“Il messaggio che oggi vogliamo dare a tutte le donne è che il vostro corpo vi appartiene e nessuno può decidere per voi”. Cosi’ Gabriel Attal, primo ministro francese ( giovanissimo, appena trentatré anni, ma già dotato di una leadership naturale che lèvati) lunedi 4 marzo ha introdotto il voto che sancisce nella Costituzione il diritto all’interruzione di gravidanza. Nel suo discorso davanti al parlamento riunito a Versailles (discorso che varrebbe la pena di ascoltare per intero, e rileggere più volte, trattandosi in pratica di un testo di femminismo, prezioso in tempi alquanto difficili per i rapporti uomo/donna), Attal ha reso omaggio a Simone Veil, che la legge sul diritto di aborto in Francia l’aveva voluta e introdotta nel 1975, ma ha sottolineato che nessuna legge è eterna, e che qualunque governo può decidere di cancellarla. “Quando si vuole attaccare le libertà di un popolo, è sempre con quella delle donne che si inizia. E oggi la libertà delle donne è minacciata”, ha avvertito Attal. Più difficile minacciarla se quel diritto, quella libertà, sono garantiti dalla Costituzione.
Ci sono voluti diciotto mesi per riuscire nell’obiettivo che Emmanuel Macron aveva lanciato un po’ a sorpresa alla sua rielezione. Ma certo il contesto mondiale ha aiutato: nell’estate del 2022, la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva abrogato la sentenza Roe vs Wade, che proteggeva l’accesso all’aborto, causando uno shock alle donne americane ma anche un warning per le donne di tutto il mondo, tanto più essendo seguito dalle regressioni di altri paesi, dall’Ungheria alla Polonia. Da quel momento la lotta per la costituzionalizzazione dell’aborto è uscita dai circoli ristretti delle femministe francesi per diventare battaglia politica e di civiltà comune: come prova il voto bipartisan che ha concesso di iscrivere la libertà di ricorrere all’IGV nell’art 34 della Costituzione.
La standing ovation dei parlamentari sotto la volta di Versailles, dopo il voto finale, ha scritto la storia: dal 4 marzo 2024 la Francia è il primo paese al mondo a riconoscere il diritto delle donne a interrompere la gravidanza nella sua legge fondamentale. Inoltre, fattore non secondario, la decisione è passata con una maggioranza schiacciante e inattesa: 780 si contro 72 no, e la destra ha votato “si” assieme alla sinistra, senza differenze, concordi nel riconoscere un diritto universale delle donne. Intanto, a Parigi, in piazza si ballava e cantava, mentre la Tour Eiffel si illuminava con le scritte ‘’My body my choice’’, ‘’Mon corp, ma choix”, ‘’Il mio corpo, la mia scelta’’: lo slogan mondiale, ripetuto in varie lingue, con cui le donne ribadiscono il diritto a decidere se essere madri o no, e quando, e come. E l’8 marzo si farà ancora festa: Macron ha deciso di tenere in pubblico, a Place Vendome, la cerimonia per il suggello della ‘’nuova’’ costituzione. In una data non casuale. Altro che mimose. “Fierezza francese, messaggio universale’’, è stato il commento di Macron al voto. C’è chi obietta: ma davvero puo essere una ‘’festa’’ qualcosa che riguarda l’aborto? Ovviamente no: non è l’aborto che si festeggia, ma la conferma della libertà inviolabile delle donne di decidere e di scegliere. “Questo testo è un baluardo contro i creatori di infelicità”, ha detto Attal nel suo discorso, e non avrei saputo trovare una definizione migliore.
Tra le tantissime cose da apprezzare, c’è anche una parte del discorso di Attal che suonava così: “L’uomo che io sono non sperimenterà mai l’angoscia che hanno vissuto le donne, private della libertà di controllare il proprio corpo per decenni. L’uomo che io sono non conoscerà mai la sofferenza fisica dei tempi in cui l’aborto era sinonimo di vergognosa segretezza, dolore indicibile e rischi fatali. L’uomo che io sono non conoscerà mai la sofferenza morale, di fronte al peso di una società che ha preferito tacere e condannare. Ma il fratello, il figlio, l’amico, il primo ministro che sono, ricorderà per tutta la vita l’orgoglio di essere stato in questa tribuna in questo momento: quello in cui stiamo andando, insieme, uniti e pieni di emozioni, a cambiare la nostra Costituzione in modo che includa la libertà delle donne”. Un discorso che può sembrare retorico, e che invece è umile, è sensato, è importante, perché non porta traccia di paternalismo, di moralismo, di mansplaning. Un uomo che, grazie al cielo, non pretende di conoscere e di capire e di sapere, ma ammette, invece, che ci sono cose che non potrà mai veramente conoscere, mai veramente capire, mai veramente sapere: proprio perché riguardano qualcuno che è ‘’altro’’. E lo si rispetta.
Tutto questo accade in Francia, paese laico e molto civile, dove il femminismo si misura nei fatti e non nelle chiacchiere, dove la destra non disconosce i diritti delle donne solo perché sembrano una cosa ‘’di sinistra’’; e pazienza se il presidente della Republique è un uomo, e il suo capo del governo pure. Non accade invece nulla di simile, in Italia, che pure ha una premier donna, e un ministro, anche lei donna, che ha definito con un rammaricatissimo ‘’purtroppo’’ l’esistenza stessa della legge 194.
Nunzia Penelope