Il presidente di Ilva Bruno Ferrante non è più fra i custodi giudiziari degli impianti dell’area a caldo di Ilva sequestrati lo scorso 26 luglio. La disposizione è temporanea e vale fino a quando sul caso si pronuncerà la Cassazione. Lo ha stabilito il collegio di giudici (Petrangelo, Orazio Detommasi) del tribunale di Taranto in qualità di giudice d’esecuzione, che ha annullato le disposizioni del tribunale del Riesame del 28 agosto (presieduto dal giudice Pietro Genoviva), ritenute “extra ordinem” ristabilendo quanto disposto dal gip Todisco con due ordinanze del 10 ed 11 agosto. Con quelle ordinanze il gip precisò incarichi e responsabilità dei custodi giudiziari e revocò la nomina a custode di Ferrante per “evidente conflitto di interessi”. Oggi i giudici hanno confermato la correttezza di quelle disposizioni perché il tribunale del riesame, tecnicamente, non poteva fare da giudice d’esecuzione di un suo stesso provvedimento e non poteva scavalcare il gip che è l’autorità giudiziaria competente sul sequestro in quanto è il giudice che lo ha emesso.
La estromissione di Ferrante fu dettata dal fatto che come presidente di Ilva comunicò alla stampa di aver dato mandato all’ufficio legale di impugnare i provvedimenti del gip, facendo venir meno il rapporto di fiducia fra l’autorità giudiziaria e lo stesso Ferrante.
Nelle undici pagine del provvedimento depositato oggi al tribunale di Taranto, si legge che se non venisse sospeso quel provvedimento del Riesame si creerebbe uno stato di impasse dal momento che verrebbero meno le competenze specificate dal gip, “di vitale importanza per la salute dei lavoratori e della popolazione”.
Per quanto riguarda la doppia nomina di Ferrante i giudici, scrivono: “non v’è dubbio che poteva dare luogo a problemi di mera opportunità nel rispondere a pretese in contrasto fra loro o difficilmente conciliabili”.
Per i giudici che hanno sospeso l’incarico giudiziale di Ferrante, il presidente di Ilva “ha dimostrato, pur presentando ricorsi legittimi, discutibile e scarsa disponibilità a collaborare con l’autorità giudiziaria, palesata soprattutto in maniera chiara con la volontà o quantomeno l’interesse, a proseguire l’attività produttiva, che darebbe luogo a protrazione o aggravamento di conseguenze dannose di reato, giunte, invero, già a livelli allarmanti”.
Il doppio ruolo ricoperto fino a oggi da Ferrante, scrivono ancora i giudici “pregiudica la serena e compiuta esecuzione del sequestro ed introduce il rischio serio e concreto della possibile prosecuzione dell’attività produttiva”. Il sequestro del 26 luglio, infatti, non concede la facoltà d’uso. (LF)
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