Nell’anniversario dei 30 anni della marcia dei 40.000, come nei due precedenti decennali, ho molto raccontato in interviste.
A richiesta degli amici del Diario del Lavoro di scriverne, mi trovo in pieno imbarazzo, perché sarebbe futile scrivere miei ricordi di 30 anni orsono, dei 40.000 , dei 45 giorni, senza rendere conto del prima e del poi, senza una narrazione diffusa che racconti l’inesauribile pluralità di eventi, persone, numeri che gravitano su quella vicenda. Anche numeri, da 1968 a 1: dall’anno in cui inizia il mondo alla rovescia, alla UNO, vettura che segna il riscatto per FIAT, Torino, Italia. Prima o poi lo farò.
Per ora, come ho già fatto, rispondendo a domande in interviste e trasmissioni, scatterò qualche flash su persone e ruoli che per me meritano un particolare ricordo.
Lugi Arisio senza i baffi alla Walesa, quando il futuro Capo dei Capi ruscava a Mirafiori, magro con le manone a badile, con il suo pesante accento piemontese, che mi chiedeva come potevano fidarsi di me e delle mie assicurazioni dopo che l’Azienda li aveva per anni fregati lasciandoli in balia dei violenti. Solo i fatti potevano dare a lui ed ai suoi colleghi fiducia, e fatti hanno avuto. Nessuno di loro è stato esposto per testimoniare contro autori di atti di violenza, nessun licenziato è più rientrato a schernirli. Per rispetto alla loro iniziativa di manifestare in favore della FIAT ho chiesto e ottenuto il rinvio di una riunione col Sindacato che rischiava di chiudersi con un brutto accordo il giorno prima della marcia.
Un collega di Arisio, Capo Squadra della Carrozzeria, piccolo, nero ed incazzato come una iena per minacce e botte ricevute, ha avuto sufficiente confidenza per investire Virginio Rognoni, Ministro dell’Interno nell’ottobre del ’79, di invettive e lamentazione che rendevano pienamente lo stato di angoscia e costrizione in cui versavano i capisquadra di Mirafiori. E’ lui il mitico Capo “Nella gabbia di Mirafiori” dell’intervista di Pansa su Repubblica, della cui esistenza molti hanno dubitato e dubitano. Lui non ha avuto allora bastante fiducia da mettere in piazza la sua faccia, con nome e cognome, e , a mia ricerca qualche mese fa, si è ancora negato, e credo con ragione. Era molto bravo nel fiutare l’odio, e ne sentiva ancora il fumo, che si è poi manifestato nei fuochi di questi giorni.
E poi Agostino Marianetti, Segretario Generale Aggiunto della CGIL, che accompagnava Luciano Lama come un’ombra. Ci guardavamo e ridevamo, perché eravamo due sosia, lui scuro di capelli e di occhi, io chiaro. . Era stato operaio alla BPD di Colleferro, dove Romiti, anche lui in BPD, lo aveva conosciuto, e tra loro c’era un rapporto amichevole, quasi di complicità, piacevole a vedersi. Marianetti sostenne, spalla a spalla con Lama, il contrasto con Carniti per chiudere con un accordo immediato.
La strada per arrivare alla rottura tra componente socialista e comunista in CGIL sul referendum per la contingenza era ancora di là a venire.
Infine Paolo Panzani, allora vice Direttore dell’Unione Industriali di Torino, solido e massiccio come una collina, parte integrante del terzetto dei ragazzi di bottega- Cesare Annibaldi, io, lui- che si scazzava mentre Romiti e Vittorio Ghidella si intrattenevano in lunghe discussioni con i Segretari Generali delle Confederazioni nell’ufficio del Ministro del Lavoro. Il nostro passatempo era mimare e immaginare tra noi le discussioni in corso. E portare avanti la compilazione del bestiario con cui catalogavamo, per analogie somatiche e di comportamento, i soggetti in osservazione. La più fervida contribuzione la dava Cesare Annibaldi, che aveva capacità sciamaniche di azzeccare i paragoni. Franco Foschi, Ministro del Lavoro, psichiatra marchigiano fedele a Donat Cattin, era il Tapiro, animale pacifico, prevalentemente crepuscolare, uso ad apparire di notte per brucare lentamente il fogliame e a darsi a fughe precipitose (vedi la Treccani). Fu allora che, per confronto, Romiti fu il Cinghiale, che fa rumore al galoppo e ara la radura con le zanne. Molto prima che Craxi vantasse il copyright. Ma Romiti non l’ha mai saputo. Eravamo giovani e spericolati. Ma non sino a quel punto.
Nelle pause del nostro cazzeggio, immaginavamo lo schema ideale di accordo che avremmo voluto. Lo scrisse Paolo Panzani, e decidemmo di tenerlo in tasca per quando il gioco si sarebbe fatto duro. Quando Lama chiese a Romiti di proporre un testo di accordo, ci uscì dalle tasche e planò pari pari nell’ufficio di Foschi. Mi chiamarono perché Carniti chiedeva una rotazione di Cassa Integrazione su una linea di Mirafiori. Apportai la modifica, simbolica, e tutti firmarono l’accordo.
Di quegli anni infine, dal 1979 al 1981, ricordo che malgrado il terrorismo che colpì uccidendo o storpiando nostri uomini, incendiò pezzi di fabbriche, auto e porte di abitazioni, minacciò persone e famiglie; malgrado la violenza diffusa in fabbrica ad opera dei nuclei di Autonomia Operaia, di Lotta Continua e Potere Operaio, di fasce estese di operai sindacalizzati contigui alla violenza organizzata; malgrado l’indifferenza o la viltà di molte Autorità preposte all’ordine, alla giustizia e al bene comune; ciò malgrado non perdevamo serenità e buon umore, anche quando chiusi a Mirafiori assediata, vedevamo le vicende in cui eravamo coinvolti ed attori come un gigantesco happening da indirizzare verso una positiva conclusione.
Di ciò ringrazio i miei collaboratori di allora, meno di venti persone, che sono stati coautori di un gigantesco cambiamento.
Carlo Callieri
13 Ottobre 2010