Chiara Moriconi
Lo stabilimento di Cassino è, all’interno di Fiat Auto, quello dedicato alla produzione di automobili di fascia C ( cioè il segmento medio di mercato che è il più ampio in Europa) ; qui infatti sono state prodotte Bravo e Brava, qui si produrrà il nuovo modello di fascia :Stilo.
Proprio in occasione dell’avvio in produzione del nuovo modello (come peraltro è quasi sempre avvenuto), e quindi in presenza di oggettive modifiche degli impianti e spesso anche del ciclo produttivo, si è arrivati alla firma di un accordo (solo da parte di Fim,Uilm, Fismic) teso alla gestione di questa fase che da sempre si presenta complessa e delicata.
Si tratta infatti di organizzare e governare contemporaneamente la discesa produttiva, dei vecchi modelli e l’avvio e la salita produttiva fino a regime, dei nuovi, con i necessari mutamenti sia di impiantistica che di logistica. Fase ancor più difficile in situazioni ,quale quella di Cassino, di stabilimenti monoprodotto. La contemporanea presenza di modelli diversi all’interno dello stesso stabilimento facilita infatti, come è intuitivo, l’utilizzo delle risorse. Cosa non possibile negli stabilimenti monoprodotto, e che in passato ha comportato la necessità di gestire questi momenti con il temporaneo allontanamento ed il graduale reingresso dei lavoratori.
Proprio per gestire questa complessità (così come era avvenuto per i modelli precedenti) si è arrivati, dopo una forte conflittualità ed una profonda trattativa, a questo accordo, che ha determinato una importante divisione tra le organizzazioni sindacali: Fim, Uilm, Fismic, e Ugl hanno firmato, Fiom no.
Non è questa la sede per entrare nel merito delle polemiche politiche che sempre accompagnano gli accordi separati; vorrei invece fare un breve esame dei contenuti e del contesto in cui l’accordo ha preso forma.
Nel merito esso prevede:
1)l’impegno da parte aziendale di investimenti per circa 900 miliardi per lo stabilimento;
2) l’introduzione strutturale del terzo turno, con le conseguenti necessarie assunzioni (800 unità);
3) una gestione del phase in, phase out che sembra non richiedere interventi di cigs, coadiuvata anche da un utilizzo scaglionato delle ferie;
4) un impegno per la formazione;
5) l’elezione diretta da parte dei lavoratori del team leader, considerato una delle figure portanti dell’organizzazione della fabbrica integrata;
6) modifiche alla organizzazione del lavoro con l’inserimento di una nuova metrica ed ergonomia del lavoro;
7) previsioni specifiche per quanto attiene la comunicazione dei tempi di lavoro, il loro assestamento, le procedure di reclamo;
8) una conferma, seppur generica, del sistema partecipativo nella gestione di questi temi.
La parte realmente innovativa, e che è stata il vero punto di contrasto tra le organizzazioni sindacali, è quella che riguarda l’organizzazione del lavoro: viene infatti indicato per la prima volta, per quanto mi risulta, in un accordo Fiat tra gli strumenti di rilevazione dei tempi il ‘TMC2’, cioè un metodo di misurazione dei tempi che considera complessivamente l’insieme dei movimenti necessari per compiere una data operazione, anziché la somma dei tempi dei singoli movimenti. Questo incide sulla saturazione istantanea recuperando, a dire degli esperti, qualche punto percentuale di efficienza. Non viene invece modificata la previsione dell’accordo 5 agosto ’71, che regola in generale nel gruppo Fiat la prestazione di lavoro, laddove stabilisce la saturazione massima e cioè la quantità di lavoro che può essere richiesta al lavoratore nel tempo complessivo di prestazione giornaliera.
Per la Fiom si tratta di un metodo che peggiora in assoluto le condizioni di lavoro e per questo inaccettabile.
Non è la prima volta che la Fiom non sottoscrive insieme alle altre organizzazioni un accordo sindacale (cito da ultimo l’accordo integrativo Fiat del ’96, accettato solo in un secondo momento), in particolare se l’oggetto è l’organizzazione del lavoro, da sempre, per tutto il sindacato, uno degli elementi più complessi del rapporto tra le parti, incidendo in maniera diretta sulla fatica da un lato e sull’efficienza dall’altro.
Si tratta quindi di ricercare un giusto equilibrio tra due valori strettamente correlati, quantomeno in un’azienda manifatturiera. La valutazione di questo equilibrio, più che la discussione sulle prerogative aziendali in materia, mi sembra essere il vero motivo di contrasto tra le organizzazioni, le une ritenendo che il contesto proposto a Cassino (sviluppo, investimenti, occupazione) meriti lo sforzo di un cambiamento, non necessariamente negativo nel suo complesso, anche nel modo di lavoro, purché accompagnato da possibilità di verifiche e da procedure di contestazione; gli altri ritenendo che sia la condizione di lavoro in sé a dover prevalere su tutto.
Questo sembrerebbe essere un motivo alto di confronto, che accompagnerà indubbiamente il futuro del sindacato, soprattutto in presenza dei veloci e continui mutamenti nel mondo della produzione.
Il clima in cui si è svolto prima il confronto con l’azienda, poi il dibattito all’interno del sindacato, particolarmente teso sia a livello locale che nazionale (anche a questo sembra essere una caratteristica del confronto con la Fiat) ha modificato la materia del contendere.
A livello locale, infatti, la firma dell’accordo è giunta dopo molte ore di sciopero e dopo che l’azienda si era rivolta alla magistratura reclamando un risarcimento dei danni nei confronti di numerosi lavoratori e delegati sindacali, cui il sindacato aveva risposto con la richiesta di condanna nei confronti dell’azienda per attività antisindacali.
A livello nazionale si è inserita in un momento complesso per il rinnovo del contratto integrativo Fiat, ed in contemporanea del secondo biennio del contratto nazionale.
Questo naturalmente rischia di spostare il confronto sul piano politico, enfatizzando un accordo che in altre circostanze non avrebbe avuto questo risalto, minimizzando il merito, che ha invece un’importanza rilevante. Non si sa ancora come si chiuderà questa vicenda. Attualmente infatti la Fiom sta raccogliendo le firme per indire un referendum abrogativo; tra le organizzazioni sindacali firmatarie sembra farsi strada l’idea di riaprire una discussione che miri al recupero della Fiom.
Un’ultima osservazione sull’aspetto ‘partecipativo’ dell’accordo che, a chi scrive, sembra essere non proprio un modello ‘forte’, né in fase di definizione dei processi formativi, né per la determinazione del team leader (partecipazione diretta dei lavoratori?) , né in fase di procedure, salvo per un possibile ruolo della commissione fabbrica integrata, che all’interno del testo non viene però esplicitato. Quello dei limiti del modello partecipativo, che mi sembra essere una delle parti deboli dell’accordo, è peraltro assolutamente in linea con tutti gli accordi Fiat in generale e Fiat e Fiat Auto in particolare, e forse su questo bisognerebbe soffermarsi, sempre che ancora vi sia interesse, da parte di tutti gli attori, alla partecipazione.