Ferraris, come ha reagito il Piemonte alla pandemia?
Con difficoltà, perché il virus ci ha trovati impreparati. Avevano operato nella nostra regione tagli molto sostanziosi alla sanità pubblica e questo ha pesato in negativo. Ci era stato promesso che sarebbe stato varato un piano per una ripresa della sanità pubblica, ma non è mai arrivato. Quando è iniziata la pandemia non avevamo le strutture necessarie per far fronte all’emergenza. Ciò nonostante abbiamo lottato e stiamo lottando.
Con quali strumenti?
Stiamo per istituire, è questione di pochi giorni, una commissione regionale per la sanità che duplica quella nazionale fatta dal ministero della Salute e da Cgil, Cisl e Uil con il compito di monitorare la situazione e consentire di dare il nostro contributo. Con difficoltà, certo, perché mancano gli strumenti e mancano le risorse che sarebbero necessarie.
Risorse finanziarie?
Anche quelle. Il governo ha distribuito quanto aveva a disposizione in parti uguali, per situazioni però diverse. Un esempio, quanto disposto per la cassa integrazione. Al Piemonte sono stati assegnati 82,5 milioni, quanto basta per 82mila persone per un solo mese, assolutamente insufficiente. E lo stesso per le dotazioni sanitarie, perché avere a disposizione un respiratore in una regione meno colpita può essere un sollievo, ma da noi, che siamo i più colpiti dopo la Lombardia, può servire a salvare una vita.
Non è molto tenero con il governo.
Si è mosso male in questa circostanza. Noi comunque cerchiamo in questa situazione di difficoltà di combattere per quanto possiamo con uno sforzo complessivo che vede tutti coinvolti, primi tra gli altri gli operatori della sanità. Cerchiamo di fare sistema.
E il futuro? Come si presenta?
Il governatore Cirio doveva presentare il 13 marzo un piano di sviluppo per la regione. Ce lo aveva fatto conoscere prima, ci sembrava convincente, soprattutto perché c’erano i soldi necessari.
Dove li aveva trovati?
Ricontrattando fondi europei per 3-400 milioni di euro e scavando per altri 300 milioni nelle pieghe di bilanci pregressi. In tutto erano a disposizione tra i 600 e i 700 milioni di euro con i quali si poteva avviare un piano di sviluppo di una certa consistenza. Poi è arrivato il coronavirus e ha spazzato tutto via.
Come pensate di muovervi per costruire la ripresa?
Il momento ci spinge, tutti, a unirci, non a dividerci, almeno al livello regionale e così contiamo di fare per quanto ci riguarda.
Sarà possibile avere più concordia?
Il fatto che la attuale minoranza politica regionale, quella di centrosinistra, non attacchi la giunta, che la lasci lavorare è già un dato positivo.
E le parti sociali?
Ci muoviamo come meglio possiamo. Cerchiamo di lavorare in sintonia, ci aiutiamo a far comprendere alla regione cosa sia necessario fare. Magari un domani torneremo antagonisti, ma siamo nelle difficoltà e le parti sociali hanno il dovere di collaborare. Questo non è il momento di dividersi. Certo, ognuno ha i suoi interessi di parte e li difende, ma questo è il momento di essere solidali.
Una vera collaborazione?
E’ quello che serve. Annamaria Furlan lo dice sempre, è il momento di stringere un vero patto per l’Italia, nel rispetto dei ruoli, ma in una logica collaborativa. Che, lo sanno tutti, non significa rinunciare al conflitto, ma a finalizzarlo al bene comune.
Scontate un calo occupazionale in Piemonte?
Tutto è ancora incerto. Abbiamo attivato tavoli prefettizi per monitorare tutte le richieste che vengono avanzate per una ripresa dell’attività. Ma fare previsioni è difficili, mancano gli strumenti per un calcolo vero. Nessuno li ha, nemmeno gli industriali, certo, noi avevamo una situazione occupazionale già difficile, 3 o 4 punti percentuali sotto la media delle regioni del Nord, siamo più vicini alle realtà del Sud, ma capire cosa avverrà è al momento impossibile. Serviranno ulteriori misure di sostegno, questo è certo, ma per il resto ci muoviamo al buio, sperando il meglio.
Massimo Mascini