E’ un vecchio discorso. In un mercato rionale, i prezzi della frutta e della verdura sono determinati, in buona misura, da ciò che è successo prima, ovvero, ad esempio, dalle condizioni climatiche che si sono verificate nei mesi precedenti e, quindi, dal modo in cui sono andati prima la semina e poi il raccolto. Su un mercato azionario, invece, i prezzi a cui le azioni di un’impresa quotata passano di mano in un determinato giorno dipendono da ciò che gli azionisti in uscita, o gli aspiranti azionisti in entrata, si attendono possa accadere, in futuro, al prezzo di quelle stesse azioni.
Della validità, almeno, della seconda parte di questo ragionamento, si è avuta ieri l’ennesima prova. Ci riferiamo a quanto è accaduto in Borsa al titolo Ferrari. Nella prevista conference call, il nuovo Amministratore delegato, Louis Camilleri si è presentato con una trimestrale ricca di dati positivi.
Le consegne di auto, nel secondo trimestre del corrente anno, sono cresciute del 6% rispetto all’analogo periodo del 2017. L’ebit adjusted – e cioè il margine operativo netto, ovvero il risultato ante oneri finanziari, rettificato – è stato pari a 290 milioni di euro, segnando una crescita del 7%. Ma non basta. Perché anche se è vero che i ricavi, con 906 milioni di euro, sono scesi dell’1,6%, va sottolineato che l’utile netto è arrivato a 160 milioni di euro, con un invidiabile + 18%.
Come se neanche. Il titolo Ferrari ha cominciato a scendere, arrivando a perdere l’11,3%. Salvo poi a risalire un po’ e a chiudere a fine giornata con un inglorioso -8,3.
Come mai ciò è potuto accadere? La prima risposta che vede concordi gli analisti si concentra su un passo del discorso di esordio del nuovo Ad. Camilleri, infatti, ha detto, innanzitutto, che intende mantenere i target, cioè gli obiettivi, fissati da Marchionne per il 2018. Inoltre, ha detto che i target per il 2022 saranno “svelati” il prossimo 18 settembre, ovvero nel giorno in cui sarà presentato agli investitori il piano industriale valido per i prossimi quattro anni e mezzo.
Ebbene, parlando di questi obiettivi, Camilleri li ha definiti “ambiziosi”. Un termine, questo, che, a quanto pare, è suonato male alle orecchie degli analisti che seguivano la conference call. E ciò, si ipotizza, perché questo stesso termine, in bocca a un personaggio noto come ex amministratore della Philip Morris e come frequentatore dei circuiti della Formula 1, ma quasi ignoto nel difficile mondo delle case costruttrici di autovetture, non ha dato l’idea di qualcuno che, sapendo il fatto suo, si propone di portare avanti i risultati – anche finanziari, ovviamente – della casa che gli è stata affidata. Al contrario, ha forse dato l’idea di qualcuno che comprende quali e quante siano le difficoltà che dovranno essere superate per raggiungere effettivamente gli obiettivi indicati.
L’episodio non va sopravvalutato, perché Camilleri ha adesso davanti a sé, come detto, un’occasione ravvicinata per mostrare le sue vere capacità e fare un’impressione migliore di quella fatta al suo esordio sugli analisti di Borsa
Semmai, questo stesso episodio può essere utile a chi intenda partecipare con un argomento in più al dibattito che, dopo la sua prematura e inattesa scomparsa, si è aperto sull’opera di Marchionne. L’uomo che, fra l’altro, portò la Ferrari in Borsa nel gennaio del 2016.
Una delle accuse più ricorrenti nei discorsi dei suoi detrattori è quella secondo cui Marchionne si sarebbe posto principalmente il problema di soddisfare gli azionisti, invece di fare le molte altre cose che avrebbe dovuto fare per far stare in buona salute gli stabilimenti produttivi di Fiat prima e poi di Fca.
Ma ci pare di poter dire che l’episodio occorso ieri mostri in tutta evidenza quanto le critiche di questo tipo siano fuori bersaglio. Infatti, forte anche delle esperienze maturate fra Canada e Svizzera prima nel campo dell’alluminio e poi in quello della certificazione aziendale, Marchionne ha sempre avuto chiaro quanto sia importante, per un’impresa attiva sui mercati globali, godere di un’immagine affidabile e positiva negli ambienti borsistici. Sapendo, anzi, che tale immagine può essere non solo decisiva, ma anche delicata e instabile, Marchionne ha assunto con grande serietà l’obiettivo di costruire un’immagine di sé stesso in quanto Ceo non solo estremamente positiva, ma che fosse anche capace di riverberarsi positivamente sulle aziende da lui guidate.
E ciò non per piaggeria verso gli eredi di Casa Agnelli, a partire da John Elkann, divenuto leader di Exor, ma per avere dietro di sé il consenso delle Borse, da Piazza Affari a Wall Street.
@Fernando_Liuzzi