“La Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l’Italia”. E’ quanto ha detto l’amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne, ospite della trasmissione “Che tempo che fa”, condotta da Fabio Fazio. “Nemmeno un euro dei 2 miliardi dell’utile operativo previsto per il 2010 – ha sottolineato – arriva dal nostro paese. La Fiat non può continuare a gestire in perdita le proprie fabbriche per sempre”.
Marchionne elenca alcuni problemi del sistema-Italia: “Siamo al 118esimo posto su 139 per efficienza del lavoro e al 48esimo posto per la competitività del sistema industriale. Siamo fuori dall’Europa e dai Paesi a noi vicini, il sistema italiano ha perso competitività anno per anno da parecchi anni e negli ultimi 10 anni l’Italia non ha saputo reggere il passo con gli altri Paesi. Non è colpa dei lavoratori”.
Alla domanda di Fabio Fazio se c’è da fidarsi del futuro in Italia, Marchionne ha risposto:”Credo di sì. Credo che sia possibile creare una realtà diversa. In Italia le potenzialità ci sono, i problemi ce li creiamo noi”.
L’ad della Fiat ha parlato anche delle vertenze in corso e in particolare della questione “pause”. Il sistema di 3 pause ogni 10 minuti anziché 2 da venti proposto per Pomigliano e Melfi è “già applicato a Mirafiori”. “Fa parte degli sforzi – ha aggiunto – per ridisegnare il processo di produzione, e i 10 minuti che si perdono sono pagati”. Il gruppo Fiat è pronto a portare i salari degli operai “ai livelli dei Paesi che ci circondano”. Per fare questo, a suo avviso, serve “la collaborazione di tutti”. Il salario cambierà se cambierà il sistema di produzione in Italia.
Parlando poi delle organizzazioni sindacali, riferendosi alla Fiom Cgil, Marchionne ha spiegato che “meno della metà dei nostri dipendenti appartiene a una sigla sindacale”. Dopo aver spiegato che “più della metà non è iscritta al sindacato”, Marchionne ha aggiunto che il 12,5% dei dipendenti è iscritto alla Fiom.
“A Pomigliano – ha aggiunto – non abbiamo tolto il minimo diritto, abbiamo cercato di assegnare la responsabilità della gestione di uno stabilimento ai sindacati per gestire insieme a loro le anomalie”.
Marchionne ammette però che “se la Fiat dovesse smettere di fare auto in Campania, avremmo un problema sociale immenso, specialmente in una zona dove la camorra è molto attiva”.
Riguardo alle richieste sindacali di conoscere il piano dei nuovi modelli previsti, l’ad di Fiat ha replicato: “Di nuovi modelli ne abbiamo quanti se ne vuole, dobbiamo però dare ai nostri stabilimenti la possibilità di produrre ed esportare, gli impianti devono essere competitivi, altrimenti non possono produrre e vendere niente”. Ha poi confrontato l’Italia con la Polonia, dove: “I nostri 6.100 dipendenti producono oggi le stesse auto che si producono in tutti gli stabilimenti italiani”.
I sindacati, con diverse sfumature, criticano pesantemente le parole dell’ad Fiat.
“Marchionne – dice Rocco Palombella, segretario generale della Uilm – deve evitare di continuare ad umiliare i lavoratori e il sindacato che si è assunto la responsabilità di gestire anche accordi difficili”. Palombella invita il manager del Lingotto “a chiarire una volta per tutte quale sia la reale intenzione della Fiat. Se vuole davvero invertire il rapporto tra la quantità di auto prodotte all’estero e quelle fabbricate in Italia – osserva – deve smetterla di fare dichiarazioni che sono la negazione di ciò. Un gruppo industriale che chiede responsabilità e consenso non può continuare a dire che dell’Italia non sa che farsene. E’ un errore strategico”.
Per Bruno Vitali, responsabile auto della Fim, “Marchionne deve credere di più nell’Italia e smettere di tenere tutti appesi. Ha sempre detto che qui perde, ma se investirà anche l’Italia genererà profitti come avveniva prima della crisi. Gli impianti sono nuovi e i lavoratori sono pronti a fare la loro parte”. Apprezzabile, sostiene Vitali, l’idea di monetizzare con aumenti salariali l’incremento di efficienza nelle fabbriche.
Sergio Marchionne parla “come se la Fiat fosse una multinazionale straniera che deve decidere se investire in Italia”, attacca Giorgio Airaudo, responsabile del settore auto della Fiom Nazionale. “Io mi accontenterei che i lavoratori avessero il premio di risultato tagliato a luglio”, osserva, criticando l’idea che “competitività e produttività si recuperino intervenendo sul fattore lavoro”. Il segretario della Fiom precisa che a Mirafiori non è già in vigore il sistema di 3 pause di 10 minuti anziché quello di 2 da venti proposto per Pomigliano e Melfi. “E’ curioso comunque – ironizza – che in uno stabilimento che fa tre settimane di cassa integrazione al mese si considerino utili dieci minuti in più di produzione”.
Durissimo Giorgio Cremaschi, presidente del comitato centrale della Fiom: “Il discorso di Sergio Marchionne è stato un concentrato di falsità e bassezze, un comizio reazionario antisindacale senza contraddittorio. E’ un messaggio così brutale ed ingiusto – prosegue Cremaschi – che davvero andrebbe diffuso per convincere a scioperare”.
“Non consegneremo a Marchionne alibi per andarsene”, ha commentato il segretario generale dell’Ugl, Giovanni Centrella. Abbiamo voluto l’accordo di Pomigliano, spiega, proprio per questo motivo, perchè è un’intesa “produttiva e non una delega in bianco”. Se si produce di meno accade perchè gli operai sono in cassa integrazione da circa due anni. Per Centrella occorre investire in ricerca e sviluppo, “perché stiamo scontando la scarsa volontà espressa fino ad oggi dai vari governi italiani di investire in infrastrutture”. A suo giudizio, “è necessario lavorare tutti insieme affinché le trattative in corso tra governo e parti sociali, a cominciare dalla riforma fiscale ad arrivare al Patto di Confindustria, segnino davvero una svolta”.
Per il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi: “L’Italia è un Paese che già ha dimostrato l’attitudine ad evolvere verso una maggiore competitività nel rispetto dei diritti dei lavoratori incluso il diritto ad incrementi salariali legati a una maggiore produttività. E se è legittimo da parte di Marchionne invocare maggiore produttività”, è anche vero che “la maggioranza delle organizzazioni sindacali e le istituzioni si sono già rese concretamente disponibili ai necessari cambiamenti”.
“Marchionne – commenta Sacconi – ci ha ricordato che Fiat oggi è una multinazionale con stabilimenti distribuiti in diverse dimensioni economiche e sociali. Noi ricordiamo a lui che l’Italia è il Paese di storico insediamento del gruppo automobilistico ove ha depositato impianti e soprattutto un grande patrimonio di esperienze e professionalità”. (FRN)