Il diario del lavoro ha intervistato il segretario generale della Feneal Uil, Vito Panzarella, in occasione dell’anniversario della Fondazione del suo sindacato, per ripercorrere insieme i 70 anni della Feneal. Panzarella ha ricordato le lotte che hanno portato la categoria ad avere quelle tutele necessarie per affrontare le sfide del futuro. Oggi però, sottolinea il segretario, sorprende come le sfide del passato siano così simili a quelle del presente.
Panzarella, il vostro sindacato compie 70 anni, tanta strada è stata fatta, ma ancora avete molto da fare. Quali sono le differenze di oggi rispetto al passato?
Cogliamo l’occasione del 22 e 23 settembre, cioè l’anniversario della Fondazione della Feneal anzi, per essere precisi della Fenea perché la L è stata aggiunta successivamente, nel terzo congresso nel ‘58 quando anche i lavoratori del comparto legno sono entrati a far parte della categoria. Il primo congresso è stato celebrato a Potenza a un anno e mezzo di distanza dalla nascita della Uil che era avvenuta l’anno prima, a marzo del 1950. E qui arrivo alla sua domanda. E’ successa una cosa curiosa: per questa iniziativa siamo andati a fare un lavoro di ricerca, per ricostruire per bene la storia della nostra organizzazione attraverso i vari testi dei congressi che sono i momenti più alti dal punto di vista della democrazia delle nostre categorie e delle nostre organizzazioni sindacali.
E che cosa avete trovato?
In qualche modo ci ha fatto impressione ritrovare nella relazione del segretario dell’epoca, al congresso del 22 e 23 settembre del 1951, quali erano i temi che venivano posti all’attenzione dei delegati presenti. I temi che sono stati sottolineati dai nostri padri fondatori, come Giordano Gattamorta, erano: l’assicurazione nei luoghi di lavoro, le malattie professionali, la formazione, il salario, le pensioni (all’epoca si chiedeva l’aumento delle pensione specialmente per un settore come il nostro), la richiesta di una serie di interventi per ammodernare il paese e soprattutto, per quanto abbiamo trovato tra le varie altre carte dell’epoca, la denuncia del sindacato sul non rispetto dei contratti di lavoro.
Be’ si, è notevole la coincidenza con le tematiche di oggi.
Esattamente: a distanza di 70 anni le nostre rivendicazioni, di fatto, sono le stesse. Se noi guardiamo i documenti che produciamo oggi, al primo posto abbiamo la sicurezza nei cantieri, soprattutto in questo periodo; poi la questione della formazione, che è un tema fondamentale, dato che non si trovano lavoratori specializzati e formati; e infine le questione delle infrastrutture e del l’applicazione dei contratti di lavoro.
Il sindacato in questi ultimi anni che svolte ha segnato, rispetto al passato?
Abbiamo fatto tanto, per esempio gli enti bilaterali e la loro evoluzione, oppure gli interventi e le iniziative sul tema della sicurezza. Abbiamo ancora, purtroppo, il non rispetto dei contratti, il dumping contrattuale, che derivano da una serie di fattori. E nonostante tutto, lo sforzo che abbiamo fatto comunque ancora non basta.
Perché le vostre rivendicazioni sono rimaste pressoché uguali? Che cosa è successo?
In questi decenni è cambiato il mercato del lavoro. Se andiamo a vedere, negli anni ‘70 e anche nei primi anni 80, noi avevamo aziende strutturate, dove la media dei dipendenti era 12-13 lavoratori, mentre oggi siamo a due o tre lavoratori per azienda; tutto questo ha fatto sì che problemi di allora, con le dovute proporzioni, siano rimasti gli stessi. Inoltre, ci portiamo dietro errori del passato. La classe politica in questi decenni non ha capito un fattore fondamentale, specialmente all’indomani della crisi del 2008: abbiamo bisogno di essere competitivi e quindi prima di tutto efficienti; ma questo può avvenire solo attraverso il completamento delle infrastrutture fondamentali e la formazione dei lavoratori.
Spieghi meglio.
In questi ultimi anni abbiamo tutti capito quanto pesa la logistica all’interno di un mondo globalizzato, ormai competiamo a livello globale. Dopo 10 anni di crisi e dopo un anno e mezzo di pandemia ci tocca affrontare una sfida immane per riorganizzarci, ma le nostre aziende non sono competitive. Fino a qualche mese fa avevamo il problema della disoccupazione e adesso ci troviamo in una situazione paradossale dove non si trovano lavoratori qualificati. Questa è una responsabilità sicuramente dalla politica ma anche dalle imprese.
Perché colpa delle imprese?
Il mondo delle imprese non è riuscito a guardare il futuro, puntando alla riduzione del costo del lavoro, con utilizzo del lavoro più precario, false i partita iva, artigiani e così via. Adesso questi decenni di politiche miopi sulla qualità del lavoro, sulla non formazione, li stiamo pagando tutti e molto caro; in uno dei momenti più critici che l’Italia si trova di fronte, abbiamo questi limiti nell’affrontare i problemi sia urgenti che strutturali.
Il mondo globalizzato ha riportato vecchie sfide per il sindacato anche per quanto riguarda le relazioni industriali. In questi 70 anni avete sicuramente consolidato i rapporti con le vostre controparti ma adesso vi ritrovate di fronte multinazionali e aziende che non comprendono il valore delle relazioni industriali
Si è vero, noi oggi abbiamo avuto una fortuna tra le mani, perché chi ci ha preceduto, parlo in questo caso sia delle organizzazioni sindacali che datoriali, negli anni ‘50 e ‘60 hanno capito la precarietà di questo settore, sulla scia di quello che era già stato costruito a Milano nel 1919; hanno compreso quindi che c’era bisogno di sviluppare e rafforzare gli strumenti della bilateralità. Quel contesto ha avuto un impatto importante per noi oggi. Il modello del sindacato era all’epoca un po’ più massimalista, diciamola così, dove i rapporti con le controparti erano molto conflittuali per definizione.
Quindi la bilateralità ha salvaguardato in qualche modo il vostro settore
Non solo, con lo sviluppo della bilateralità e la sua gestione paritetica tra le parti sociali, abbiamo creato un vero e proprio modello positivo in questo settore. Se non ci fosse stata la bilateralità, così come casse edili, le scuole edili, che hanno dato strumenti veramente innovativi al lavoratore, e fossimo arrivati ai giorni nostri senza questi strumenti in mano, con tanto di tessuto produttivo che prevede al massimo 2-3 lavoratori, come ho detto prima, a quest’ora il nostro settore sarebbe una giungla ingovernabile. Quando le cose funzionano spesso non ci si fa caso di tutto il lavoro prima.
Un lascito importante, dunque.
Si, in questi decenni il sindacato ha lavorato e continua a lavorare, guardando al futuro, proprio come hanno fatto i nostri predecessori. A noi il compito di valorizzare questi strumenti. Ecco perché è fondamentale la perimetrazione contrattuale e il rispetto del contratto stesso.
In effetti potreste aver raggiunto le più virtuose relazioni industriali ed avere i contratti più avanzati d’Italia, ma se non si applicano è come buttare all’aria 70 anni di lotte e ritrovarsi punto e a capo.
Esatto, una sintesi perfetta. Abbiamo di fronte, grazie al PNRR, tante risorse e tante opere da portare a termine quindi lavoro non manca. Quindi dobbiamo essere vigili e fare applicare i contratti, soprattutto in questi anni che verranno.
Emanuele Ghiani