settimane di ferie l’anno): il modello proposto è quello dell’orario “a menù”, in cui sceglie sia l’impresa che il lavoratore. “L’azienda dichiara il fabbisogno di orario dei prossimi tre mesi – esemplifica l’esperto – e ciascun lavoratore ha la libertà di costruirsi il proprio orario, sulla base di moduli predefiniti e negoziati”. “In questo modo – prosegue – la flessibilità viene condivisa tra impresa, lavoratori e sindacato”. Secondo l’esperto, tale modello flessibile, dove è stato applicato, “oltre a migliorare la qualità della vita dei lavoratori, ha comportato innegabili vantaggi per l’azienda”. (LF)